365 giorni, Libroarbitrio

“Ti condurrò fuori dalla notte” Giampaolo Pansa

Arlene Graston

Come le sembrava brutto, quell’uomo!
Brutto e abbastanza vecchio. Un magrone stagionato e rinsecchito, la fronte ossuta, le labbra avare.
Gli occhi no: erano di una persona triste, o sorpresa dal fotografo in un momento di malinconia, però possedevano un guizzo che l’attraeva, di determinazione e di dolcezza.
L’insieme le suggeriva un tipo abbastanza sicuro di sé, abituato a fare da solo, pratico. Ma anche alle prese con qualche pena segreta, immaginò lei, pur domandandosi se quest’ultima suggestione non le fosse dettata dal proprio stato d’animo, ossia dalla delusione disperata che l’assaliva in quegli istanti.
Nella sua casa di Parigi, Angela Mercier prese una lente d’ingrandimento e si chinò sulla pagina del “Corriere della Sera”, a scrutare con attenzione la fotografia dello sconosciuto. Ma da quello studio non ricavò nulla di nuovo. A parte una costatazione che riguardava lei: il suo cuore batteva sempre più svelto.
E le ordinava di piangere.

365 giorni, Libroarbitrio

.sono dolci gli uccellini quando cantando al mondo pare di ascoltar di una mano che li carezza. – Lié Larousse

Linda de Luca

Opera di Visual Art di Linda de Luca

.eppure gli uomini non s’affamano
con l’andare dedito alla strada,
i loro artigli non graffiano il cielo
se solo al vento è devoto il cuore
e i miei terrori invece
rapiscono i sogni
rapinati dalla mia impotenza
di quelli che mai vorresti avere incubi
loro non camminano col mio d’andare
però scalfiscono una via nell’aria
– non uccidermi più – vorrei implorarti
ma l’improvviso
quando appari luminoso da quel nulla
è così intriso d’angoscia che non riesco
desistere all’inesistenza di piegarmi
e daccapo m’imprigiono prigioniera
– non uccidermi più – vorrei implorarti
la mia guerra
nel voler colmare la tua cattiveria nel buono
non ha più terra da battere
è estenuata della stanchezza triste
di chi non ha più un solo risveglio
e tu Dio che m’hai addormentata,
m’hai negato la pace
costringendomi a fluttuare su mari
senz’acqua né terre
in lontananza d’approdo
in lontananza dall’uomo.

L.L.

365 giorni, Libroarbitrio

“Ubi Veritas” Madre Maria Teresa della Croce di Cristo

HeathcliffTTT

Nel silenzio della notte oscura
le metafore e i bei sogni
avvolti nelle mistiche preghiere
e nella divina luce che illumina
la prigionia dell’essere
occhi vagabondi al chiaro di luna,
nell’incertezza del mattino
merito o clemenza, nella via percorsa
le ombre vogliono trafiggere la luce
ed io mentre ringrazio la verità,
sommersa dal dubbio
si diffonde nell’animo la tenerezza
di un Dio fatto uomo
l’unica verità
e in quei attimi sublimi, dolcissimi
l’umana figura di Gesù Cristo
sotto il peso della sua dolorosa croce,
mi fa vivere questa vita
nell’armonia di un amore sublime ed eterno,
divino,
“bellezza antica e sempre nuova”
Oh Signore
l’anima mia solitaria
non cerca invano la verità
e il lume della ragione
attende
la luce
della tua eternità senza fine.

***

Chissà cos’è l’amore
se non il credere
incessante
pensiero

Chissà cos’è l’amore
allora ho bussato
per domandare
una risposta

la Sorella
poesia vicina
vivente nella casa del Signore
– l’amore è verità –  m’ha detto
– l’amore è Dio
– l’amore sei tu, sua figlia!

Per il tempo di quelle parole
m’è apparso d’essere amata
poi ho richiuso la porta
ma non capisco
sono loro sole a viverlo lì dentro
in quel cuore d’incenso
o noi qui fuori
in questo cuore di carne

Chissà cos’è l’amore …

L.L.

365 giorni, Libroarbitrio

“Pantera” Stefano Benni

Aixi
Aixi scappa all’alba prima che arrivi il gippone della zia e Mandrago il guercio e il maresciallo o chissà chi a portarla via: Aixi entra in mare e nuota nuota finché non le manca il fiato e va giù, giù, circondata da un girotondo di aragoste e Dentidiferro, e si posa sul fondo e un piede si aggancia a una vecchia ancora e non tornerà mai più su, resterà lì come una perla.
Oppure Aixi, all’ultimo momento, fa una capriola da delfino e torna nuotando a riva. Non vuole più morire e si butta esausta sulla spiaggia, troppo stanca per piangere.
Il sole si alza e la scalda.
Il mare le lambisce i piedi.
Loro sono grandi, ma si accorgono anche di una cosa piccola come lei.

365 giorni, Libroarbitrio

Al mercato Mannarino – L.L.

 

Sampietrini

Era notte in quel mattino
ed ho ricordato di un viaggio che facevo a dieci anni.
Ho pensato –  Forse è quel giorno.
Nello svegliarmi alzarmi lavarmi vestirmi ci ho chiuso fuori me.
Pensieri. Ossessioni. Paure. Compulsioni. Voglie. Sogni. Desideri.
Ho disdetto tutto. Ho dismesso tutto. Ed ho fatto entrare lei.
Jeans e maglietta.
Non mi sono pettinata né truccata.
Senza un soldo.
Senza salutare.
Senza chiavi.
Me ne sono andata al mercato.
Non quello del mio quartiere, ma da Giordano passando da Trilussa.
Perché è lì che ero solita andare.
Perché è quello che ho ricordato.
Perché ho dieci anni e sono felice a starmene dove i palazzi odorano di marmo gelido pure d’estate.
Dove ad accompagnarmi per la strada è l’odore degli alberi della città e il cucinato che sbuca dalle finestre perdendosi nei vicoli stretti.
Per le vie di sampietrini sono arrivata al mercato.
I negozi sono cambiati ma di quelli non me ne frega nulla
m’importa del chicco d’uva gigante nella bocca
della ciliegia pulita con le mani impolverate
delle olive verdi nella salsa puzzolente dolcisalate sulla lingua
dei fruttivendoli sbracciati e sguaiati che urlano il pregio del loro giovare
ed immagino il suono della voce di Giordano
nel suo cupo andirivieni  alla ricerca dell’entità infinita del tutto
di quella di Trilussa
che grida nell’aria il rimodernare composizioni metriche ridendo e sbeffeggiando tutti
invece ardono quelle delle pettegole che si fanno il verso l’una a l’altra
bisticciando per chi strappa il sorriso più bello all’ortolano.
Percepisco musica
ascoltata da chi vive dietro le finestre lasciandola divampare fuori come l’odore di sugo,
e mentre mi aggiro tra i banchi cercando solo ricordi odo il suo rimando
così al mercato ho trovato questo canto
voce di un giovane dalle straordinarie speranze
speranze di un futuro privo dall’angoscia della rabbia ma d’amore e d’arte nutrito
la stessa speranza che nutre l’uomo che porto nel cuore
e ascoltarlo mi ha fatto rizzare i peli fin dietro la nuca
e allora sono corsa a domandare chi fosse
– E’ Mannarino, Signorì nu’ lo conosci?
e ricordare che in effetti l’avevo già ascoltato
e ricordare ch’ero in sua compagnia mi ha scosso
e confusa mi sono commossa
e come a dieci anni
se vedevo un bimbo piangere piangevo con lui
se correva ci correvo  assieme
se lo vedevo morire, bé
ero lì con la mia mano stretta a lui
e lui con la sua sulle mie guance.
L’attimo dopo ho capito di essere accorsa a questo di mercato per riprendere me con i miei ricordi.
Con questo dono nella mente me ne sono tornata a casa
ho salutato Giordano e poi Trilussa
me ne sono tornata alla vita
con la consapevolezza
che ho memoria di quella carezza sul mio volto
che ci ho messo la guancia al riparo
regalo dell’immensità della pace.
E non crediate sia poco.
Non lo è.
E.
Con il pensarti che è gioia immensa
come essere spensierati sempre
mi dedico tutto questo
una me di dieci anni
in una mezza giornata di vita
speranzosa e felice.

 

Buona domenica a tutti voi che mi leggete
anche a chi è solo di passaggio per un’occhiata furtiva.
Lasciatevi catturare dalla melodia delle parole tutte
che sia poesia
che sia musica
che sia semplice conversare.

L.L.

 

365 giorni, Libroarbitrio

Ascolti mai piangere un cormorano?

 

Cormorano foto

Ascolti mai piangere un cormorano?
Lui stesso non lo sa
il suono di ali spiegate
lingua gettata fuori dal becco
contro il cielo in un urlo
non sa di piangere in quel momento
crede solo di planare ad est
seguendo il comando disgraziato di un vento che gli getta addosso la sua aria da ovest.
Tuttavia.
Lasciamo masticarci gli animi
tanto non ci avranno
perché in un modo o nell’altro
il tiepido candore della lotta
smuove la nostra insana mente.
E ridiamo? Vero? Tu che sei guerriero poeta ridi con me. Ridiamogli forte in faccia! Ahahahahaha.
Ma la tortura che soffoca  d’apnea, lo strazio che m’obbliga a difenderli tutti è il sapere che neanche loro sapevano perché. E il dottore ( e pensare desideravo così tanto mi curasse) dice – allora scrivimi una storiella delle tue, magari riuscirò a capire, oppure, come ormai ti ripeto da tempo immemore, impara a parlare!Dai! Vogliamo provare?- .
– Certo – rispondo sorridendo mentre penso alla parola vogliamo.

SILENZIO !

– Vedrai la prossima volta riuscirai a parlare-.
– Certo- rispondo sorridendo mentre penso alle parole la prossima volta riuscirai a parlare.
Questa mattina ho cercato e trovato un altro dottore. Comunque l’ho scritta la storiella – Certo- ma non sorrido né gliela farò mai leggere.
Ma questo non è il problema, questa è stata cosa comandata e fatta, sono loro che non riesco a cambiare, sono loro che non se ne vogliono andare, da me, dalle mie parole scritte. E allora li osservi sotto il sorriso beffardo, li osservi ancora più a fondo, sotto i primi strati di pelle marcia, ancora più in fondo, sotto raccordi di vene trafficate da sangue che impazza come macchine in corsa flesciate dagli autovelox. Click. Flash. Click. Flash. Quel maledetto cappottino che appare nelle foto. Odio le fotografie perché parlano. La gente le guarda e ci si vede riflessa. Io le sento parlare. Le gonnelline di velluto s’arrabbiano perché toccandole si cambia il verso della stoffa- Non mi toccare!- , le scarpette lucide non vogliono che cammini implorando – Ferma dove vai?-, e i capelli sottili, maledettamente sottili che si spezzavano ad ogni strattonata, urlano – Tagliami tagliami!-. E maledetti voi e maledetta io.
E tu? Chissà cosa pensi mentre io come posso farti questo? Farti leggere tutto questo mio terrore.
E intanto osservi, ancora più in fondo, come tutto quel sangue corre precipitandosi gettandosi con un colpo contro pareti di carne viva prima che la valvola si chiuda per quell’attimo in cui il cuore resta senza di lui. Senza fiato. Avverti l’afasia della mia morte giusto in quell’attimo. Un colpo. Maledetto pure lui, basterebbe, o meglio, sarebbe bastato solo un bel colpo misurato con la giusta forza e non ci sarebbero state altre fotografie. Niente cappottino gonnelline scarpette capelli quarta elementare cancellini lavagne sussidiario grembiulini rosa a quadretti educazione ingegno mattonelle pesciolini giostre acqua libri libri libri, e la mente che cresce imboccando una strada diversa dalle mie gambe, anche loro crescono, le gambe, ma è la mente, quella è un disastro. La mente ha preso il comando sulle gambe ti rendi conto? Questo è pericoloso lo sai? Sai che chiunque dovrebbe starmi lontano fuggire da me perché io sono un’infezione cerebrale. Ed io ce l’ho messa tutta per non fare del male alle persone. Sempre un passo in dietro. In classe in prima fila mentre tutti gli altri bambini si sedevano agli ultimi banchi a fare comunella perché pensavo – e se poi loro guardandomi mi vedono?- io cosa avrei dovuto dire? Per carità. Vergogna. Silenzio. Sì sì, meglio il silenzio quello muto seduta sulle scalette di palazzi dalle forme architettoniche attempate straordinariamente belli, nei vicoletti di una città morta assieme a me col diario da bruciare tra le mani donandomi l’assurdità di sentirmi dalla forma architettonica astratta quasi bella anch’io.
E poi. Poeta guerriero averti trovato complice nella mia confusione da renderla chiara mentre ti ascolto piangere cormorano tienimi il tempo di un sospiro tra le tue braccia piumate ed io sarò dal tuo antidoto guarita. E poi basta.
Ridiamogli forte in faccia!
AHAHAHAHAHA

L.L.

 

365 giorni, Libroarbitrio

Edoardo Sanguineti da “Triperuno”

Roma 6 gennaio 2014

Edoardo Sanguineti

Piangi piangi, che ti compero una lunga spada blu di plastica, un frigorifero
Bosch in miniatura, un salvadanaio di terra cotta, un quaderno
con tredici righe, un’azione della Montecatini:

                                                                                            piangi piangi, che ti compero
una piccola maschera antigas, un flacone di sciroppo ricostituente,
un robot, un catechismo con illustrazioni a colori, una carta geografica
con bandiere vittoriose:

                                                      piangi piangi, che ti compero un grosso capidoglio
di gomma piuma, un albero di Natale, un pirata con una gamba
di legno, un coltello a serramanico, una bella scheggia di una bella
bomba a mano:

                                piangi piangi, che ti compero tanti francobolli,
dell’Algeria francese, tanti succhi di frutta, tante teste di legno,
tante teste di moro, tante teste di morto:

                                                                                       oh ridi ridi, che ti compero
un fratellino: che così tu lo chiami per nome: che così tu lo chiami
Michele.

Sono versi profondamente e amaramente polemici.
Nella nostra società dei consumi tutto è ridotto a livello di oggetto, di merce: e, così, grottescamente si mescolano i giocattoli, gli elettrodomestici, le medicine, il catechismo, le allusioni alla tragica guerra di liberazione dell’Algeria. L’unico acquisto vero, al termine della filastrocca accusatrice e demistificante, sarà un fratellino: e per questo regalo, il bimbo, è invitato finalmente a ridere.

***

Abbraccia tuo figlio

di un abbraccio caldo e sincero

lui dimenticherà dei giochi

di lagnarsi per un capriccio

e non ci sarà più bisogno del lupo nero 

per attirare la sua attenzione

di  babbo Natale

che giustifichi la tua richiesta d’amore.

LL

A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Iacopo Vittorelli

Roma 11 maggio 2013

Guarda che bianca luna!

Guarda che bianca luna!

guarda che notte azzurra!

Un’aura non sussurra,

non tremola uno stel.

L’usignoletto solo

va da la siepe a l’orno,

e sospirando intorno

chiama la sua fedel.

Ella che il sente appena,

già vien di fronda in fronda,

e par che gli risponda:

“Non piangere, son qui.”

Che dolci affetti, o Irene,

che gemiti son questi!

Ah! mai tu non sapesti

rispondermi così.

di Iacopo Vittorelli

A domani

LL