365 giorni, Libroarbitrio

Senza nessuna pietà

Ecco vedete, questo è quello che accade realmente nella vita:

C’è l’Uomo Gigante con il cuore della sua stessa stazza, le larghe spalle, con lo sguardo al sole e i piedi che cercano di incamminarlo nel percorso molto spesso intriso d’ostacoli, buio, continuamente  sull’orlo del precipizio ma giusto per quello che sono i suoi valori, i suoi principi.

E fra tutta la gente si distingue che pare una roccia, indistruttibile.

E c’è l’Uomo Piccolo, con il cuore della sua stessa stazza, chiuso nelle spalle, con lo sguardo all’asfalto ad inseguire i suoi piedi che inseguono altri piedi che vanno per tante strade, a volte tortuose certo, ma il più delle volte lisce e comode che si lasciano camminare facili che è un piacere e quasi un peccato cambiare via, e i principi e i valori sono ornamenti come fiocchi natalizi che riponi e ritrovi all’occorrenza.

E fra tutta la gente non lo si vede neanche, mimetizzato meglio di un camaleonte.

E poi la strada converge l’Uomo Gigante a l’Uomo Piccolo.

E qui finisce la storia.

E sì.

Perché quando un uomo come l’Uomo Gigante incontra un uomo come l’Uomo Piccolo, per lui, l’Uomo Gigante, non c’è più scampo.

Nessuna strada è più giusta, né più sbagliata.

Senza nessuna pietà.

L.L.

365 giorni, Libroarbitrio

Francesco Jovine : la fine di un sogno

Roma 7 dicembre 2013

Francesco Jovine
(…) A un tratto Immacolata Marano urlò:

– Luca, oh Luca! – e si mise le mani intrecciate sul capo dondolando sul busto.
– Luca, spada brillante,  –  gridò una voce giovanile.
– Spada brillante, – ripeterono in coro le altre.
– Stai sulla terra sanguinante.
Via via le donne si misero le mani intrecciate sulle teste, altre presero le cocche dei fazzoletti nei pugni chiusi e li percuotevano facendo:
– Oh! Oh! Spada brillante, stai sulla terra sanguinante!
– T’hanno ammazzato, Luca Marano.
– A tradimento, Luca Marano.
– Non vuole la terra il tuo sangue cristiano.
– Difendevi le terre del Sacramento.
– Erano nostre, nostre le terre.
– Avevamo le ossa per testamento.
– Le avevamo scavate con le nostre mani.
– T’hanno ucciso, Luca Marano.
– Piangete anche Marco Cece!
– E’ morto anche Marco Cece, stasera.
– Era vecchio e aveva patito fatica, fame e galera.
– Morte e galera su Morutri.
– Le donne, sole, col pianto.
– A lavorare, le donne soltanto.
– Piangete, donne; domani con la zappa in mano non si piange.
– Luca Marano, spada brillante; stai sulla terra sanguinante.
– Non piangete zappa e bidente sul sangue cristiano.
– E’ il sangue di Luca Marano.
– Aveva la luce nella mente e gli occhi di stella.
– E Gesualdo era suo fratello.
– Torneremo sulle terre maledette;  – il sangue avvelena l’acqua santa.
– Ci verremo senza messa; – i figli vogliono pane – anche se è pane di Satanasso.
– Non bestemmiate, donne cristiane.
– Per noi fame e dannazione – ma per i figli paradiso e pane.
– Torneremo al Sacramento – saremo serve, saremo; – ma avremo di lutto il vestimento.
– Per tutti gli anni che durerà buio e galera – vestiremo di pane nero.

Piansero e cantarono grande parte della notte, rimandandosi le voci, parlando tra loro con ritmo lungo, promettendo tutto il loro dolore ai morti. La notte era buia e le voci si perdevano sulla terra desolata oltre il circolo di luce che faceva il fuoco, ancora vivo.

Da Le Terre del Sacramento, Einaudi, Torino

La voce di Francesco Jovine è una delle più serie e appassionate nel quadro del neorealismo italiano del Novecento per l’impegno civile e per l’alto magistero di moralità che si sprigiona dalla sua opera, estranea alle mode del tempo, sobria e tradizionale nel linguaggio, ma ricca nella tematica, tenera e nostalgica, eppur senza cedimenti al sentimentalismo.

L’epilogo, sopra letto, delle Terre del Sacramento non costituisce un episodio isolato nella storia delle conquiste sociali. Nel suo drammatico svolgimento esso assume il valore emblematico della lunga lotta condotta da contadini e da operai contro il privilegio e l’ingiustizia sociale. Con la tragica fine di Luca Marano vengono duramente colpiti, ma non soffocati, un moto di protesta contro leggi inique e la speranza di un riscatto da una lunga  e umiliante condizione di servaggio feudale.

– Io m’interrogo domandandomi cosa sto facendo per la mia di società? –
– E mi rispondo con un vago silenzio misto a vergogna- .
A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Il teatro edificante

Roma 17 marzo 2013

Da molti testi letti si evince che il copioso teatro edificante, nonostante la ricchezza e la tenacia dell’impegno, non ha dato opere di grande valore storico letterario. Anch’esso e in particolare quello dei Gesuiti, si fondava piuttosto sui valori dello spettacolo che su quelli strettamente letterari.

Nel teatro sacro si provarono scrittori di interessi diversi da quelli teatrali, come il cardinal Sforza Pallavicino col suo Ermenegildo martire, o Emanuele Tesauro con la sua tragedia Ermegildo.

L’opera di Padre Cinquanta e le tragedie del Tesauro rimangono tra le prove più significative, l’una di un teatro drammatico volto alla realtà, l’altra di un teatro tragico e solenne, che impegna il nuovo stile in un senso religioso.

Il padre Benedetto Cinquanta,  teologo e predicatore dei Minori osservanti, ci ha lasciato una serie di drammi religiosi: Il ricco epulone del 1621, Il figliol prodigo del 1633, Il fariseo e il pubblicano del 1634, Santa Agnese del 1635. Nella Peste del 1630, pubblicata a Milano nel 1632, il Cinquanta colloca la scena nella milanese Porta Tosa; e introduce sulla scena medici, chirurghi, monatti, soldati, commissari, donne e gentil donne, due sacerdoti, un gentil’uomo milanese e un gentil’uomo bolognese. Dalla commedia il Cinquanta deriva il tono narrativo e prosastico dei versi, che tuttavia non impedisce una sostenuta meditazione.

L a meditazione morale muove continuamente da un’analisi precisa della realtà contemporanea, per la quale Egli prova un acuto interesse; come risulta dalla perplessità con cui affronta il problema degli untori, e dalla spregiudicatezza con cui esamina la situazione morale della donna in quel tempo.

A domani

LL