365 giorni, Libroarbitrio

DASTIT S.r.l – Lo SPONSOR che porta l’autrice Lié Larousse al Festival di Sanremo per Casa Sanremo Writers

Davide Petronzio – Titolare ed Amministratore DASTIT S.r.l

Sono lieta ed entusiasta di presentarvi il mio Sponsor con il quale condividerò l’esperienza di Casa Sanremo Writers: Davide Petronzio.

Titolare ed amministratore della DASTIT S.r.l il suo obiettivo è quello di promuovere gli artisti di domani contribuendo con progetti che hanno a cuore l’educazione e la divulgazione culturale e sociale.

Onorata di essere stata scelta per questa missione, mi impegnerò facendo del mio meglio con tutto il mio cuore.

Grazie a tutti voi di seguirmi e sostenermi.

I miei traguardi sono anche vostri!

Lié Larousse❤

Credits:

Fotografia di Sara Teodori Fotografa

Location Hotel Isola Sacra

M.u.a Cortona Francesca

Evento Casa Sanremo

Casa Editrice L’EruditaGiulio Perrone Editore

#riddementia#lerudita#giulioperroneditore#festivaldisanremo#festival2023#CasaSanremoWriters

365 giorni, Libroarbitrio

Donne che corrono coi lupi – Clarissa Pinkola Estés

Una donna può desiderare follemente essere vicino all’acqua
o a pancia in giù, con la faccia nella terra
a odorare quel profumo selvaggio.

Può aver voglia di correre nel vento o di piantare qualcosa,
di togliere qualcosa dalla terra o mettere
qualcosa nella terra.

Può avere voglia di salire su una montagna,
saltando di roccia in roccia e facendo risuonare la sua voce.

Può aver bisogno di ore di notti stellate, quando le stelle
sono come cipria sparsa su un pavimento
di marmo nero.

Può sentire che morirà se non potrà danzare nuda
nella tempesta, sedere in perfetto silenzio,
tornare a casa sporca d’inchiostro, di lacrime, di luna…

365 giorni, Libroarbitrio

Cronache dalla Montagna: MUSEI A CIELO APERTO – di Renata Covi

In montagna si va per camminare, per i panorami, per l’aria sottile, e in quest’estate che assomiglia ad un altro-forno, anche per respirare l’aria fresca.
Le Dolomiti sono sempre bellissime, anche se le chiazze di neve che le punteggiavano non ci sono più. Camminando e salendo con la funivia capita di fare degli incontri imprevisti: dei musei.

Già, i musei d’alta montagna, modernissimi oppure vecchie cose che abbiamo sempre visto adesso si chiamano “Musei a cielo aperto”.
Comincio dal più antico e malinconico il Monte Piana, lo dice la parola è un altopiano, davanti alle maestose Tre cime di Lavaredo, panorama sublime. La strada è chiusa al traffico e si sale con la navetta. Monte Piana è un luogo di trincee della Grande Guerra 15/18, dove si vedono ancora le trincee italiane e quelle austriache.  Si fronteggiano, ed è facile immaginare che ogni tanto quei poveri ragazzi costretti lassù fraternizzassero, almeno a Natale.

Nelle trincee sono rimaste delle brandine arrugginite a ogni tanto si trova una stufa. Quei ragazzi hanno passato anni lassù a 2300m s/l, sepolti dalla neve, gelati dal freddo, bruciati dal sole. Tra i due fronti, su quel piccolo pezzo di terra sono moti 14.000 giovani:

“Tutti giovani sui vent’anni
La sua vita non torna più.”

Questo lo cantavano mentre qualcuno suonava l’armonica.  

Un posto totalmente diverso è il museo a Passo Rombo. Una strada stretta con mille curve ti porta su, salendo da Merano. Strada stretta e curve vuol dire paradiso dei motociclisti. Poi arrivi al passo e trovi davanti a te il ghiaccio dove hanno trovato Ötzi, la famosa mummia, ma quello che non ti aspetti è che in quel posto isolato ci sia il museo dedicato alla moto.

Vorrei descrivere quello che ho visto, ma non posso. Perché quello che ho visto io e stato raso al suolo da un incendio. Però lo hanno ricostruito a tempo di record e da tutto il mondo hanno inviato moto per riaprire il museo, che funziona da novembre 2021.

Il terzo luogo è sopra Brunico dominato dalla campana dell’amicizia: Plan de Corones.
Si sale in funivia ed è legato alla leggenda della bellissima principessa Dolasilla del regno di Fanes. Dolasilla era coraggiosa e i nani le avevano donato delle frecce d’argento infallibili, la principessa aveva combattuto e vinto per il suo popolo, e a Plan de Corones fu incoronata “Eroina” dal Re suo padre.

Ovunque vai in alto vedi sempre le Dolomiti in tutta la loro bellezza, sempre uguale e sempre diversa a seconda dell’angolazione e della luce. Lassù sui monti, talvolta in mezzo alle nuvole, c’è il museo della montagna voluto da Messner, il grande scalatore. Il museo non si vede perché è scavato nel terreno, ma guarda fuori attraverso delle grandi finestre. Dentro si vede la storia della fatica della salita in roccia. Non si celebrano gli alpinisti ma la montagna e i mezzi per salire. Nelle vetrine si vedono scarponi, corde, chiodi, ramponi, picozze e tanto altro.

C’è anche una sezione dedicata ai quadri con le montagne di tutto il mondo dall’800 in avanti, interessanti e suggestivi.

Articolo di Renata Covi

365 giorni, Libroarbitrio

PAPIN: Il Re della Bici – di Renata Covi

Fotografia di Renata Covi –

C’era una volta un re … adesso i regni non ci sono più ma in Val Pusteria c’è un signore che domina tra Italia e Austria.
PAPIN è il nome che tutti i ciclisti conoscono. È il re della bicicletta. L’imperatore delle ciclabili tra San Candido Cortina e Brunico e Lienz in Austria. La famosa ciclabile San Candido Lienz è battuta dalle bici di Papin, 52 chilometri nel bosco e lungo il fiume Drava.
Vuoi fare la ciclabile ma ti sei portato il cane e non puoi farlo correre così a lungo?
Papin ti dà la bici con carrellino per il cane, se invece del cane hai i gemelli al seguito, si aggancia alla bici il carrello per i pargoli. Se poi strada facendo ti si rompe la bici, può sempre accadere, arriva il camion e la sostituisce. Insomma qualsiasi percorso tu voglia fare, Papin ha la bici giusta. Se la bici ti da problemi ci pensa Papin. Le sue bici ancora non arrampicano sulle ferrate ma ci manca poco. Anch’io ho arricchito un po’ Papin. Due volte siamo andati a Lienz, due volte ci siamo fatti tutta la strada fino alla scritta ENDE cioè FINE.  Che soddisfazione, come aver vinto una tappa di montagna del Giro d’Italia. Forse mi sono scordata di dire che i 52 chilometri sono tutti in leggera discesa e con poche curve, fa poco Giro d’Italia ma va bene lo stesso.  Arrivati in città si fa come fanno tutti: ci si schianta in un bar della piazza per recuperare velocemente le poche calorie che si erano perse. Sacher Torte e Würstel con patatine fritte dominano la scena. Si mangia e si esulta e ci si lamenta che il sellino ha massacrato il didietro. Soddisfatte le esigenze primarie di mangiare e bere arriva il momento di tornare in Italia a San Candido. Rifare la stesa strada, questa volta in salita, e per di più doloranti per la mancanza di allenamento, non è pensabile. Ma le ferrovie Italo-Austriache hanno dei treni speciali dove si caricano le bici che vengono agganciate alle rastrelliere, in ordine preciso per scaricarle alla fermata giusta. La tua.

Fotografia di Renata Covi

Ci sono ciclisti bravissimi che si arrampicano per la terribile salita di Passo Stelvio, ci sono ciclisti che ti gelano il sangue quando li vedi andare allegramente sui sentieri più impervi di montagna, in mezzo ai sassi, cosa che se perdono l’equilibrio precipitano a valle, eppure noi che affittiamo da Papin bici normali per un’intera giornata ci sentiamo eroi.

Fotografia di Renata Covi

Articolo di Renata Covi

365 giorni, Libroarbitrio

CRONACHE DAL FRESCO – In fuga da Caronte – di Renata Covi


Lasciato l’inferno della città mi sono rifugiata in montagna, sulle Dolomiti, oltre i 1200 m/slm a Cortina d’Ampezzo. C’è gente, ma non tantissima. In albergo e a passeggio si vedono molte teste bianche oppure tinte.

I giovani dove sono? Tutti al mare oppure al lavoro! Teoricamente è vero, ma c’è un … ma.

Basta lasciare il paese e avviarsi verso i sentieri che puntano in alto, oppure salire verso i Passi dolomitici che il panorama cambia. Cambia la vista delle montagne, cambia il paesaggio naturale e anche quello umano. Compaiono i giovani. Anche qui dobbiamo distinguere perché abbiamo i centauri, i ciclisti e gli scalatori. Questi ultimi li riconosci subito, camminano veloci in salita, senza fare il fiatone, con passo sicuro e sciolto. Sono abbastanza carichi. Grandi zaini, moschettoni appesi alla cintura, scarpe da scalata legate allo zaino che dondolano ad ogni passo, corde a tracolla.  Sono ragazzi e ragazze e l’età varia dai 20 ai 40 anni. Dormiranno solo nei rifugi perché a fondo valle non si vedono.
I giovani a fondo valle circolano in passeggino o tentano i primi passi inseguiti dai genitori. Dopo gli scalatori ci sono i ciclisti. Se non siete mai stati in montagna vi siete persi un vero spettacolo, la maggior parte sono giovani, ma ci sono anche anziani incredibili che arrampicano “senza aiutino elettrico” il passo Giau – 29 tornanti – oppure affrontano il passo Stelvio – 42 tornanti. Un dislivello che va dai 1500 metri ai 2000.  La salita verticale delle Stelvio stanca anche in macchina. Sono tanti, salgono stando piegati sul manubrio e scendono a ruota libera. Andranno anche a 80 km all’ora. La paura di investire   qualcuno attanaglia chi è al volante di un’auto.
Tutti indossano il casco e a volte sono a gruppetti, in allenamento, seguiti da un’auto che interviene in caso di problemi. Quando arrivati in cima al passo si siedono al rifugio per bere e mangiare, vedi solo facce felici e sorridenti, la fatica non li riguarda.
L’ultima categoria è quella dei centauri che con parola moderna si chiamano “Bikers”.
Sono sempre in gruppo e fanno un rumore infernale. Le salite verso i passi, piene di curve e tornanti sono la loro gioia, perché affrontano la curva piegati verso l’interno e a volte superano la linea di mezzeria, con grande gioia della macchina che viene in senso inverso. Sono quasi sempre in gruppo, anche dieci, e sono sempre tutti vestiti di nero, uomini e donne. Qualche macchia di colore sulle loro giacche speciali, quelle con le spalle rigide, non manca, ma le loro tute aderenti esaltano molte pance.

Molto interessanti sono i motociclisti tedeschi. Arrivano con moto gigantesche, anche moto a tre ruote, sono pieni di borchie e di tatuaggi e come si fermano prendono in mano un boccale di birra. Sono molto folkloristici. Fuori dai paesi ci sono alberghi e ristoranti con la scritta “Bikers benvenuti” in tutte le lingue. In paese non se ne vedono. Forse cambiano le tute aderenti con dei jeans qualsiasi.

Articolo di Renata Covi

365 giorni, Libroarbitrio

GIALLO PALLADIO – Recensione di Renata Covi

Un libro mi piace quando mi tira dentro le sue pagine e mi avvolge come uno scialle caldo, come l’attesa del Natale.
Un libro mi piace quando non vorrei uscire mai da quelle pagine, quando sospendere la lettura, per vivere la vita, è sofferenza.
I libri scritti in maniera così avvolgente non sono molti e il fascino non dipende dell’argomento ma dalla magia della scrittura.
Politica, scienza, storia, romanzo d’amore, giallo sono alla pari quando la scrittura ti coinvolge.
A questa categoria appartiene il libro GIALLO PALLADIO di Umberto Matino, Edizioni Biblioteca dell’Immagine.

Questo libro ha molti piani di lettura, il primo è certamente il giallo: una vicenda complessa dove ingordigia, soldi, alcol e arte si intrecciano.
Un secondo piano è l’arte di Andrea Palladio e il suo tempo, dove mercanti d’arte, collezionisti e truffatori convivevano come noi oggi.
Terzo piano è il dialetto vicentino che affiora qui e là e i suoi legami con il passato dei Cimbri.
Infine, l’ultimo piano di lettura li riassume tutti ed è la provincia di Vicenza.

L’amore che Umberto Matino ha per il suo territorio emerge anche quando si tratta di crimini efferati, lui ama la campagna e le Prealpi, osserva rassegnato la devastazione del territorio, che sostituisce l’arte con i capannoni industriali, è una zona del Veneto che ti entra nelle ossa come la nebbia e l’umido.

Articolo di Renata Covi

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Gli Influencer di un tempo che fu – articolo di Renata Covi

GLI INFLUENCER CI SONO SEMPRE STATI

Oggi si parla di “Influencer” cioè di persone che utilizzano i social e indirizzano i gusti degli altri semplicemente indossando abiti o commentando un evento. Potenza dei social. Questo vuol dire che prima dei social le persone non venivano influenzate e agivano di propria iniziativa. Non è mai stato così. Le persone sono sempre state influenzate in mille modi diversi, e un sistema insospettabile è quello dei mosaici romani dal IV secolo in poi. Due mosaici in particolare mostrano il messaggio non verbale inviato e l’evoluzione del pensiero teologico cristiano, sono tutti due a Roma. 

Il primo mosaico, è quello di Santa Pudenziana in Via Urbana, mai andare la domenica non vi fanno entrare e il catino dell’abside si vede meglio di pomeriggio quando non batte il sole.  Questo è uno dei mosaici più antichi realizzato dopo l’editto di Costantino del 313 d.C. Per capire l’influenza che poteva avere bisogna pensare a come erano le persone di allora e quello che potevano sapere. Fino a quel momento il Cristianesimo era stato vietato, quindi la comunicazione era stata esclusivamente orale.  Fino ad allora non c’era stata nessuna rappresentazione né del Vangelo né della Bibbia. Tutti aspettavano il ritorno di Cristo sulla terra e il suo trionfo. L’ attesa era spasmodica. Allora l’abside della chiesa serve a mostrare ai fedeli il regno dei cieli, la regalità di Cristo e cosa attendeva i credenti dopo la morte. Il mosaico informava anche i pagani di quali meraviglie si stavano perdendo perseverando nella loro ignoranza. Entrando l’abside attira lo sguardo e si vede Gesù al centro che indossa una veste d’oro ed è seduto su un trono di velluto e oro. Attorno a lui ci sono apostoli e martiri e alle loro spalle è ritratta la Gerusalemme celeste, che assomiglia molto alla Roma di allora. Gli apostoli indossano la veste dei senatori, quella preziosa bordata di porpora. Sopra tutti incombe un cielo cosparso di nuvolette rosse e blu. Non sono nuvole, ma le due nature del Cristo: quella umana e quella celeste. I colori sono ancora quelli chiari del mosaico romano, che usava poco oro. Il mosaico faceva le veci del Social mostrando un’immagine che valeva più di tante parole e l’immagine diceva: tu sei misero e povero, ma poi tutto quello che vedi sarà anche tuo. A pochi metri da Santa Pudenziana c’è la Basilica di Santa Maria Maggiore con un mosaico molto più recente.  Di questo magnifico catino conosciamo sia la data, XIII secolo, sia l’autore Jacopo Torriti. Tra un mosaico e l’altro sono trascorsi ben otto secoli. Nel frattempo la Chiesa si è affermata e si è trasformata. Le storie del Vangelo e della Bibbia ormai sono note a tutti e sono state disegnante e dipinte in ogni basilica, chiesa e chiesetta. La venuta di Cristo non è più considerata un fatto imminente ma è qualcosa che accadrà alla fine di tempi. Entrando lo sguardo si rivolge verso l’abside che vede, al centro di un cerchio, Gesù e Maria seduti in trono e Gesù è colto mentre sta incoronando Maria. La corona è grande e molto preziosa ed è anche molto simile a quella dell’imperatrice Teodora a Ravenna. Il trono è ricchissimo, come si conviene agli imperatori. Ai lati del catino dell’abside e sull’arco trionfale si snodano varie storie della Bibbia, dei Vangeli e della tradizione. L’oro è dappertutto, perché non si ossida e rimane lucente sempre, come la divinità che si trova nei cieli ed è eterna.
La gente che entrava in Basilica doveva restare affascinata da tanto splendore e ricchezza.

Quattro secoli dopo, con la Controriforma, la chiesa viene modificata. Non è più il catino absidale che deve attirare l’attenzione dei fedeli, bensì l’altare. E per essere certi che questo avvenisse, l’altare è sovrastato da un baldacchino imponente, come in San Pietro. L’osservatore viene a sua insaputa influenzato e indirizzato a vedere quello che deve essere visto, cioè l’altare. Il magnifico catino absidale si intravede appena e ha perso il suo grande fascino.

Articolo di Renata Covi

Renata Covi
Ragazza degli anni 60′
laureata in Farmacia e in Scienze Biologiche,
vissuta in Italia e all’estero
ha coltivato l’amore per la storia
in particolare per la storia della farmacia.
E’ scrittrice e gioca a golf.

365 giorni, Libroarbitrio

“Il colore del tuo sangue” l’ultimo romanzo di Paolo Restuccia: splendido, feroce, necessario. Recensione di Lié Larousse

È piena estate, siamo in una Roma a prima vista svuotata dal turismo molesto e dal traffico ma traboccante di colorite pelli sudate e afrori esotici. E’ la Roma di chi non si può permettere le vacanze al mare tanto più l’amico sbagliato al momento sbagliato, è la Roma di Greta Scacchi filmmaker alla ricerca del soggetto giusto nell’attimo giusto. Ci piace subito questa giovane donna, l’intraprendenza, la stravaganza, e saliamo in sella al suo motorino sfilando in canottiera e short a scoprire gli amori complicati, i ricordi che affiorano da un passato nemmeno troppo lontano, i valori che si è costruita col tempo, un tempo fatto di solitudini e scelte fuori dal comune, come fuori dal comune è la sua bellezza e il suo guardare la vita sempre attraverso un obiettivo a 360 gradi. Una vita per nulla facile, ma vissuta con disinvoltura, libertà. Ecco, la libertà, non mettiamo mai in discussione la nostra libertà, anche se l’epoca in cui viviamo, in cui vive Greta, ci mette a dura prova, finché è la sorte ad intervenire con la penna di Paolo Restuccia in questo suo ultimo romanzo “Il colore del tuo Sangue”, Arkadia editore.
L’autore è il grande regista di questo romanzo, alle primissime righe siamo immediatamente conquistati come in una travolgente storia d’amore ritrovandoci invischiati in quell’ADESSO con cui apre la scena iniziale per farci scivolare via in un travolgente PRIMA tra sampietrini roventi, identità mascherate, fraintendimenti, certezze infrante; un susseguirsi di immagini che fotografano l’ansia, la paura, lo sconforto, ma anche la tenerezza e l’amore di chi ogni giorno combatte la sua intima guerra quotidiana, e il lettore suda, annaspa, ha il fiato corto, scappa, grida all’inverosimile contro le ingiustizie e poi tace, tace tenendosi la mano a tapparsi la bocca, e siamo Nadir piccoli ed indifesi, siamo Anissa e Farid fragili ed offuscati, siamo l’indolente Del Re, siamo le bugie che ci raccontiamo e le verità che ci neghiamo, ma soprattutto siamo l’eroina di questa splendida, feroce, necessaria narrazione, siamo tutti Greta Scacchi.

Carissimi lettori, come per ogni libro che ho amato molto, io vi consiglio di leggerlo rispondendovi alla domanda: tu lo hai mai guardato il colore del tuo sangue?”

Recensione di Lié Larousse

Romanzo: Il colore del tuo sangue  
Autore: Paolo Restuccia
Casa editrice: Arkadia
Pagine 268
€ 17

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PER TE: UN MESSAGGIO DAL FUTURO – Fioritura del Sé

“Da bambini ci insegnano che dal dolore bisogna stare alla larga, ma quello che non ci insegnano è che il fallimento non toglie la vita, anzi, la arricchisce, perché è proprio il fallimento a mostrarci cosa non funziona e a dirci in cosa correggere il tiro per fare meglio.

L’alternativa sana quindi è la pratica di una virtù nobile: il Coraggio.

Vulnerabilità e Coraggio camminano insieme, una non può esprimersi senza l’altra perché sono composti dagli stessi ingredienti: una buona dose di incertezza, rischio ed un bel carico emotivo.”

ASCOLTA IL MESSAGGIO DAL FUTURO

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Anno 2021: la Nuova Inquisizione! L’Umanetica e il caso COVID19

“Chi muove la massa ed il suo prossimo attraverso il ricatto, l’accusa e la paura della morte confonde l’aiuto con l’umiliazione, e la protezione con il sopruso. La sua giustizia è parziale, la sua onestà apparenza, la sua filosofia povera, e la sua scienza cieca, perché non mira a conoscere ma teme l’incontro e favorisce lo scontro, per queste ragioni tutte chi fonda il suo agire su tali pilastri non può considerarsi umano.”

ASCOLTATE IL COMUNICATO nel link di seguito, ascoltate le argomentazioni di chi fa ricerca e dedica la sua vita a servizio per il prossimo.

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