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POLLICIONE SU – GIANLUCA PAVIA
Mi piace l’estate
e la pioggia d’inverno
sulle finestre di casa.
Mi piace la musica,
il sesso,
le parole,
mi piace fare sesso
con la musica delle parole.
Orgasmico brivido lungo la schiena,
un’eiaculazione verbale
piuttosto fraudolenta
per definirsi arte,
e chi la vuole quella,
quella sorta
di masturbazione intellettuale.
Narrare è scoprirsi a scoprirsi,
un lento streap tease
pagina per pagina,
giocare al poeta è solo scarnificarsi
con l’universo che se ne sta là,
a guardare
tra budella e frattaglie
di sogni, ansie
ed ossessioni.
E cazzo se mi piace!
G.P.
DuediRipicca
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I Lunedì di LuccAutori – Maria – di Elena Margreth
Per un istante, un eterno attimo, pensai che tutto ciò che stava accadendo era terribilmente ingiusto e che, se il Signore amava realmente Cristo, non doveva permettere che suo figlio, che MIO figlio andasse a morire in quel modo.
Pensiero dettato da una rabbia che per poco si sovrappose al dolore, pensiero cupo che scacciai via immediatamente, sapendo che in cuor mio era ingiusto.
Avanzavamo.
Io lo seguivo con la forza della disperazione di una madre che vede il figlio soffrire e lui, Gesù, avanzava a passo lento, con i piedi insanguinati, le braccia e le spalle impegnate a sorreggere una pesante trave di legno, il corpo ricoperto di lividi e sputi pieni di odio gratuito, il suo viso e la corona di spine erano sporchi di sangue.
Compiva ogni singolo e doloroso passo con la sola forza della fede.
Così arrivammo alla cima di quella collina.
Mi chinai su di lui in preda ai singhiozzi, avrei voluto stringerlo, ma sapevo che gli avrei fatto solo del male, avrei voluto poterlo curare, avrei voluto impedire a quegli uomini ciò che ormai era inevitabile.
Presi il suo volto tra le mie mani e lo accarezzai, lo guardai negli occhi con la consapevolezza che non avrei più rivisto la loro luce.
Rimasi lì per troppo poco tempo perché mi presero e mi spostarono di peso.
Un uomo gli si avvicinò porgendogli un bicchiere di latte e miele dicendo che con quello il dolore si sarebbe attenuato, ma Gesù rifiutò.
Mi fecero allontanare ancora impedendomi di vederlo, ma sentii le sue urla.
Poi lo vidi, vidi il suo corpo che veniva trascinato in alto, sentivo il suo dolore, sentivo che respirava a fatica, sentivo le sue costole rompersi e i polmoni alla ricerca di aria, sentivo le sue parole che chiedevano perdono, perdono per tutti coloro che peccavano, per coloro che avevano deciso la sua condanna.
Sentivo il suo amore espandersi.
Sentivo la sua fede.
Pura.
Ad un tratto non sentii più nulla, i suoi occhi si spensero e la sua bocca non riuscì più a trovare aria, fecero scendere il suo corpo e io lo presi tra le mie braccia con delicatezza, come se avessi paura di fargli del male e lo cullai lasciandomi distruggere dal dolore.
Erano passati due giorni dalla morte di Cristo e il dolore si era sostituito ad un vuoto che faceva quasi più male.
Mi continuavo a ripetere che dovevo essere forte, mille volte in passato mi ero immaginata questo momento pensando soprattutto di essere di sostengo per gli apostoli; sapevo che non ce l’avrebbero fatta da soli.
Ora appena mi incontravano tacevano, ma era giunto il momento di vederli, di parlargli, così entrai nella loro stanza e subito il silenzio scese fra di noi.
Senza giri di parole gli comunicai ciò che era loro compito fare: continuare la missione di Cristo.
Ero fredda e lucida quando pronunciai quelle parole, ma appena incontrai i loro sguardi dubbiosi e sentii delle obiezioni provai rabbia, ma una rabbia dolce, come quando Gesù si era trattenuto più a lungo nel tempio e non aveva avvisato dove si trovasse, ecco così ero arrabbiata, ma anche preoccupata, molto preoccupata.
Tutti tacquero, lessi nei loro occhi un’altra forza, ma soprattutto tenacia.
Successivamente mi ritirai nel mio dolore, incamminandomi con un cesto di oli e profumi contenente anche una nuova veste bianca verso il luogo dove era riposto il corpo di mio figlio.
Camminavo lentamente e a tratti non riuscivo a tenere le lacrime, mi sentivo pesante e mi muovevo con un’immensa fatica, alzai lo sguardo da terra solo quando mi trovai davanti al sepolcro, ma appena alzai il viso notai con stupore che la pietra che chiudeva l’ingresso era stata spostata.
Entrai preoccupata, ma non trovai né il suo corpo né la veste macchiata di sangue che lo ricopriva.
Uscii velocemente con l’intenzione di chiedere aiuto e appena i miei occhi si adattarono alla luce lo vidi.
Cristo era lì con il suo sorriso luminoso e rassicurante e con gli occhi vivi che emanavano amore.
Mi chiamò prima per nome e poi “madre”.
Sentendo la sua voce, quella voce che temevo persa, mi lasciai scappare insieme al sorriso una lacrima di gioia.
Mio figlio aprì le braccia e dai bordi delle maniche si intravedevano le ferite.
Ci abbracciammo a lungo in silenzio.
Il mio cuore si riempì di calore e pace.
E fede.
*****
Racconto “Maria” scritto da Elena Margreth
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I Lunedì di LuccAutori”
Opera pittorica – La Pietà – Salvador Dalì
Potete acquistare il volume dei racconti vincitori del Premio
“Racconti nella Rete 2016” edito da Nottetempo, a cura di Demetrio Brandi, in tutte le librerie a distribuzione nazionale oppure on line al link di seguito:
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La vita segreta – Gala Dalì
L’unica cosa che desideravo allora era il passaggio che potesse aprire un’inferriata sul filo delle zolle lontano dai sentieri, il giorno aperto alla luce tinta di verde smeraldo di una foglia scura, appesa al ramo prudentemente inclinato di un grande albero protettore, e la notte tappezzata di muschio nero che zittisce ogni rumore, sopprime ogni luce. Era lì dove allora desideravo ardentemente stendermi, fra lenzuola di lino fresco, per sentire solo gli strati spessi del tessuto: stare sdraiata lì senza muovermi, senza parlare, senza calcolare il tempo.
.Dolce come un bimbo ammalato,
Silenziosa come il cuore di un bosco infinito,
Innamorata come un giovane animale cieco,
Forte come le braccia aperte di una quercia millenaria,
Protettrice come una grotta umida,
Innocente come l’uovo che si è appena dischiuso,
Pura come un uomo che riceve l’estrema unzione,
Abile come la tromba di un’ape vampira di fiori,
Agile come il percorso di una radice in un terreno roccioso,
Buona come l’acqua fresca di una fonte in un giorno di grande calura.
“Ganimede” Johann Wolfgang Goethe
Se potessi tenerti
tra queste braccia!
Al tuo petto, ahimè,
spasimo e languo,
le tue erbe, i tuoi fiori
al mio cuore si stringono.
Tu rinfreschi la sete
ardente del mio petto,
dolce vento dell’alba,
amoroso l’usignolo mi chiama
dalla valle di nebbia.
Eccomi! Vengo!
Ma dove, ahimè, dove?
In alto! in alto! lassù!
Aeree le nubi
discendono, si chinan le nubi
all’amore che anela.
A me, a me!
Nel vostro grembo
in alto, lassù!
Abbracciato v’abbraccio!
“Conversazioni con ” Paul Muldoon
Salvador Dalì
Afgano invisibile con apparizione sulla spiaggia del volto di Garcia Lorca in forma di un piatto di frutta con tre fichi
1938
Dai sogni nascono responsabilità
fu a causa di questa allegoria
che Lorca
fu crivellato di proiettili
fino a giacere pancia a terra
nella forma del proprio sangue.
Quando i soldati ubriachi del Romancero
si riavviarono per la città
lo udirono mormorare nella foschia,
“Alla mia morte aprite le finestre.”
Perché la poesia può essere realtà –
non solo può ma deve –
e questa stessa illusione
è in sé gesto politico.
“Speranza d’innamorato” Maffio Venier
Ragazza mia, visetto bello e inzuccherato,
poiché ho saputo che verrete stasera,
son diventato bello e ho cambiato cera
tanto che sembro proprio una pesca sbucciata.
Sia lodato Amore, poiché il mio mezzanino,
il mio cortile, il mio orto, e il letto
potranno dire davvero:
“So che il nostro padrone è fortunato”.
Venite presto, caro il mio conforto,
e se troverete una scusa per non venire
domani sentirete dire:
“L’amico è morto”.
Il desiderio che ho di voi è tanto,
che se non veniste mi fareste un gran torto:
mi fareste restare col cuore infranto;
son tutto miele
da quando ho saputo di nuovo che voi, ragazza mia,
vi degnate di venire a casa mia.
“Il sogno s’avvicina” dipinto di Salvador Dalì
Roma 14 febbraio 2014
Tira via le mani dal cuore guarda che hai fatto, l’hai strappato e ti stai dissanguando.
Ma perché non ti arrendi a te stesso semplice essere umano.
Perché non cerchi di essere normale come tutti gli altri.
Smettila.
Smettila di cercarti.
Smettila di cercare.
Non esisti.
Non esiste.
Quello che cerchi non esiste.
E’ sì di certo una dolce fiaba la più delicata che tu abbia mai scritto, ma non esiste.
Va bé magari tu ci credi che esista, lo speri, preghi per trovarlo perché lo desideri tanto da sembrarti vero, addirittura possibile ma è solo un’invenzione della tua mente è solo la creazione di un sogno e il sogno è fumo senz’aria che risiede vagabondo nel cervello e ti deride allucinandoti.
Non esiste.
Fidati.
Smettila di cercare.
Godi di quello che hai pure se è immondo sbagliato ingiusto deforme perché l’Amore non esiste.
Perciò smettila di cercare.
Arrenditi.
No!
Non fare così!
Tira via quelle mani dalle cervella, smettila ti ho detto!
Stai imbrattando tutto ti stai smembrando e a me non resta che ripulire questo schifo un’altra volta ancora ma non ho più stracci per raccoglierti, vedi, sono tutti stesi alla maestria del nostro Creatore mentre goccioli goccioli giù nel cortile della tua ragione persa.
Lié Larousse
Federico Garcia Lorca : il rinnovamento
Roma 21 novembre 2013
He cerrado mi balcon Ho chiuso la finestra
porque no quiero oir el llanto perché non voglio sentire il pianto
pero por detras de los grises muros ma dietro i muri grigi
no se oye otra cosa que el llanto. non si sente che il pianto.
Hay muy pocos angeles que canten, Ci sono pochi angeli che cantino,
hay muy pocos perros que ladren, ci sono pochissimi cani che latrino,
mil violines caben en la palma de mi mano. mille violini stanno sulla palma della mia mano.
Pero el llanto es un perro inmenso, Ma il pianto è un cane immenso,
el llanto es un angel inmenso, il pianto è un angelo immenso,
el llanto es un violin inmenso, il pianto è un violino immenso,
las lagrimas amordazan al viento, le lacrime mordono il vento,
y no se oye otra cosa que el llanto. e non si sente altro che il pianto.
(da Tutte le poesie, Trad. C.Bo, Garzanti)
Nato nel 1898 si dedicò con passione allo studio delle arti musicali pittoriche e letterarie. Nel 1919, a Madrid, entrò in contatto con l’ambiente intellettuale e frequentò poeti, come Rafael Alberti, pittori, come Salvador Dalì, registi, come Luis Bunuel. Cominciò ad occuparsi anche di teatro e presto pubblicò le prime raccolte di poesie che rivelano un forte legame con la tradizione dei canti popolari, in particolare andalusi e gitani. Per quattro anni diresse una compagnia teatrale ambulante, chiamata “La Barraca”, che organizzava rappresentazioni gratuite nelle campagne.
Con lo scoppio della guerra civile tra franchisti e democratici ,nel 1936, l’attività di Lorca fu tragicamente interrotta, nonostante non avesse preso parte ad alcuna azione, fu fucilato vicino Granata nello stesso anno.
Il linguaggio di Garcia Lorca è quello della natura, dei colori, delle immagini rubate alla vita quotidiana, ma è anche quello disperato e vitale delle passioni, quello angosciato della tragedia che egli presentì e che pochi anni dopo la sua morte si abbatté su tutta l’Europa con la seconda guerra mondiale.
A domani
Lié Larousse
(Chiedo perdono a tutti voi lettori per la mancanza dei giusti accenti della lingua spagnola, colpa la tastiera del mio antiquato mezzo di comunicazione)
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