365 giorni, Libroarbitrio

Anno 2021: la Nuova Inquisizione! L’Umanetica e il caso COVID19

“Chi muove la massa ed il suo prossimo attraverso il ricatto, l’accusa e la paura della morte confonde l’aiuto con l’umiliazione, e la protezione con il sopruso. La sua giustizia è parziale, la sua onestà apparenza, la sua filosofia povera, e la sua scienza cieca, perché non mira a conoscere ma teme l’incontro e favorisce lo scontro, per queste ragioni tutte chi fonda il suo agire su tali pilastri non può considerarsi umano.”

ASCOLTATE IL COMUNICATO nel link di seguito, ascoltate le argomentazioni di chi fa ricerca e dedica la sua vita a servizio per il prossimo.

Se volete saperne di più seguite le pagine

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Lié legge .Lié. per la Società Dante Alighieri con il poeta Giovanni Zamponi

Lié Larousse Società Dante Alighieri

Amor, ch’a nullo amato amar perdona …
scrisse nell’inferno tra gli inferi della sua mente il nostro buon poeta Dante Alighieri, e per onorare tanta geniale follia questo pomeriggio alle 17:30 l’autrice
Lié Larousse dialogherà, in quel di Fermo, del suo libro di poesie .Lié. , Miraggi Edizioni, con i ragazzi dell’Università di Bologna e il poeta Giovanni Zamponi, ospite della Società Dante Alighieri.

Se vi trovate nelle #Marche ,a #Fermo , attenti a non inciampare tra Inferno e Paradiso, che il Purgatorio non è per tutti🍻

Progetto fotografico e copertina di Gabriele Ferramola

Fb page: Libroarbitrio
#comitatodifermo  #societadantealighieri #poesia #miraggidaleggere #dantealighieri

 

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TI VENGO A TROVARE – Gianluca Pavia

Gianluca Pavia - Ti vengo a trovare

Ogni tanto ti vengo a trovare,
seduto comodo in spiaggia
tu da qualche parte in mare,
parliamo per delle ore,
e a volte manchi così forte
che potrei quasi abbracciarti
ma appena ti sfioro
sparisci come un sogno,
o un ricordo.
Nella testa una gif in loop,
il tuo sorriso
e io che mi ci specchio
bambino,
un’idea da dove vengo
dove voglio arrivare.
Nessun posto in particolare
solo andare, mai fermarsi,
neanche i morti si fermano
soffiati dai venti
navigati dalle correnti.
Chissà, tu, dove sei finita?
Sicilia, Maldive, Cina,
mai troppo lontana.
E so che in qualche modo mi senti
e ridi con me.
L’8, il tuo compleanno
ha scritto una libreria,
una non male,
volevano 10 copie del romanzo,
quello che stavo scrivendo.
Ricordi? Io sì,
l’ho finito 27 giorni prima di

beh, quello non lo scordi.
Ne è passato di tempo
di riscritture
di notti che sembravano l’ultima.
Poi,
c’è sempre ancora un’alba.
E so che in qualche modo mi segui
e fai il tifo per me.
Anche se tendo più per la reincarnazione:
una bimba di quasi 4 anni
capelli a caschetto un sacco di lentiggini
una vita questa volta più facile
questa volta più felice,
e un sorriso infinito sui miei passi
che continuano a camminare.
Che ci posso fare, mi piace
e sulla riva
riusciamo perfino a parlare.

 

365 giorni, Libroarbitrio

CIAO NICOLINO “PALADINO SGHEMBO”

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“Da sempre, averti immaginata,
desiderata, attesa.
Per attimi, VIVERTI, 
completamente,
nel più totale abbandono,
e morirti,
annegando nel mare dei tuoi occhi
e annullandomi fra le tue sconfinate braccia
e poi, tornare ad attenderti,
desiderarti,
immaginarti,
nel paradiso circolare del CERCARTI,
fuggendoti e rincorrendoti
fino alla Fine dei Tempi.”

Così ci saluta Nicolino Pompa. 

Alessandro Pompa ringrazia tutti, amici e amiche, invitandoci a salutare il padre poeta oggi dalle 15 alle 18:30 al Policlinico Umberto I Roma, Sala Mortuaria, cappella n°5.
Dopo il 20 ottobre ricorderemo Nicolino con una cerimonia laica presso la sua abitazione di Roma, intanto per chi volesse può contattare Alessandro al numero 3711417678.

Nicolino, dice Alessandro, ci avrebbe sorriso, donato rose bianche e bicchieri di vino fresco.

Ciao Nicolinooooo

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UN, DU E TRE – Gianluca Pavia

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Un, du e tre
un, due,
è bello ballare con la morte
casqué
e sfiorarle il viso così dolce.
Non è per niente brutta
come dicono,
ha solo l’aspetto
delle occasioni perse.
Un, due
passo di lato,
labbra mai baciate
scuse accampate
passi che seguon passi
che non hai seguito
perché diretti troppo lontano.
E’ un valzer suonato
da mariachi,
l’elettronica di un aborigeno
in sandali e guepiere.
Oh, guarda
è la nostra milonga,
e quando ti strusci nel tuo vestitino
accendi musica in me.
Ora però
fai silenzio
e lascia il ritmo condurre,
fai silenzio
che è l’ultimo pezzo,
un’unica pazzia
che fa
un, du, tre
casqué.

Gianluca Pavia
DuediRipicca

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I Lunedì di LuccAutori -La nostra rosa – Enrico Valdès

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Fu il suo regalo per il compleanno della madre, quando lui aveva vent’anni, un vaso fiorito di rose gialle, bordate di scuro e profumate.
Luca abitava con la famiglia in un appartamento in città, poco adatto però alle esigenze di aria e sole della piccola pianta.
Sua madre la curava con sollecitudine e la teneva nella stanza più luminosa, le attenzioni erano tante, ma la piantina non cresceva, le foglie si raggrinzivano e cadevano. Era destinata a seccarsi.
In giugno la famiglia si trasferì nella casa al mare e, con loro, si spostò anche quel vaso con i suoi deboli rametti spinosi.
In un angolo del giardino la rosa venne messa in piena terra, era l’ultimo tentativo per farla sopravvivere.
Ogni mattina la madre la scrutava ansiosa, sperando che la linfa vitale non si fosse esaurita, e in luglio, come per miracolo, la piantina riprese forza, spuntarono nuove gemme, foglie e fiori profumati.
“Vedi, – disse la madre a Luca – la rosa non si è arresa.”
Passarono le stagioni, la piantina divenne pianta, il giardiniere la potava e diventò forte, con spine acuminate e fioriture esuberanti.
Faceva parte oramai del giardino, era come se da sempre fosse esistita là, ed era lei la preferita della madre, che l’aveva salvata con le sue cure.
Con la rosa lei e Luca avevano un legame speciale, un vincolo non detto tra madre e figlio.
Molti anni, boccioli, petali e profumo.
Ogni volta che Luca entrava nel giardino il suo sguardo correva alla rosa e al ricordo dei suoi vent’anni. Con la madre passavano là davanti e si fermavano, felici o tristi, parlavano o tacevano.
Luca diventò adulto e la madre anziana, indebolita dalle malattie, camminava con difficoltà ma, quando il figlio le era accanto, si sentiva forte e non si lamentava di alcuna sofferenza.
Gli ultimi anni li trascorse tra poltrona e letto, senza mai abbandonare il suo sguardo coraggioso e dolce.
L’ultima sua estate, dal letto chiese a Luca di sollevarla, di metterla seduta.
“Cosa vuoi fare?” lui le domandò.
“Vorrei vedere la nostra rosa.”
Era la prima volta che la chiamava “la nostra”, e lui ne fu colpito, si commosse, i suoi occhi divennero lucidi.
Lei osservò a lungo la rosa da lontano. Era fiorita.
“Vorrei sentirne il profumo.” gli disse.
Luca l’accontentò e, tra le sue mani dalla pelle sottile, ne mise un bocciolo.
Lei l’aspirò,“Che bel profumo, – disse – senti.” e Luca si avvicinò, le trattenne le mani tra le sue e respirò l’aroma del “loro” fiore.
Erano passati dieci anni da quando la madre se ne era andata, portando via con sé quel suo speciale sorriso, e tutto cambiò.
Cambiò anche il giardino della casa al mare, con nuovi alberi, nuovi cespugli e nuovi rampicanti.
La terra venne smossa, rivoltata attorno alla rosa, che soffrì e divenne spoglia.
Giunse l’estate, il sole prosciugò le zolle, della pianta rimasero tre soli rami nudi, e il giardiniere disse che, forse, non si sarebbe ripresa.
Vicino a essa un prato verde, piante e fiori rigogliosi, solo la rosa era inerte, come senza vita, ma l’acqua tornò a dissetare il terreno e le sue radici.
Luca ogni giorno la guardava con speranza, e infine spuntò un germoglio, poi ne vennero altri, e ancora giovani foglie. Comparve per ultimo un bocciolo come quello che sua madre tenne un giorno tra le mani, con lo stesso profumo, e Luca risentì la voce di lei.

Aiutami, – mi chiese –
sollevami dal letto,
voglio veder la rosa
che un giorno mi donasti.”

Crebbe laggiù la pianta,
con spine e verdi foglie,
con boccioli e con petali,
gialli e di scuro orlati.

Rinascono ogni anno,
e ancora qua profumano.
Era la nostra rosa,
ricordo di mia madre.

Racconto “La nostra rosa”  scritto da Enrico Valdès
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I lunedì di LuccAutori”

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Potete acquistare il volume dei racconti vincitori del Premio
“Racconti nella Rete 2016”
edito da Nottetempo, a cura di Demetrio Brandi,
in tutte le librerie a distribuzione nazionale
oppure on line al link di seguito
http://www.edizioninottetempo.it/it/prodotto/racconti-nella-rete-2016

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365 giorni, Libroarbitrio

Vedo vedooo… DuediRipicca

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Preferirai sempre la pazzia. Rischierai tutto. Sarai il buffone e il saggio di corte, farai quello che nessuno è stato mai capace di fare. Ti rispetterai non rispettando ciò che ti impedisce di volare, di sognare, e camminerai in precario equilibrio su di un filo teso piuttosto che averlo attorno al collo.

Godrai del corpo dell’orgasmo del piacere. Morderai leccherai toccherai scoprirai tutti i sensi gustando il grande senso di tutto.

E un giorno ti dimenticherai ti perdonerai e vivrai dentro la tua testa senza il bisogno di specchiarti e volerti vedere per forza perché saprai essere e sentirti essere.

E allora amerai. Sceglierai qualsiasi possibilità d’amare e d’essere amato. L’impossibile sconclusionata complicata certezza che ferisce. L’incorreggibile eccessiva costante che guarisce.

E sarai casa ovunque. E dormirai beato.

DuediRipicca

 

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La zona cieca – Chiara Gamberale

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La goccia nera.
Qualcosa che quando c’è lei non ci sei più tu.
E’come la perdita dei superpoteri per un supereroe.
Un senso assoluto di fallimento.
I pensieri che ti si sciolgono di dosso.
Sono lo schizzo di sperma di un’eiaculazione notturna.
Il legno marcio di un vecchio galeone affondato.
La cacca quando non ti viene.
La bolletta scaduta.
Sono uno zero.
Nemmeno degno della rotondità di uno zero.
Sono zero virgola due.

365 giorni, Libroarbitrio

una poesia quasi inventata – Charles Bukowski

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ti vedo mentre bevi a una fontana con minuscole mani blu, no, le tue mani non sono minuscole sono piccole, e la fontana si trova in Francia da dove mi hai scritto l’ultima lettera e ti ho risposto senza avere più tue notizie.
scrivevi sempre poesie folli su
DIO E GLI ANGELI, tutto in lettere maiuscole, e
conoscevi artisti famosi e quasi tutti erano tuoi amanti, e ti risposi, va bene così, continua pure, entra nella loro vita, non sono geloso perché non ci siamo mai visti. ci siamo trovati vicini quella volta
a New Orleans, separati da mezzo isolato, ma non ci siamo mai
incontrati,
mai toccati,
così tu andavi con la gente famosa e scrivevi sulla gente famosa e ovviamente scopristi che le persone famose si occupano solo della propria fama – non della bella ragazza che si sveglia la mattina per scrivere poesie in lettere maiuscole su
DIO E GLI ANGELI.
sappiamo che Dio è morto, ce l’hanno detto, ma a starti a sentire non ne ero più sicuro. forse era per via delle maiuscole. eri una delle migliori poetesse e lo dissi agli editori,
ai redattori
<< pubblicatela, pubblicatela, è matta ma ha un tocco magico. non c’è falsità nel suo fervore.>>

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DANIEL VARUJAN – IL CANTO DEL PANE

 

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Il Canto del Pane 

                                                                                                                           Luglio 1915 deserto d’Anatolia

Un giovane contadino miete la terra e canta poesie. Ha da poco compiuto il trentesimo anno di età. Si siede ai piedi di uno dei salici che costeggiano il fiume dove il bue s’abbevera. La carrareccia curva e una piccola casa di mattoncini rossi s’affaccia. Dalle finestre l’odore della pasta del pane adagiata in fazzoletti di lino a lievitare per la sera. E’ la mezza. Una pentola sul fuoco e una mano di donna che apparecchia la tavola. Il giovane contadino ha legato una bisaccia sulla cinta che gli tiene su il pantalone in vita, dentro c’è un piccolo quaderno rilegato dalle stesse mani che ora versano la minestra nei piatti, e una penna. L’odore della pasta del pane si mescola appena fuori dalla finestra con quello delle patate bollite e del fieno bagnato dal mezzogiorno.
– Daniel. Caro venite! E’ pronto!
Daniel Varujan volta lo sguardo alla scia della voce della donna, la sua donna. Sorride e svelto scrive:

Alla Musa

Come vigoroso il lavoratore afferra
la curva impugnatura dell’aratro,
lacera il fianco delle terre
e sotto il torrente dei raggi solari
i solchi aridi diventano fertili,

– Daniel se il brodo di patate si fredda poi non ti piace più! E non farmi gridare! Che il pane poi smette di crescere!
E Daniel ora quasi ride, sa che deve affrettarsi perché è vero, il brodo di patate freddo proprio non gli piace, ma il volto dolce e fintamente arrabbiato della sua amata, quello, gli piace tanto, come ogni cosa di lei, come

Come il grano fulvo nell’aia
si ammassa e i mulini ruggiscono;
come trabocca dalla vasca la pasta lievitata,
e il contadino la cuoce in forno
che è sempre acceso,

il piacere, il vigore creatore
che diffonde il pane,
tu insegnami, Musa mia amata,
Musa dei miei padri,

insegnami, e incorona di spighe la mia lira,
come questa penna, perché sull’aia,
alla fresca ombra del salice,
io mi possa sedere e generare
le mie canzoni, le mie poesie.

Daniel chiude soddisfatto il quaderno, lo ripone con la penna nella bisaccia e prende a correr verso casa, ma. I suoi passi risuonano in uno strano silenzio, poi un improvviso chiacchiericcio dall’interno della casa accompagna la presenza di due figure militari.
– Lei è il Signor Daniel Varujan, il poeta Daniel Varujan?
– Sì, sono io, come posso
– Ci segua per favore, prenda il documento di identificazione e ci segua, un semplice controllo.
La donna non riesce a trattenersi.
– Ma Daniel, stavo proprio dicendo ai signori che magari poi andare subito dopo pranzo, insomma, che modi sono questi e poi.
– Cara, copri il piatto, come dicono i signori sarò subito di ritorno, tu mangia non aspettarmi.
– No io ti aspetto invece
– D’accordo. Intanto potresti riporre questa, magari se ti va leggila, così poi mi dici se ti piace.
Daniel slega la bisaccia dalla cinta e la ripone nelle mani della giovane donna, prende il cappello dal portabiti, le dà un bacio, ed esce da casa a passo svelto. Lei lo insegue, il cuore in petto le batte fortissimo, lo tira a sé per un braccio, i militari si fermano innervositi.
Daniel ha quel sorriso buono negli occhi, la guarda per un tempo infinito.
Lei lo stringe fortissimo. All’orecchio si parlano piano.
– Allora vado a riordinare le tue poesie, e poi, e poi ti scaldo il brodo di patate, e non ti preoccupare di nulla e, e io ti aspetto!
– Amore mio, risolvo questa questione e torno.

Daniel Varujan quello stesso giorno fu mandato nel deserto, con altri uomini del suo paese, a camminare, senza metà, per nessun luogo, fino a morire di stenti.

                                                        Le sue poesie e quel che è stato della sua breve vita
potete leggerle, ed andare a conoscere la sua storia, visitando di persona
l’Isola di San Lazzaro Congregazione degli Armeni – Laguna di Venezia

Luglio 2016 – Venezia – Lié Larousse