365 giorni, Libroarbitrio

Gli Influencer di un tempo che fu – articolo di Renata Covi

GLI INFLUENCER CI SONO SEMPRE STATI

Oggi si parla di “Influencer” cioè di persone che utilizzano i social e indirizzano i gusti degli altri semplicemente indossando abiti o commentando un evento. Potenza dei social. Questo vuol dire che prima dei social le persone non venivano influenzate e agivano di propria iniziativa. Non è mai stato così. Le persone sono sempre state influenzate in mille modi diversi, e un sistema insospettabile è quello dei mosaici romani dal IV secolo in poi. Due mosaici in particolare mostrano il messaggio non verbale inviato e l’evoluzione del pensiero teologico cristiano, sono tutti due a Roma. 

Il primo mosaico, è quello di Santa Pudenziana in Via Urbana, mai andare la domenica non vi fanno entrare e il catino dell’abside si vede meglio di pomeriggio quando non batte il sole.  Questo è uno dei mosaici più antichi realizzato dopo l’editto di Costantino del 313 d.C. Per capire l’influenza che poteva avere bisogna pensare a come erano le persone di allora e quello che potevano sapere. Fino a quel momento il Cristianesimo era stato vietato, quindi la comunicazione era stata esclusivamente orale.  Fino ad allora non c’era stata nessuna rappresentazione né del Vangelo né della Bibbia. Tutti aspettavano il ritorno di Cristo sulla terra e il suo trionfo. L’ attesa era spasmodica. Allora l’abside della chiesa serve a mostrare ai fedeli il regno dei cieli, la regalità di Cristo e cosa attendeva i credenti dopo la morte. Il mosaico informava anche i pagani di quali meraviglie si stavano perdendo perseverando nella loro ignoranza. Entrando l’abside attira lo sguardo e si vede Gesù al centro che indossa una veste d’oro ed è seduto su un trono di velluto e oro. Attorno a lui ci sono apostoli e martiri e alle loro spalle è ritratta la Gerusalemme celeste, che assomiglia molto alla Roma di allora. Gli apostoli indossano la veste dei senatori, quella preziosa bordata di porpora. Sopra tutti incombe un cielo cosparso di nuvolette rosse e blu. Non sono nuvole, ma le due nature del Cristo: quella umana e quella celeste. I colori sono ancora quelli chiari del mosaico romano, che usava poco oro. Il mosaico faceva le veci del Social mostrando un’immagine che valeva più di tante parole e l’immagine diceva: tu sei misero e povero, ma poi tutto quello che vedi sarà anche tuo. A pochi metri da Santa Pudenziana c’è la Basilica di Santa Maria Maggiore con un mosaico molto più recente.  Di questo magnifico catino conosciamo sia la data, XIII secolo, sia l’autore Jacopo Torriti. Tra un mosaico e l’altro sono trascorsi ben otto secoli. Nel frattempo la Chiesa si è affermata e si è trasformata. Le storie del Vangelo e della Bibbia ormai sono note a tutti e sono state disegnante e dipinte in ogni basilica, chiesa e chiesetta. La venuta di Cristo non è più considerata un fatto imminente ma è qualcosa che accadrà alla fine di tempi. Entrando lo sguardo si rivolge verso l’abside che vede, al centro di un cerchio, Gesù e Maria seduti in trono e Gesù è colto mentre sta incoronando Maria. La corona è grande e molto preziosa ed è anche molto simile a quella dell’imperatrice Teodora a Ravenna. Il trono è ricchissimo, come si conviene agli imperatori. Ai lati del catino dell’abside e sull’arco trionfale si snodano varie storie della Bibbia, dei Vangeli e della tradizione. L’oro è dappertutto, perché non si ossida e rimane lucente sempre, come la divinità che si trova nei cieli ed è eterna.
La gente che entrava in Basilica doveva restare affascinata da tanto splendore e ricchezza.

Quattro secoli dopo, con la Controriforma, la chiesa viene modificata. Non è più il catino absidale che deve attirare l’attenzione dei fedeli, bensì l’altare. E per essere certi che questo avvenisse, l’altare è sovrastato da un baldacchino imponente, come in San Pietro. L’osservatore viene a sua insaputa influenzato e indirizzato a vedere quello che deve essere visto, cioè l’altare. Il magnifico catino absidale si intravede appena e ha perso il suo grande fascino.

Articolo di Renata Covi

Renata Covi
Ragazza degli anni 60′
laureata in Farmacia e in Scienze Biologiche,
vissuta in Italia e all’estero
ha coltivato l’amore per la storia
in particolare per la storia della farmacia.
E’ scrittrice e gioca a golf.

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I Lunedì di LuccAutori – Maria – di Elena Margreth

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Per un istante, un eterno attimo, pensai che tutto ciò che stava accadendo era terribilmente ingiusto e che, se il Signore amava realmente Cristo, non doveva permettere che suo figlio, che MIO figlio andasse a morire in quel modo.
Pensiero dettato da una rabbia che per poco si sovrappose al dolore, pensiero cupo che scacciai via immediatamente, sapendo che in cuor mio era ingiusto.
Avanzavamo.
Io lo seguivo con la forza della disperazione di una madre che vede il figlio soffrire e lui, Gesù, avanzava a passo lento, con i piedi insanguinati, le braccia e le spalle impegnate a sorreggere una pesante trave di legno, il corpo ricoperto di lividi e sputi pieni di odio gratuito, il suo viso e la corona di spine erano sporchi di sangue.
Compiva ogni singolo e doloroso passo con la sola forza della fede.
Così arrivammo alla cima di quella collina.
Mi chinai su di lui in preda ai singhiozzi, avrei voluto stringerlo, ma sapevo che gli avrei fatto solo del male, avrei voluto poterlo curare, avrei voluto impedire a quegli uomini ciò che ormai era inevitabile.
Presi il suo volto tra le mie mani e lo accarezzai, lo guardai negli occhi con la consapevolezza che non avrei più rivisto la loro luce.
Rimasi lì per troppo poco tempo perché mi presero e mi spostarono di peso.
Un uomo gli si avvicinò porgendogli un bicchiere di latte e miele dicendo che con quello il dolore si sarebbe attenuato, ma Gesù rifiutò.
Mi fecero allontanare ancora impedendomi di vederlo, ma sentii le sue urla.
Poi lo vidi, vidi il suo corpo che veniva trascinato in alto, sentivo il suo dolore, sentivo che respirava a fatica, sentivo le sue costole rompersi e i polmoni alla ricerca di aria, sentivo le sue parole che chiedevano perdono, perdono per tutti coloro che peccavano, per coloro che avevano deciso la sua condanna.
Sentivo il suo amore espandersi.
Sentivo la sua fede.
Pura.
Ad un tratto non sentii più nulla, i suoi occhi si spensero e la sua bocca non riuscì più a trovare aria, fecero scendere il suo corpo e io lo presi tra le mie braccia con delicatezza, come se avessi paura di fargli del male e lo cullai lasciandomi distruggere dal dolore.
Erano passati due giorni dalla morte di Cristo e il dolore si era sostituito ad un vuoto che faceva quasi più male.
Mi continuavo a ripetere che dovevo essere forte, mille volte in passato mi ero immaginata questo momento pensando soprattutto di essere di sostengo per gli apostoli; sapevo che non ce l’avrebbero fatta da soli.
Ora appena mi incontravano tacevano, ma era giunto il momento di vederli, di parlargli, così entrai nella loro stanza e subito il silenzio scese fra di noi.
Senza giri di parole gli comunicai ciò che era loro compito fare: continuare la missione di Cristo.
Ero fredda e lucida quando pronunciai quelle parole, ma appena incontrai i loro sguardi dubbiosi e sentii delle obiezioni provai rabbia, ma una rabbia dolce, come quando Gesù si era trattenuto più a lungo nel tempio e non aveva avvisato dove si trovasse, ecco così ero arrabbiata, ma anche preoccupata, molto preoccupata.
Tutti tacquero, lessi nei loro occhi un’altra forza, ma soprattutto tenacia.
Successivamente mi ritirai nel mio dolore, incamminandomi con un cesto di oli e profumi contenente anche una nuova veste bianca verso il luogo dove era riposto il corpo di mio figlio.
Camminavo lentamente e a tratti non riuscivo a tenere le lacrime, mi sentivo pesante e mi muovevo con un’immensa fatica, alzai lo sguardo da terra solo quando mi trovai davanti al sepolcro, ma appena alzai il viso notai con stupore che la pietra che chiudeva l’ingresso era stata spostata.
Entrai preoccupata, ma non trovai né il suo corpo né la veste macchiata di sangue che lo ricopriva.
Uscii velocemente con l’intenzione di chiedere aiuto e appena i miei occhi si adattarono alla luce lo vidi.
Cristo era lì con il suo sorriso luminoso e rassicurante e con gli occhi vivi che emanavano amore.
Mi chiamò prima per nome e poi “madre”.
Sentendo la sua voce, quella voce che temevo persa, mi lasciai scappare insieme al sorriso una lacrima di gioia.
Mio figlio aprì le braccia e dai bordi delle maniche si intravedevano le ferite.
Ci abbracciammo a lungo in silenzio.
Il mio cuore si riempì di calore e pace.
E fede.

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Racconto “Maria” scritto da Elena Margreth
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I Lunedì di LuccAutori”

Opera pittorica – La Pietà – Salvador Dalì

Potete acquistare il volume dei racconti vincitori del Premio
“Racconti nella Rete 2016” edito da Nottetempo, a cura di Demetrio Brandi, in tutte le librerie a distribuzione nazionale oppure on line al link di seguito:

http://www.edizioninottetempo.it/it/prodotto/racconti-nella-rete-2016

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“La corda”

 

Le virgole possono cambiare il senso di una frase,
fino a trasformarla in una completamente diversa.

Amore