Carissimi Lettori Buon Anno! Nell’augurarvi di riscoprirvi ogni giorno vivi e grati, condividerò con voi da oggi gli studi che sto facendo per la stesura del mio terzo romanzo. Il tema principale è il Sogno, ma per arrivare a lui dobbiamo partire da molto molto lontano, perchè è vero che nell’ultimo secolo e mezzo abbiamo fatto passi d gigante con la sua ricerca, eppure io sento che dobbiamo fare un salto temporale che è un vero e proprio salto nel buio, un viaggio nel tempo ed iniziare parlando di PROFEZIA.
“Sei stata destinata alla preveggenza, principessa Cassandra, hai davanti a te una vita di solitudine ed incomprensione. Sarai sola quando riceverai i presagi, sarai sola quando racconterai ciò che hai sentito, quando riferirai ciò che le bestie ti diranno, quando verrai additata come portatrice di sventura. In realtà, principessa, chi ti allontanerà perché avrà paura dei tuoi vaticini sarà più solo di te, perché saprà che la verità risiede nelle tue parole, ma non avrà abbastanza coraggio per accettarla. Sarai sola quando dovrai invocare gli dèi, sarai sola quando persino chi ti ama non ti comprenderà”
(Estratto da CASSANDRA di Cinzia Giorgio Newton Compton Editori)
“Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”
(Dante Alighieri, “La Divina Commedia” – Inferno: C. XXVI)
È appena trascorso il 25 marzo, giornata che dal 2020 è dedicata al Sommo Poeta Dante Alighieri (1265-1321) prendendo il nome di “Dantedì”. Una giornata che rimette al centro senza dubbio la cultura, la poesia, il meglio della nostra identità nazionale, come in molti hanno affermato in questi giorni. Sarebbe bello se queste giornate non solo si moltiplicassero, ma che venissero dedicate ad altre artiste ed altri artisti da tutto il mondo, per ricordarci l’universale e innegabile importanza della Bellezza e della Cultura, tra le grandi vittime di questo periodo, considerate inutili orpelli e nulla più.
Fra i canti della Divina Commedia, quello dedicato ad Ulisse (Canto XXVI dell’Inferno) è forse uno dei più noti e amati dai lettori di ieri e di oggi, non solo per via dell’emblematica figura di Odisseo, perenne viaggiatore e sognatore, ma anche per l’esaltazione, attraverso la sua figura, dell’umanità stessa e della sua insaziabile voglia di Conoscenza, quella voglia che, per fortuna, a mio dire, avrebbe spinto Eva a cogliere la mela, proprio perché il desiderio di conoscere è vitale quanto il sangue che ci scorre nelle vene. In una Commedia che sembra tutta rivolta al divino, Dante, uomo di mondo politicamente impegnato, non smette di guardare agli esseri umani, ed è proprio nell’Inferno che troviamo i ritratti più celebri e splendidi di un’umanità che, se liberata dal pesante fardello del peccato originale, ormai inaccettabile, potrebbe splendere in tutta la sua “imperfetta” beltà, come l’amore, ormai eterno, di Paolo e Francesca.
Uno dei grandi temi del XXVI canto dell’Inferno è proprio quello della Conoscenza che Dante decide di celebrare attraverso Ulisse il quale, fraudolento, si trova nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, condannato ad essere avvolto da una lingua di fuoco che divide con il compagno Diomede. “Lo maggior corno”, Ulisse, racconta al Sommo Poeta la vicenda della sua morte partendo dal ritorno ad Itaca, patria tanto agognata dalla quale, però, decide di dividersi nuovamente perché come scriverà il cretese Nikos Kazantzakis (1883–1957): “Anima, la tua patria è sempre stata il viaggio!”.
L’ardore di “diventare esperto del mondo” è più forte di tutto e non gli lascia altra scelta che quella di rimettersi in viaggio. Raduna così, i suoi compagni “vecchi e tardi” su un’imbarcazione e inizia una navigazione di cinque mesi volta a raggiungere le Colonne d’Ercole (l’attuale stretto di Gibilterra) che all’epoca segnavano il limite oltre il quale era proibito spingersi. Prima di oltrepassare lo stretto, cogliendo la difficoltà dell’impresa, Ulisse incoraggia i suoi compagni con un’orazione breve ma persuasiva, diventata una delle terzine più celebri della Commedia: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”. Sembra quasi di sentirglielo gridare con le lacrime agli occhi ed il volto imperlato di sudore, mentre le onde tartassano la nave, che nonostante tutto trova il cuore e il coraggio di andare avanti.
In questa memorabile terzina leggiamo, dunque, come la conoscenza sia all’origine stessa della natura umana: “la vostra semenza”, appunto, un seme piantato nel nostro cuore, sempre pronto a far sbocciare nuovi, splendidi, fiori, se ben accudito. Il desiderio di conoscere è sinonimo di vita ed Ulisse è il personaggio più adatto per simboleggiare questo nostro intimissimo aspetto, questa cosa chiamata Conoscenza senza la quale non saremmo veramente Liberi.
Conoscenza e Libertà camminano mano nella mano: l’una è condizione dell’altra. Dove saremmo oggi se l’essere umano non avesse superato ogni volta le sue conoscenze? Se non si fosse posto delle domande? E se non avesse ricercato a fondo per darsi delle risposte? La conoscenza è ricerca, è informazione, è coraggio, è saper mettere in discussione se stessi e gli altri. È una navigazione a vele spiegate in mare aperto. È sentirsi vivi e liberi, è avere la possibilità di realizzarsi e di sconfiggere l’ignoranza dalla quale non nascono altro che violenza e ingiustizie.
Solo la Conoscenza potrà farci uscire “a riveder le stelle”.
Al giorno d’oggi molte opere letterarie di un secolo fa sono considerate dei capolavori, e con esse la bravura dei loro autori, quasi nessuno sa, che queste opere ai tempi della loro pubblicazione non venivano comprese, addirittura nemmeno prese in considerazione dal pubblico lettore e quindi abbandonate sugli scaffali, o peggio negli angusti magazzini e mai giunte in libreria. Altre venivano accolte negativamente dalla critica, a volte, se si era proprio dei grandi scrittori accadevano tutte queste cose assieme, e lo sconforto e la depressione ne erano le indegne conseguenze di anni di studi e lavori di scrittura. Ora, per carità, non voglio dire che tutte le opere contemporanee che vedono la poca luce di occhi e bocche affamate di leggerle siano tutti dei capolavori, ma, molto spesso so di libri che meriterebbero più interesse da parte del pubblico lettore, ormai assuefatto e sterilizzato mentalmente, ineducato allo sperimentare con la propria testa la piacevole scoperta di un nuovo autore e il suo libro.
Lettori attenti non vi offendete, non è per tutti così, ma siamo sempre gli stessi, quelli che alla fine facciamo già parte del favoloso mondo della lettura, a volte facciamo parte del rarefatto mondo dell’editoria e quindi, forse, abbiamo più di un motivo per voler sperimentare. Ma tra il pubblico lettore quanti di voi sono disposti ad investire quindici euro in un romanzo d’esordio? In una raccolta poetica di un non Gio Evan? Insomma in una lettura al buio di cui non sappiamo nulla a priori dell’autore, nemmeno il profilo instagram?
Mentre a tutti gli autori che si sentono di aver fallito vi dico – non fate così! Non ha a che fare con il fallimento, né propriamente con voi, ha a che fare con l’apparire e il marketing spietato che sta caratterizzando quest’epoca, un’involuzione umana e tutto ciò che ne concerne, il naturale decorso della vita che si percorre e ripercorre sempre uguale. Magari tra cento anni sarete dei Bestsellers come L’interpretazione dei sogni (1899) e ne godranno i vostri nipoti, economicamente, forse.
Tuttavia se hai pubblicato il tuo libro, e magari non è nemmeno il primo, e nessuno ne parla, e sono sempre troppo pochi a leggerlo, tu continua lo stesso con il tuo lavoro quotidiano per la scrittura, con la lettura, la ricerca, il volere bene e fare del bene, ridi, magia, vivi una vita il più possibile normale, passeggia, scopri un barlume di luce mentre dentro tempesta, abbraccia la notte, ogni tanto lasciati stare e lascia stare le ansie, e di nuovo leggi e di nuovo scrivi, e chi vivrà vedrà, e se sarai letto e venderai tanto e andrai in ristampa sii felice, e se invece arrivi sullo scaffale e vendi dieci copie, nove agli amici e una ad un perfetto sconosciuto, vivi, leggi, scrivi, e sii ancora più felice.
Dal diario di Sigmund Freud: “Sono stato come tagliato fuori dal mondo; non una foglia si è mossa per dimostrare che l’Interpretazione dei sogni significhi qualcosa per qualcuno. L’ accoglienza che ha avuto il libro e il silenzio che ne è seguito hanno di nuovo distrutto il mio nascente rapporto col mondo” E ancora qualche giorno dopo “Nelle molte ore tristi mi è di conforto pensare che lascio almeno questo libro. In verità il modo come è stato accolto, perlomeno finora, non mi ha recato alcun piacere. Esso ha incontrato la comprensione più avara, le lodi che gli sono state concesse sono misere come la carità; evidentemente non piace alla maggioranza dei lettori e ancora non ho avuto sentore che qualcuno si sia accorto di tutto il suo valore. Mi faccio una ragione di ciò pensando di aver anticipato i tempi di quindici o venti anni. Poi, inevitabilmente, mi assale il dubbio tormentoso che si tratti invece di un giudizio in propriis”
Ogni pomeriggio al tramonto passeggio per Roma.
Mi basta chiudere gli occhi.
Oggi me ne sono andato a viale del Belvedere, l’intera città sotto ai miei piedi.
Ho visto l’arancia del Sole tramontare tra San Pietro e Monte Mario.
Fa sempre così quando si avvicina l’equinozio di primavera.
Ed oggi era già primavera.
Poi sono sceso su Viale della Trinità dei Monti, con lo sguardo rivolto alla mia destra, ad ammirare la quiete dei palazzi di Via Margutta.
La scalinata lo scesa lentamente, mani in tasca, fischiettando.
A metà strada già ho cominciato a sentire il sommesso gorgoglio della Barcaccia. L’ho raggiunta e c’ho girato intorno.
Forse solo la risacca del mare riesce a rilassarmi più del gorgoglio di una fontana romana. A quel punto mi sono lanciato a girare a zonzo, calibrando ogni singolo passo, gustandomi ogni singolo scorcio. A via della Scrofa mi è venuta sete e così mi sono divertito a far zampillare la fontanella che sta all’angolo con via dei Portoghesi: è una di quelle col getto più potente, arriva fin quasi al marciapiede opposto.
Ho bevuto come da bambino dopo tre ore passate a giocare a pallone sotto casa.
Viso bagnato e sguardo sorridente, ho proseguito verso Piazza San Luigi dei Francesi, quindi ho svoltato a destra e meno di tre minuti dopo mi sono ritrovato a Piazza Navona. Arrivarci mentre fa scuro è come essere alla Scala di Milano dieci secondi prima del buio in sala: elettrizzante.
Soddisfatto, mi sono sdraiato sulla panchina che si trova esattamente tra la chiesa di Sant’Agnese in Agone e la Fontana dei Quattro Fiumi.
A quel punto, se qualcuno avesse scattato una foto dall’alto, avrebbe visto il ritratto di un uomo libero e felice.
“Per Roma ad occhi chiusi” breve racconto di un sogno pindarico in quarantena di Maurizio Canforini, scrittore, attore e autore teatrale
Diario interiore del 13/03/2020 – Tempo di quarantena.
La mascherina.
In questo momento storico è il bene più ricercato in assoluto.
Il Santo Graal degli anni duemila.
Tutti la vogliono, tutti la cercano disperatamente,
perché sembra possa essere l’unico mezzo per salvarci.
Ma salvarci da cosa?
Dal Covid-19 o da qualcosa di più profondo, di più radicato?
La maschera è un simbolo antico, si pensa che fosse in origine un oggetto di difesa con lo scopo di atterrire il nemico. La maschera da guerra, del resto, si può ritenere logicamente derivata dalla pittura del viso e del corpo, la quale non può avere alcuno scopo se non quello di protezione magica. Come non pensare anche ad Halloween e alla tradizione di indossare una maschera spaventosa che allontani gli spiriti cattivi. E forse è questo che tentiamo di fare con le nostre mascherine, tentiamo di atterrire il virus, spaventandolo con la nostra maschera magica.
La Maschera è anche l’oggetto di potere di uno degli Dei/Archetipi più spaventoso dell’olimpo/inconscio collettivo: Ade, il re degli Inferi. La mascheradi Ade gli donava l’invisibilità, attraverso la quale poteva esercitare il potere di spogliarsi della propria identità per assumerne diverse altre, così numerose che forse a conti fatti non ne aveva nessuna. Il vantaggio di indossare di volta in volta una maschera diversa gli forniva l’opportunità di rendersi invisibile e di trasgredire alle regole poiché era consapevole che sarebbe rimasto impunito. Ade conosce due grandi limiti: quello del tempo imposto dal padre Crono e quello dello spazio espresso simbolicamente dalla madre terra Rea. Essendo però figlio di questi limiti osa trascenderli soprattutto per quanto riguarda il luogo in cui era stato relegato.
E non è forse quello che facciamo noi oggi? La maschera ci sta permettendo di trascendere i limiti del tempo e dello spazio, non dobbiamo andare a lavoro, non dobbiamo uscire, abbiamo un tempo rubato in uno spazio definito su misura per noi, oro prezioso caduto dal cielo (o dagli inferi?) che possiamo utilizzare per fiorire, evolvere e guardare in faccia le nostre ombre.
Ad Ade è stato assegnato il compito di prendersi cura di ciò che viene represso ed occultato, dei segreti, delle vergogne, delle pulsioni oscure, delle emozioni negative, dei rimpianti e delle paure. E noi siamo qui, in pieno regno di Ade, a guardare dritte in faccia le nostre paure, con la nostra mascherina, tentando di allontanarle, tentando di esorcizzarle. E’ un occasione rara per l’umanità, l’occasione di portare a coscienza il marciume, di portare in luce l’occultato, di trasformarlo. Come alchimisti dell’anima, abbiamo la possibilità di affrontare insieme una nigredo collettiva, di morire a noi stessi e rinascere come gli esseri umani che siamo destinati ad essere. Non è un caso che tutto questo stia accadendo poco prima di Pasqua, in tempo di quaresima, in tempo di morte, in tempo di Ade. Se saremo in grado di affrontare collettivamente le nostre zone oscure sarà possibile avviare un globale processo di trasformazione e rinascita, realizzando una conoscenza più profonda di sé. Con grande sforzo ed impegno si possono intravvedere i contorni della ricostruzione della propria identità, della rettificazione e del risanamento. Quindi ritornando alla domanda iniziale, da cosa può salvarci la nostra mascherina per davvero? Da noi stessi, dai condizionamenti che abbiamo, dal bagaglio di sovrastrutture che non riusciamo a lasciare andare e dalla menzogna che ci raccontiamo ogni giorno. Ade attraverso la maschera perde la propria identità per assumere quella del Dio che rappresenta.
Ed è quello che possiamo fare anche noi,
indossare la maschera per perderla
e finalmente identificarci con il divino che è in noi.
Siamo simili, simili
nei nostri lividi
e limiti,
abili
a creare nuovi alibi
albe di un dì
tutto fragore e furore…
…esprimendo in rime
il disagio distratto
di un ingranaggio distrutto.
Basta tornare umani
per avere ancora un domani,
un futuro in attesa
senza colpo patire,
restare o partire
non fa differenza
ciò che conta è l’essenza
della nostra presenza.
DuediRipicca – SIMILI
Vincent Van Gogh – CAMPO DI GRANO CON CIPRESSI
Un #DuediRipicca al giorno alleggerisce la quarantena attorno
Andiamo avanti nonostante tutto, facendo e dando il meglio di noi, e come sempre e da sempre facciamo arte, letteratura, musica e chiacchiere assieme, da qui e sul nostro www.libroarbitrio.com
.in questi giorni difficili
stronzi, bastardi e tristi
stringi gli abbracci più forte
respira più forte
cammina più forte
corri più forte
cadi più forte
rialzati più forte
splendi più forte
ridi più forte
osserva più forte
parla più forte
scrivi più forte
ama più forte
vivi,
vivi più forte.
.non sottovalutare il dolore non sopravvalutare la felicità esistono luoghi dentro di noi
dove entrambi non esistono
la letteratura non è innocente
un bambino non lo sarà per sempre.
“Lié chiede un passaggio alla vita e questo passaggio, lungo o corto che sia, ci conduce sine dubio ad unico traguardo, ma mentre la poetessa gode di questo passaggio con la gioia di chi ne conosce veramente il valore, osserva la città, a volte la periferia e la poetica che si può trovare soltanto in alcuni bar, osserva i paesaggi, spia dalle finestre la vita degli altri e poi ci entra dentro, diventando parte di quella vita dove l’amore è ancora una volta la componente dominante. L’amore passionale, a volte malizioso. Osserva con realismo e la giusta dose di fantasia fino a trasformare una Libellula in una “Sìbellula” che vola aiutando tutti, dicendo sempre di Sì, perché aiutare gli altri ti rende una persona più bella, una persona “Sìbellula”. Un’altalena di sorrisi, di pianti, di notti proibite, di lingue sul collo e non solo lì, con la giusta leggerezza e la consapevolezza che tutto prima o poi finirà. Ma la fine per Lié non è mai una tragedia ma un gesto delicato difficile da trovare nella vita.
La vita è importante.
Viverla soprattutto.
La vita comunque. ”
Estratto dalla prefazione scritta per me scritta dal poeta Er Pinto , che stimo e ringrazio davvero di cuore.
.e se invece del cellulare
avessimo sempre a portata di mano
un quadernino e una penna biro
e ci accostassimo ai nostri pensieri
più che a quelli degli altri
ogni volta che ci sentiamo stanchi ed annoiati
disperati e ossessionati,
e accostassimo la macchina o un piede ad un albero
all’ombra di un caffè nella pausa pranzo,
affamati e insonni nel cuore della notte,
e iniziassimo ad appuntare solo le nostre di emozioni
i deliri e i nomi di amici e nemici,
che sarebbe meglio evitare,
e scarabocchiassimo disegni e parole
come odori e sogni
a fuoriuscire da vecchi cassetti mentali
d’impolverate speranze da rispolverare nuove
e smettere di farci una guerra antisociale
e smetterla anche di pensare
che l’erba del vicino è sempre più verde e fashion
che solo chi vivrà vedrà, che volere è potere
che mal comune fa sempre mezzo gaudio
di dare il tempo al tempo,
e se ce lo riprendessimo noi, fin da subito,
tutto questo nostro tempo?
appuntandoci a cuor leggero la lista delle cose da non fare
perché lo sappiamo che tanto poi ci faranno male
e con estrema audacia invece
scriver ciò che di bello abbiamo e siamo,
e sappiamo e vogliamo creare,
per liberarci un po’ la testa, e stare meglio davvero,
a volte penso, che addirittura,
potremmo semplicemente esser felici così,
annotando tutto di noi,
ma solo con l’inchiostro, su questo quadernino tutto nostro
questo tempo dedicato, troppo spesso impiegato
a star piegati su mille lumen, messaggini e mail
ad affaticarci a dar consigli
che la gente non vuole davvero
è solo un impicciarci delle fatiche altrui
e perderci così l’essenziale della vita nostra
che è solo una, e questa.
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