365 giorni, Libroarbitrio

100 anni di BUKOWSKI – I nostri auguri con la poesia di Gianluca Pavia

Charles Bukowski

Una vita a rincorrere Bukowski

poi realizzi che

il Campari ti manda in pezzi

e non sono schiaffi e cazzotti

ma le carezze

a renderci più forti.

Una vita a combattere

pensiero unico ed omologazione

l’editoria Nazionalpopolare

fianco a fianco, gomito a gomito

con chi legge

recita, scimmiotta

s’improvvisa Bukowski

poi, in libreria

tira più un pelo d’influencer.

Una vita disordinata, incasinata

pulp fino al midollo,

sempre al bancone

ma senza compagni di sbronze,

a “ scrivo poesie per portarmi a letto le ragazze “

no, non è vero,

una vita sempre senza una donna

ma innamorato di tutte,

senza un soldo

ma sempre con in mano un bicchiere

vuoto,

ma con luce e angolazione giuste,

sempre mezzo pieno.

Un vita a rincorrere Bukowski

poi realizzi che

aveva ragione Santa Mamma:

non guardare quei film

non ascoltare quella musica

non leggere quei libri

che poi

fai la fine di Bukowski.

Morire ricco a 74 anni?

Beh,

non male come gran finale.

poesia BUKOWSKI di Gianluca Pavia
#duediripicca #liélarousse

365 giorni, Libroarbitrio

.storia di una storia che non finirà mai di essere scritta. – Lié Larousse

Grido d'Amore - Roberto Ferri.jpg

.storia di Gesù
ormai vecchio e morto da secoli
che però è stanco e abbattuto
perché non è morto per morire davvero
ma è morto per rivivere per sempre
e allora
muore e rivive
muore e rivive
muore e rivive
e oggi non ne può proprio più
tutta colpa della resurrezione dice,
e di mio padre che l’ha inventata
o chi per lui.

di Lié Larousse
da #Lié a #lavitacomunque per Miraggi Edizioni
DuediRipicca Gianluca Pavia
Opera pittorica di #robertoferri #gridodamore
#poesia #resurrection

365 giorni, Libroarbitrio

Paradiso – Er Pinto

 

Bosch-Giardino della delizia

Quanto è lontano da qui il paradiso?
Sembra vicino, lo sembra alle volte
Quando spiragli ci sfiorano il viso
Nei smarrimenti di notti sconvolte

Forse la vita è soltanto una scala
Ed ogni giorno soltanto un gradino
Verso qualcosa che infine regala
La pace ed il senso del mero destino

Son contenitori di sogni e energie
I nostri corpi, che ne misurano il viaggio
Per accettarlo scrivo poesie
Le mie fantasie mi rendono omaggio

Non c’è nessun Dio che ci dà la forza
Niente è infinito così è la natura
Che così bella ci incanta e si sforza
Di farci coraggio se abbiamo paura

La sensazione di essere vivo
Che provi se guardi un cielo stellato
È il vero segnale, il gesto incisivo
Che il dono prezioso è l’essere nato

Salgo le scale sudandone il prezzo
Non c’è l’inferno, non c’è il paradiso
Ogni scalino che salgo la apprezzo
La vita ti ha dato, la stessa ti ha ucciso

Se fosse freddo come d’inverno
L’inferno che invece pensiamo di fuoco
Se fosse vivere e pensare in eterno
Il vero finale, la beffa del gioco

Se fosse calda come l’estate
La lacrima che ti solletica il viso
Se fosse l’occhio nelle passeggiate
La porta segreta che è già il paradiso

Er Pinto

Opera pittorica
Il giardino delle delizie
di Hieronymus Bosch

365 giorni, Libroarbitrio

.la vita comunque. – Lié Larousse

visoth kakvei

 

.nonna Nannina
stende mutande, calzini e pezze da spolvero
sul filo che corre da finestra a finestra
chiacchiera del tempo al tempo
le mani ghiacce odorano di sapone
il marito e il figlio
li rivede solo quando in corridoio
passa difronte a lumini che ravvivano i volti sbiaditi
si fa il segno della Croce e svelta va in cucina:
per il nipote suo adorato ha messo su la pila dell’acqua
il sugo bolle già da due ore,
manca un pizzico di sale, due foglie di basilico;
Robertino sta al bar di sotto
coi denti neri e il Campari nelle mani
fatto ancora di un giorno non finito
conta buffi e rimbocca il bicchiere restando seduto,
la sedia se la tiene calda lui che dentro c’ha freddo
ma fuori basta una parola storta e prende subito fuoco
e non ce n’è più per nessuno,
non si vince e non si pareggia con lui,
appena fa buio la sera sparisce, nessuno lo sa dove va
pure se tutti lo sanno dove se ne va, e la mattina:
– finirai male, farai la fine di tuo padre, te lo dimo perché te volemo bene –
consigliano vecchi tra una mano di briscola e tresette
ma lui non li è mai stati a sentire, e all’unica amica buona
strizza l’occhio e dice voltandosi appena
– Chicca non è vero, non faremo la fine che dicono loro -;
Chicca, la figlia di nessuno,
gli dà un buffetto sulla guancia e se lo abbraccia
forte quel ragazzo
conosciuto quando aveva cinque anni,
ha gli occhi azzurri Robertino,
la pupilla impallata racconta degli stessi guai,
le strade, gli amori falliti, tutto l’abbandono del mondo,
gli sorride e se ne va sospirando,
occhi ben aperti alle spalle pensa alla sua di vita
e di nuovo a quella dell’amico caro
un ritornello infinito
di una canzone stonata
ma loro che ne sanno
e invece sì che sanno
e intanto passano anni, e tutto pare possa passare,
e intanto tutto è cambiato, e tutto è pure rimasto lo stesso
ieri Robertino stava seduto infondo al bus, le ha fatto l’occhietto,
Chicca è scesa due fermate prima, come sempre,
con un – ciao, a domani – nella mano, e un filo di voce per l’aria;
ed è già domani e l’edicolante scuote la testa,
scansa uno sbadiglio su quotidiani che non legge nessuno
un ventenne con le caviglie scoperte sfila spedito
occhi all’iphone e musica trap nell’orecchie,
la campanella della scuola materna chiama la ricreazione
bus, macchine e pedoni attraversano col rosso
il verde è una macchia di prato sporco, dall’altra parte del marciapiede,
ingoia altalene e panchine sbracate
sotto gli occhi lividi di case popolari rattoppate
e la vita marcia negli appartamenti occupati
ma con le facciate pittate belle
grazie alla speranza di artisti di strada che ci credono ancora e
– a Roberti’, non sai quanto te voglio crede’ –
sussurra Chicca al cielo,
soprattutto oggi, che il giorno tuo l’hai finito così
di punto in bianco te ne sei andato
hai chiuso l’azzurro degl’occhi coccolato
dall’andirivieni della tua vita in quel bus
e se n’è accorto uno zingaro al capolinea
e poi tutti stamattina
quando l’hai lasciati zitti e muti ad aspettare
quell’uomo rimasto per loro ragazzino sempre
che alla fine,
la fine del padre l’ha fatta per davvero,
e non ci sta più niente da dire
e nonna Nannina non ha più pezze da stendere
né sughi da far per ore bollire
e Chicca, bé,
Chicca ha un altro angelo da pregare.

Lié Larousse

DuediRipicca

#visothkakvei #vivere #lavitacomunque

365 giorni, Libroarbitrio

. volevo abbassare le armi e invece dovrò spararmi. – Lié Larousse

Takato Yamamoto

 

.della confusione mentale
te che ne sai?
quando credi d’aver messo tutto in ordine
nella testa, e invece una stilettata di follia
e la sua vertigine, e il cervello si disordina
disorientato
non capisci più nulla, del nulla
te che ne sai?
quando è così vuoto da riempirti fino all’orlo
e poi quello trabocca
come il bicchiere di troppo
in una finita nottataccia di troppo
sveglio invischiato da troppo
ed è davvero tutto, troppo
troppo più grande di te
come tutte le botte, i calci, le rese, le risa, le risse,
tutto accaduto per tutto e per niente, e del tutto e del niente
te che ne sai?
E poi volevo
credimi, lasciarmi stare
e invece no
“chi muore senza lasciar alcun segno è come se non fosse nato”.

365 giorni, Libroarbitrio

LA VITA E’ UNA GUERRA – Gianluca Pavia

roberto-ferri

La vita è una guerra
ogni risveglio, un raid nevrotico
ingoi polvere al gusto di napalm
e lo stomaco brucia
asfissiando pensieri
in un campo di grano
minato dalle convenzioni.

Siamo solo kamikaze
senza addestramento.
Siamo solo vittime
del fuoco amico.
Siamo solo pedine
su un atlante di filigrana.

Prigionieri
della resa incondizionata
ad impulsi compulsivi,
ossessivi,
ossessionati
da bombardamenti neuronali
fin dentro la trincea,
fin dentro la fossa.

A volte
premo la canna in gola
ferro freddo su palato caldo
sarebbe facile
il grilletto è sensibile
un poco più vigliacco
e ritingerei le pareti
di sangue e cervello
e vane speranze.

A volte marco visita
diserto
passo al nemico
quello seduto sulla riva
acquattato nella giungla
quello che non vive
per morire
quello che muore
per iniziare a vivere.

365 giorni, Libroarbitrio

La vita segreta – Gala Dalì

L’unica cosa che desideravo allora era il passaggio che potesse aprire un’inferriata sul filo delle zolle lontano dai sentieri, il giorno aperto alla luce tinta di verde smeraldo di una foglia scura, appesa al ramo prudentemente inclinato di un grande albero protettore, e la notte tappezzata di muschio nero che zittisce ogni rumore, sopprime ogni luce. Era lì dove allora desideravo ardentemente stendermi, fra lenzuola di lino fresco, per sentire solo gli strati spessi del tessuto: stare sdraiata lì senza muovermi, senza parlare, senza calcolare il tempo.

.Dolce come un bimbo ammalato,
Silenziosa come il cuore di un bosco infinito,
Innamorata come un giovane animale cieco,
Forte come le braccia aperte di una quercia millenaria,
Protettrice come una grotta umida,
Innocente come l’uovo che si è appena dischiuso,
Pura come un uomo che riceve l’estrema unzione,
Abile come la tromba di un’ape vampira di fiori,
Agile come il percorso di una radice in un terreno roccioso,
Buona come l’acqua fresca di una fonte in un giorno di grande calura.

365 giorni, Libroarbitrio

L’Oste ar tramonto – Lollo

Foto di Vito Guarino

Trent’anno d’osteria  senza compromessi,
pajate coratelle matriciane e carbonare
porpette fettucine vaccinare e poi ‘l’allessi
caffè ammazzacaffè e tarallucci d’anzuppare.

Ereno stati anni de gloria e de magnanza,
non una lagnanza, er paradiso della gola
osteria da Checco cor core e co’ la panza
c’era sempre stata ‘na gran coda li de fora.

Insino a che lì accanto comparve ‘na vetrina
susci fusion, ristorante cino giapponese
lui se spizzava quei smerdanzi da latrina
chidennose che d’era er tofu pechinese.

E interdetto se cioccava quei miseri piattini
euri sette cadauno e più leggeva e più rideva
quante migliaia carcolanno, de quei tristi rotolini,
n’omo fatto e navigato magnasse se doveva.

Checco co’ na sette ‘nvece apparecchiava,
nun se scherzava, ‘na fojetta ar tavolino
pasta cacio e pepe sur momento mantecava
infine er maritozzo pe’ tappatte l’angolino.

Ma er monno come se sa gira ar contrario,
e i gusti so’ gusti, ce lo dicono i latini
così er susciaro cominciò a rubbaje l’onorario
e l’osteria je se svotò sconfitta dai piattini.

E la sera Checco ‘nsieme all’amichi de ‘na vita
se spizzava quelle infinite file del susciaro
ragazzi secchi allampanati, gioventù fallita
gregge segue gregge, falene dietro a’n faro.

Nun capivano, quell’ommini, cosa succedeva,
l’estetica zen, la modernità de quer locale,
er vecchio tavolaccio d’osteria che nun poteva
tenè testa a quer tocco forestiero e tropicale.

Er lieto fine pe’ ‘storie proprio nun esiste,
Checco se mise ‘n mano ai cravattari
nun aveva afferrato ch’era mejo nun insiste
e ‘n breve s’aritrovò senza più denari.

Je torsero tutto, lentamente, pure l’osteria,
e Checco s’aritrovò solo e senza gnente
s’aggirava per quartiere co’ malinconia
ricordannose i bei tempi, sguardo assente.

Fu ‘na sera, così, che decise er gran finale
proprio nun ce stava a morì dimenticato:
lui ch’era un tempo er re der baccanale
avrebbe ricordato a tutti chi era stato.

‘Mbocco’ dar susciaro cor pezzo ‘n saccoccia
deciso a fa ‘na strage, a scatenà n’inferno,
fu accolto da ‘na cinesina, fu ‘na fredda doccia
mollò er fero sorridendoje con fare paterno.

Era stato ‘n gran coco, ma nun era un assassino
in du’ secondi da camerieri s’aritrovò circondato
s’uno sgabbello appollaiato de fronte ar tavolino
ancora sgomento a fissasse un menù colorato.

Fece n’ordine che nun aveva manco capito,
in pochi minuti er tavolo era pieno de robba
magnò senza fiatà come stordito
co’ le bacchette a‘mpazzì a raccattà quella sbobba

Trenta minuti era durata la spedizione,
e si j’avressero chiesto cosa s’era magnato
nun avrebbe saputo risponne co’ precisione…
tutto e gnente, questo aveva assaggiato.

‘Na cosa però ormai aveva afferrato:
ora aveva capito, era arivato ar tramonto
er susciaro era er futuro lui er trapassato
e nun ce la faceva più a subire st’affronto.

Arrancò fino ar ponte, ce s’erano in tanti buttati
scavarcò e in du’ secondi planava ner voto,
n’antro omo s’univa all’esercito dei suicidati:
solo pochi attimi e avrebbe abbracciato l’ignoto.

E quanno che ‘nfine tera toccò ‘co quer volo letale,
nell’urtimo afflato de vita coll’occhi velati der pazzo
de fronte all’antr’anime ebbe l’intuizione finale:
“Fratelli suicidi, ‘sti rotolini nun sanno d’un cazzo”.

365 giorni, Libroarbitrio

La guerra dell’abbandono nessuno – L.L.

il carettere di un uomo è il suo destino (Eraclito)

L’abbandono è per sempre

mica tutto il resto

lo sfruttamento o odio

come il bene o amore

sono passeggeri

vanno e vengono

alterati dall’intento del tempo

da qualche goccio dall’alcol di troppo

sostanze psicotrope

e platonici viaggi d’oblio

ma soprattutto

finiscono,

improvvisamente

prima o poi

nel mentre

tra il batticuore

dopo lo schizzo

finiscono,

sono per tutti

e sulla bocca di tutti,

addirittura vanno inscenati

per essere compresi,

forse s’assomigliano pure,

ma l’abbandono

nemmeno lo si vede arrivare

si confonde zitto zitto tra la gente

non è nessuno

né di nessuno

armato invisibile

per combattere la guerra del per sempre

non se ne va

così non si finisce mai

di essere abbandonati

e non somiglia a nient’altro

che non a sé stesso.

365 giorni, Libroarbitrio

CON FUOCO GRIDO – Giuseppe Ungaretti

odore di mani

Con fuoco d’occhi un nostalgico lupo
Scorre la quiete nuda.
Non trova che ombre di cielo sul ghiaccio,
Fondono serpi fatue e brevi viole.

Giunta la sera
Riposavo sopra l’erba monotona,
E presi gusto
A quella brama senza fine,
Grido torbido e alato
Che la luce quando muore trattiene.