Abbiate cura che il mio scudo sia più splendente che non i raggi del sole in una bella giornata, in modo che, quando si presenti l’occasione, nel momento in cui si verrà alle mani, il suo splendore possa abbagliare la vista ai nemici.
E’ mio desiderio, infatti, consolare questa mia spada, perché non si lamenti più e non si perda d’animo, rimproverandomi che da troppo tempo io già la tengo oziosa, questa poverina, che è smaniosa di far salsicce della carne dei nemici!
Tag: guerriero
La rossina di Guillaume Apollinaire
Eccomi di fronte a tutti un uomo pieno di senno
Che conosce la vita e della morte quanto può conoscere un vivo
Che ha provato le croci e le delizie dell’amore
Che qualche volta è riuscito a imporre le sue idee
Che conosce parecchie lingue
Che i suoi viaggetti li ha fatti
Che ha visto la guerra in Artiglieria e in Fanteria Ferito al capo trapanato al cloroformio
Che ha perso i migliori amici nella spaventosa lotta
Io so di vecchio e di nuovo quanto delle due cose insieme può saperne un solo uomo
E senza preoccuparmi oggi di questa guerra
Fra noi e per noi amici miei
Giudico la lunga disputa fra Tradizione e Invenzione
Fra Ordine e Avventura
Noi vogliamo donarvi vasti e strani domini
Dove il mistero in fiore s’offra a chi vorrà coglierlo
Là ci saranno fuochi nuovi e colori mai visti
Mille imponderabili fantasmi
Cui bisogna dare realtà
Vogliamo esplorare la bontà terra sterminata dove tutto tace
Ci sarà anche il tempo che puoi scacciare o far tornare
Pietà per noi che combattiamo sempre alle frontiere dell’illimitato e dell’avvenire
Pietà per i nostri errori pietà per i nostri peccati
Ecco venir l’estate la violenta stagione
E in me la giovinezza è morta con la primavera
O Sole è giunto il tempo dell’ardente Ragione
E io aspetto
Per non lasciarla più la forma dolce e nobile
Presa da lei perch’io la ami solamente
Viene e m’attira come il ferro e la calamita
D’una rossa adorabile
Ha il volto seducente
Sono i capelli oro lionato
Un bel lampo prolungato
O quella fiamma che inorgoglisce
La rosa tea quando appassisce
Ma ridete ridete di me
Uomini di dovunque specie gente di qua
Ché ci son tante cose che non oso dire
Tante cose che non mi lasceresti dire
Abbiate pietà di me
“Le tre gocce di sangue sulla neve” di Chrétien de Troyes
Quel mattino c’era stata una grande nevicata,
perché molto fredda era quella regione.
Percivalle assai presto
s’era alzato, secondo il suo solito:
desiderava cercare e incontrare
avventure e imprese cortesi.
Per caso giunse diritto sul prato
gelato e coperto di neve,
dov’era accampato l’esercito del re.
Ma prima che giungesse alle tende,
vide un volo di oche selvatiche
abbagliate dalla bianca luce della neve.
Si soffermò a osservarle e ne udì lo strepito
mentre schiamazzando volavano via:
erano state spaventate da un falco
che s’era lanciato contro di loro impetuoso,
e ne aveva colpita una, indifesa,
rimasta fuori dallo stormo.
L’oca era stata ferita al collo
e ne erano cadute tre gocce di sangue:
s’erano allargate sopra il prato bianco
sì che la neve pareva avere un colore rosato.
Quando Percivalle vide macchiata
la neve su cui era caduto il sangue dell’oca
si fermò, appoggiandosi alla lancia,
per contemplare quella strana visione:
il sangue mischiato alla neve
gli sembrava simile al colorito fresco
che aveva visto sul viso della sua Blanchefleur*.
E in quell’immagine la sua mente si perse.
da Perceval
* licenza poetica che mi sono democraticamente permessa. Nella versione originale del testo il nome di Blanchefleur è sostituito con la parola “amica”. Blanchefleur è la donna di cui Perceval s’innamora alla corte del re Artù, e a cui sono dedicati i versi di questa poesia, quindi è stato più forte di me, non ce l’ho fatta, dovevo trascrivere il nome dell’amata, così da poterlo leggere anche se per una volta soltanto.
Lié Larousse
Grafia di Bambini
Nostra la grafia dei bambini.
Con la matita al posto della penna.
Ricordo di me in ginocchio a sfogliare fotografie sul tuo letto.
Ti rivedo nella memoria, in piedi al mio fianco, ad osservarmi mentre scruto la tua vita.
E vorrei stringermi a te posando le miei guance sulle tue ginocchia tese, così forte d’aspirare l’odore della tua pelle attraverso i jeans.
L’odore del tabacco sulle tue mani.
Vorrei fermare il ricordo in questo punto e non andarmene mai via.
E allora chiudo gli occhi e disegno un albero grande.
Gli trasformo il pavimento in suolo di terra.
In briciole di sabbia arsa dal sole.
Le radici scaltre corrono profonde e agili avvolte dal bacio fresco del terreno dimora di animaletti vivaci.
I suoi rami, immersi in delicate foglie che danzano al ritmo di vento, sono tanto infiniti d’arrivare a trafiggere le nuvole e farne cespugli di zucchero filato.
E avrai braccia di corteccia potenti a cullare canti allegri di uccellini all’ombra del tuo animo.
Ed io voglio stare qui.
Al riparo ai piedi di te essenziale albero.
Protetta da tutto lo scompiglio.
Quasi potrei assopirmi calma, e sognando invocherei la Dea degli esseri Straordinari per sussurrarle della tua armatura da guerriero, di quanto essa sia fragile ma potente al contempo, e lei incantata mi darebbe la magia di donarti forma nuova del tempo, spazio di ciò che realmente sei, bosco incantato, bambino buono, con lo sguardo colmo di chi ha soltanto se stesso al mondo, ma col sorriso di autentica felicità e sorpresa nel trovare me che t’aspettavo.
L.L.
Ascolti mai piangere un cormorano?
Ascolti mai piangere un cormorano?
Lui stesso non lo sa
il suono di ali spiegate
lingua gettata fuori dal becco
contro il cielo in un urlo
non sa di piangere in quel momento
crede solo di planare ad est
seguendo il comando disgraziato di un vento che gli getta addosso la sua aria da ovest.
Tuttavia.
Lasciamo masticarci gli animi
tanto non ci avranno
perché in un modo o nell’altro
il tiepido candore della lotta
smuove la nostra insana mente.
E ridiamo? Vero? Tu che sei guerriero poeta ridi con me. Ridiamogli forte in faccia! Ahahahahaha.
Ma la tortura che soffoca d’apnea, lo strazio che m’obbliga a difenderli tutti è il sapere che neanche loro sapevano perché. E il dottore ( e pensare desideravo così tanto mi curasse) dice – allora scrivimi una storiella delle tue, magari riuscirò a capire, oppure, come ormai ti ripeto da tempo immemore, impara a parlare!Dai! Vogliamo provare?- .
– Certo – rispondo sorridendo mentre penso alla parola vogliamo.
SILENZIO !
– Vedrai la prossima volta riuscirai a parlare-.
– Certo- rispondo sorridendo mentre penso alle parole la prossima volta riuscirai a parlare.
Questa mattina ho cercato e trovato un altro dottore. Comunque l’ho scritta la storiella – Certo- ma non sorrido né gliela farò mai leggere.
Ma questo non è il problema, questa è stata cosa comandata e fatta, sono loro che non riesco a cambiare, sono loro che non se ne vogliono andare, da me, dalle mie parole scritte. E allora li osservi sotto il sorriso beffardo, li osservi ancora più a fondo, sotto i primi strati di pelle marcia, ancora più in fondo, sotto raccordi di vene trafficate da sangue che impazza come macchine in corsa flesciate dagli autovelox. Click. Flash. Click. Flash. Quel maledetto cappottino che appare nelle foto. Odio le fotografie perché parlano. La gente le guarda e ci si vede riflessa. Io le sento parlare. Le gonnelline di velluto s’arrabbiano perché toccandole si cambia il verso della stoffa- Non mi toccare!- , le scarpette lucide non vogliono che cammini implorando – Ferma dove vai?-, e i capelli sottili, maledettamente sottili che si spezzavano ad ogni strattonata, urlano – Tagliami tagliami!-. E maledetti voi e maledetta io.
E tu? Chissà cosa pensi mentre io come posso farti questo? Farti leggere tutto questo mio terrore.
E intanto osservi, ancora più in fondo, come tutto quel sangue corre precipitandosi gettandosi con un colpo contro pareti di carne viva prima che la valvola si chiuda per quell’attimo in cui il cuore resta senza di lui. Senza fiato. Avverti l’afasia della mia morte giusto in quell’attimo. Un colpo. Maledetto pure lui, basterebbe, o meglio, sarebbe bastato solo un bel colpo misurato con la giusta forza e non ci sarebbero state altre fotografie. Niente cappottino gonnelline scarpette capelli quarta elementare cancellini lavagne sussidiario grembiulini rosa a quadretti educazione ingegno mattonelle pesciolini giostre acqua libri libri libri, e la mente che cresce imboccando una strada diversa dalle mie gambe, anche loro crescono, le gambe, ma è la mente, quella è un disastro. La mente ha preso il comando sulle gambe ti rendi conto? Questo è pericoloso lo sai? Sai che chiunque dovrebbe starmi lontano fuggire da me perché io sono un’infezione cerebrale. Ed io ce l’ho messa tutta per non fare del male alle persone. Sempre un passo in dietro. In classe in prima fila mentre tutti gli altri bambini si sedevano agli ultimi banchi a fare comunella perché pensavo – e se poi loro guardandomi mi vedono?- io cosa avrei dovuto dire? Per carità. Vergogna. Silenzio. Sì sì, meglio il silenzio quello muto seduta sulle scalette di palazzi dalle forme architettoniche attempate straordinariamente belli, nei vicoletti di una città morta assieme a me col diario da bruciare tra le mani donandomi l’assurdità di sentirmi dalla forma architettonica astratta quasi bella anch’io.
E poi. Poeta guerriero averti trovato complice nella mia confusione da renderla chiara mentre ti ascolto piangere cormorano tienimi il tempo di un sospiro tra le tue braccia piumate ed io sarò dal tuo antidoto guarita. E poi basta.
Ridiamogli forte in faccia!
AHAHAHAHAHA
L.L.
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