365 giorni, Libroarbitrio

L’arte di perdersi e ritrovarsi fra i vicoli delle città – Di fiori di pesco e pagine scritte di Martina Benigni

“I vicoli scorrono come l’acqua, si infilano in ogni interstizio, sembra regnarvi il caos, ma in realtà nella confusione vige un certo ordine. Sono estesi e allo stesso tempo densi; certi ricordano i campi di grano che, seminati dai contadini, daranno un buon raccolto; altri, invece, paiono foreste primigenie che emergono da sole e da sole si estinguono. Sono uno spettacolo magnifico.”
(Wang Anyi, “La canzone dell’eterno rimpianto”, 2011)



I vicoli delle città hanno sempre attirato la mia attenzione e la mia immaginazione: sono i luoghi dove la miseria e la ricchezza del mondo si incontrano, dove la luce e il buio si alternano creando effetti cromatici unici e irripetibili. Il mio quartiere, per esempio, è fatto di vicoli che si inanellano gli uni negli altri, da togliere il fiato. Visto dall’alto appare come un grande labirinto, un susseguirsi di case che sembrano spuntare dal nulla, sospese in una nebbia rarefatta. La sera fanno un po’ paura, emettono un suono strano: un tonfo nel silenzio che non saprei descrivere, un suono che l’umidità dell’asfalto sembra rendere sordo, eppure, quando non è rotto da qualche cane che abbaia solitario, è inconfondibile. Il giorno puoi vedere i bambini giocare a palla e le signore stendere i panni su quei fili che come lunghe braccia che tendono le une verso le altre, arrivano a toccarsi e a unire due punti della strada altrimenti estranei. Su quei fili, insieme alle mollette e alle lenzuola di lavanda, corrono fiumi di parole e risate rumorose, insieme a qualche sogno appeso e mai raccolto, e una o due sigarette avvizzite dalla pioggia che, quando cade su questi vicoli, lava via tutte le brutture e sembra dare speranza alle piantine assetate che, ostinate e coraggiose, si ergono minute da qualche buca mal richiusa.

Ogni città ha questa sua anima segreta: seguendo le intricate linee di questi capillari si può scendere in profondità primigenie, dove si può incontrare una vecchia signora seduta su una sedioletta, piccola come lei, che guarda incuriosita i passanti sconosciuti porgendo un cordiale saluto. Ne ha viste tante la vecchietta: quel vicolo è metafora del mondo, a pensarci bene, e da vecchi sembra un posto ideale per interrogarsi sulla vita.
I vicoli delle grandi città sono ancora più vivi, secondo me, brulicano di un’umanità vitale e speranzosa, semplice, come quei fiori non rari che crescono un po’ dappertutto. La metropoli sembra stagliarsi minacciosa su questa rete di strade più modeste, più raccolte, più intime, e penso che in fondo, proprio per questo, le invidi anche un po’. A Pechino, per esempio, coglievo ogni momento possibile per andare a farmi un giro in quelle stradine dimenticate dove non tutti i turisti osano passeggiare. Mi sarò persa, per fortuna, almeno una decina di volte, presa dalla bellezza inspiegabile degli Hutong: formati dall’unione di più siheyuan fra loro, cioè case formate da quattro padiglioni separati, ai lati di un cortile centrale. Le porte sono sempre aperte e se gli abitanti ti prendono in simpatia, ti lasciano anche sbirciare tra le pietre grigie e le lanterne rosse di buon augurio. Quei luoghi sanno essere così saturi da esploderti negli occhi: ci sono tante cose ammassate, ammucchiate, ma con un loro ordine intrinseco; c’è una voce antica, una conoscenza primordiale, che si mischia senza sosta al sapore delle speranze future e al suono degli smartphone che non riposano mai. Ogni volta mi sembrava di ritrovare un po’ di “pace”, un po’ di “casa” anche dall’altra parte del mondo.

I vicoli sono stupefacenti e prosaici, custodi delle piccole cose di tutti i giorni e dei più grandi ideali. Le case, a volte, sono così attaccate che le mura diventano fogli di carta dove qualcuno, forse, si divertirà a scrivere qualche verso sbilenco, ma vero come la vita. Perdersi fra queste strade è un ritrovarsi continuo, un tornare con i piedi per terra senza perdere lo slancio verso l’infinito.

E voi? Quali vicoli risvegliano la vostra immaginazione, il vostro senso dello stare al mondo?

articolo di Martina Benigni

365 giorni, Libroarbitrio

.si muore, è la vita. poesia di Lié Larousse

Lié Larousse

.come vorrei
aprire gli occhi e trovarmi, trovarvi a casa
che mi date il buongiorno in cucina 
mentre inzuppo le fette
nella tazza gigante di latte e caffè della zia americana
le piastrelle bianche, coi fiorellini blu e gialli
il vostro sorriso bello, la mia quinta elementare
la strada che fa una curva
e il vostro palazzo che subito s’affaccia sulla via e m’aspetta
la chiave nella toppa
il mio zaino sulla sedia in corridoio
e tu, Nonno, sei qui che giri il sughetto,
quello finto: basilico e uno spicchio d’aglio
in piedi davanti ai fornelli,
lo giuro il più buono del mondo,
mi fai l’occhietto,
sigaretta accesa fra le dita assaggi se la pasta è cotta
e poi eccola arrivare, Nonna,
col passetto suo svelto spalanca la finestra
pure se fuori fa freddo e si gela
lei ti strilla che fumi troppo e fai puzza
e non va bene che ci fa male alla salute,
e intanto sorridi, e affetti il pane,
lei riempie la brocca blu d’acqua dal rubinetto
le asciuga il culo con la parannanza
così non sgocciola per terra e non bagna la tovaglia pulita,
io finisco di apparecchiare
prendo il parmigiano dal frigo e mi siedo
e magari adesso è sera
e al posto della pasta c’è la minestra
ma a tavola siamo sempre noi
e io non sono piccola ma grande
e mi guardate fieri e mi chiedete
come è andata la giornata?
e Nonno, tu mi sorridi ancora,
e Nonna, ancora ti strilla, come sempre,
come se io e il tempo non fossimo mai cresciuti
come se io e gli anni novanta non fossimo mai passato
come se voi, foste davvero, ancora qui.

di Lié Larousse

Carissimi tutti, io e il signor Pavia stiamo raccogliendo i nostri inediti in due meravigliosi libri dai titoli: #lavitacomunque e #WHISKEYESODACAUSTICA in uscita per gli altrettanto meravigliosi Mendo Fabio Mendolicchio Alessandro De Vito Davide Reina creatori e curatori della più grande famiglia italiana di poeti chiamata Miraggi Edizioni , perciò amici continuate a leggerci e ad accompagnarci con i vostri commenti e pensieri, con la vostra presenza social e fisica, in attesa delle nuovissime copertine mentre nei prossimi giorni andremo alla scoperta dei due importanti nomi della letteratura italiana che ci scriveranno la prefazione.

DuediRipicca – Libroarbitrio
www.libroarbitrio.com

#poesia #famiglia #casa

365 giorni, Libroarbitrio

Le tre fasi degli spazi vuoti – Edvard Munch

Munch-Edvard - Madonna
Che il pezzo di carbone più grosso si rompe facilmente
Se trovi la venatura e martelli con l’angolo giusto.
Il suono di quel colpo rilassato e lusinghiero,
La sua cooptata e obliterata eco,
Mi hanno insegnato a colpire, insegnato a smettere,
Insegnato tra il martello e il pezzo di carbone
A far fronte alla musica. Mi insegni ora ad ascoltare,
A dare i colpi giusti dietro il nero lineare.
Se no si scioglie,
Il burro si deve tenere via dal sole.
E non fare briciole. Non ballare con la sedia.
Non prendere. Non puntare il dito. Non far rumore quando giri.
Pensavo di camminare girando e girando uno spazio
Assolutamente vuoto, assolutamente una sorgente
Dove il castagno adorno aveva perso il suo posto
Schegge bianche saltavano e saltavano e schizzavano alte.
Sentivo il taglio accurato e differenziato
Dell’accetta, lo schianto, il sospiro
E il crollo di quello che era stato lussureggiante
Attraverso i percossi resti e frantumi di tutto quanto.
Piantato a fondo e da molto andato, mio coetaneo
Castagno da un vasetto di marmellata in un buco,
La sua massa e quiete diventate un lucente non luogo,
Un’anima ramificante e per sempre
Silenziosa, oltre ascoltato silenzio.
365 giorni, Libroarbitrio

La quiete prima della tempesta – Lindze

sbircio

Guardo le nuvole che si addensano
dalla finestra della mia cucina.
Incombono, si fanno sempre più
scure, minacciose.

Una lama di luce
riesce a penetrare quella coltre
e cade disperata rischiarando
qualche anfratto di questo
cesso di periferia.

In alto, un gruppo di gabbiani
vola in tondo,
si lanciano versi
aggraziati,
poi, d’improvviso si dividono .

Ognuno vola dove più gli pare.

Un vecchio in basso
si muove calmo
tra le erbacce del giardino,
si inchina, strappa qualcosa
poi si ferma, prende un respiro.

Lo sguardo gli sfugge
a quelle nubi
mentre con una mano
protegge i suoi occhi.

Espira e se ne rientra in casa.

Io perdo tempo con un
caffè fumante in mano,
indeciso su quale direzione
la mia vita debba prendere.

Dentro tutto vortica.

 

365 giorni, Libroarbitrio

I MIGLIORI – Lindze

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Non c’è più.

Una notte di quiete.

Due uomini poggiati
sulla ringhiera di un attico
una periferia disastrata.
Bicchieri di alcol
e fumo di sigarette
a sostituire parole
che tanto non verranno
pronunciate.

Sguardi lucidi, fissi nel buio.

Neanche ci provano
a trafiggere,
a capire
quelle tenebre.
Silenzio,
per condividere
quello che non si vuole dire
ma che sta lì
ingombrante e amorfo
come l’ombra gettata
da una creatura
scellerata e informe.
Un ultimo tiro
poi
il dito che lancia la cicca
in aria,
la spirale discendente
di quella brace
che cade,
che si poggia a terra
in un ultimo ardore
per poi spegnersi
sopraffatta
da bui troppo intensi.

Una mano afferra
il bicchiere, l’altra
stringe la spalla
dell’uomo rimasto a fumare,
una volta ancora
per esprimere
quello che non si ha la forza
di pronunciare.
Il corpo che si volta
e va verso la casa illuminata
e l’altro che rimane così,
poggiato su quella ringhiera.

Con le sue spalle curve
graffiate dalla luce
che proviene
dall’interno
e il suo volto
perso
nelle maree
di quella notte.

365 giorni, Libroarbitrio

Reminiscenze – Tudor Arghezi

Era lei - opera di Elisa Anfuso

Vengono, eccoli, sempre da soli
verso di me tutti i frantumi,
briciole slabbrate ed intere
di cose che stenti a capire.
Sono come li ho dimenticati
da quando si sono addormentati:
un vecchio cimitero di bambole.
Ora cominciano a muoversi,
a prendere corpo dall’ombra
e da un brusio come d’alveare,
e si ricompongono a poco a poco.
Zoccoli con aureola d’angelo,
frammenti di icone che serbano, a rimorso,
di benedizione una traccia e maledizione,
una lacrima fissata in pittura,
una mano ferita, uno sguardo,
a campane, pare, lontane,
e qualche pagina di libro.
Un coccio risuscita un’anfora rotta.
Stormisce anche l’edera morta
e a una a una, destandosi, le voci spente
mormorano pare e pare che ridano.
Mi vedo ora convitato alla Cena,
ora centurione nella persecuzione.
Provo di nuovo la camicia d’allora,
stretta, con una ferita d’allora,
e dimenticata
nel cuore del tempo, silenziosa.
E se porto la mano allo squarcio
di non so quale lotta,
mi scivola molle sul sangue.
Là si raccoglie
tutto ciò che da sé si aduna,
frammenti di scrittura e schegge di luna.
Non posso ingannarmi.
Il gelo mi brucia: un blocco d’argento,
e nella nebbia le dita
diventano sopra le unghie carbone di ghiaccio.

365 giorni, Libroarbitrio

Una notte – Umberto Bellintani

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Nella notte ho stramaledetto dio veramente e con folle rabbia,
una lava rossa e nera che mi saliva dal profondo delle viscere.
Ho preso una mosca
e l’ho portata al ragno,
più per vedere la cosa
che per pietà del ragno.
E nella notte ripetevo quello che avrei scritto giunto a casa
e giunto a casa nel cortile pensai di essere pugnalato alle spalle
mentre orinavo e cercavo in cielo la luna che non c’era
perché sprofondata di prima sera sotto la linea dell’orizzonte.
Questa è una delle tante poesie che devo scrivere
affinché si piangano i vivi di sangue e di anima.

365 giorni, Libroarbitrio

“Febbre” Sylvia Plath

Paura? Cosa vuol dire?

L. abeille

Le lingue dell’Inferno
sono ottuse, ottuse come la tripla
lingua dell’ottuso, grasso Cerbero
che anela sulla porta. Incapace
di sanare leccandolo l’infiammato
tendine, il peccato, il peccato.
Sfrigola l’esca da fuoco
l’indelebile puzza
di candela soffocata!
Si srotolano, o amore, i bassi fumi
da me come le sciarpe di Isadora, ho terrore
che una mi accalappi, mi ancori alla ruota.

Amore mio, ho passato
tutta la notte annaspando
fra lenzuola grevi come il bacio d’un perverso.

Penso che sto sollevandomi
forse mi librerò –
I grani di ardente metallo volano e io, amore, io
sono una pura
Vergine d’acetilene
con una scorta di rose,
di baci, di cherubini
di tutto che esprimono queste rosee cose…

365 giorni, Libroarbitrio

“La Casa di Dio” Henrik Nordbrandt

Lié disegno 2008

“Avevo afferrato un lembo di Dio nel vuoto
ma la mia mano scivolò”
Matteo 9,20

<<Ana ‘al haqq>>, dicono i sufi:
<<Io sono Dio>>. E questo
è per loro il massimo riconoscimento,
perché Dio creò il Mondo
come un mondo di specchi
nel quale ammirare la propria bellezza.

Quando lo vedo consegnare
una delle sue solite spiritosaggini
in forma di <<News Week>>,
una vedova che fruga nei secchi della spazzatura
in cerca di qualcosa di commestibile
o un gattino
che i bambini di sei anni del paese
hanno abbandonato alla morte per inedia,
mi convinco che
Dio è un umorista, non un esteta.

E quando rido, la casa ride
dieci volte più forte
e continua a lungo dopo che io ho smesso.

Sei proprio una canaglia, Dio.
Rimani quello che sei.

365 giorni, Libroarbitrio

“E tu che hai nella bocca le dolcezze” Muhammad

Muhammad internet point

E tu che hai nella bocca le dolcezze
uno dei tuoi malati ti domanda,
che dalla bocca tua ne beva un sorso.

Quando sarà per lui l’ora del sonno,
ché ai tuoi quegli occhi suoi tolsero il sonno?

Quanta guerra per te, notte su notte,
e quanti assalti disperati. Quanti per me
i desideri di te, gli sgomenti.

Concedo a me di svegliarti, nemica.
Che il tuo cuore morto lo voglia, ti concedi.

Attenta, anima mia, che un’altra a lui interessa
ed uguale sarà un’altra volta ancora
darti uguale dolore. Attenta, attenta.

Tu che passi di qui e ti siedi
per far passare il tempo sorridi felice
e lo attendi lui che non arriva mai.

Io se lascerò che amore apra la porta
strapperò cuore dal petto; e sarò come te
innamorato del nulla, e tu che hai nella bocca le dolcezze
sopportala la verità ora.