365 giorni, Libroarbitrio

.va bene davvero. – Lié Larousse

roberto-ferri

.non chiedermi come sto io,
chiediti come stai tu,
mentre ti giri l’ennesima sigaretta
che tanto la gente ma di te che ne sa? e di me?
io vivo come voglio vivere
a braccia aperte, acciaio nell’iride, e rido
perché ad essere chi siamo noi: va bene,
va bene pure se ho solo due amici
che conosco da qualche mese
ma li amo come se li conoscessi da una vita,
va bene pure se mia madre dandomi a questa di vita
m’ha abbandonata lasciandomi in eredità
una culla d’esplosivo al plastico
come unica vita d’uscita,
va bene pure se casa mia è un angolo pisciato di strada
e mi piace di più quando mi fa incazzare
strappandomi collant e baci mi fa gridare,
va bene se mi sveglio che non ho dormito
va bene se ogni mio fottuto buon proposito di proposito l’ho appena fallito
e va davvero bene se il cielo è nero e vede e sente i mostri,
ma in cuor suo sa che può star sereno
perché ha me e io non l’abbandono,
io sono il suo sole
l’accarezzo
brilliamo
e va bene sì,
va bene, davvero, sì.

365 giorni, Libroarbitrio

Versi sparsi & Presto che è tardi – Gianluca Pavia

Mammina

Gli uccelli cantano
la pioggia tintinna
le nuvole rombano
e tu
su un prato verde
o forse un letto,
magari un sacco,
sorridi…

…qui
sulla pista da ballo
una vertigine di luci e sguardi
solo per noi
solo per te.

…mi ha donato
abbastanza pazzia per sopravvivere
mi ha lasciato
mani tozze con cui sopravvivere.

Ce ne andiamo presto
noi che amiamo
sgasare in curva
colpire duro
e brindiamo sempre
in fondo al bancone.
Leviamo in fretta le tende
perché la vita
è un pic-nic
e l’amiamo
ad un centimetro dall’asfalto
un secondo dal k.o.
ad un soffio dalla morte.
Ci siamo presi il meglio
di questi anni
ruggendo come leoni
e chiudiamo la partita
prima che il gioco si faccia duro.
Siamo rimasti per poco
e con poco ce ne andiamo
lasciando forse troppo
negli occhi
e nelle parole
di chi ci saluta
con un fiore.

365 giorni, Libroarbitrio

“Ditele l’assenza” Mariasole Ariot

pozzanghera di luce

Ditele la fame, ditele che la bocca è il centro di una testa, ditele che se piange è per pudore, ditele lo sputo, ditele che il cielo senza occhi non ha ragione, ditele che una parola è matura quando è grave, ditele che grido, ditele che hanno forato il cranio con un punteruolo, ditele che passano le voci, ditele che non passa, ditele che i bambini hanno lo sguardo torvo, ditele che non guardo, ditele che le maglie della terra sono strette, ditele che non usciamo, ditele che usciremo, ditele che l’uomo ha una gabbia sulla testa, ditele della cornea, datele una retina, ditele il sangue sui tappeti, ditele che non avrò figli, ditele che ha innaffiato fiori finti, ditele che non fingo, ditele che i pianeti quando non cadono è perché cedono, ditele che nel pozzo non cadano bambini, ditele di non cadere, ditele che il radicale è un frutto senza seme, ditele dei confini mancati, ditele che se non sono – Sono l’altro, ditele della rincorsa dei coltelli, ditele della camera nera, ditele che un luogo non fa territorio, ditele che i territori sono reti, ditele della ragnatela, ditele che il mio scheletro ha la forma di una mosca, ditele dei ragni. Ditele che non ho pertugi, ditele che il consiglio è : evaporare, ditele che un foro non è un passaggio, ditele che non passa, ditele che hanno cartografato il vuoto, ditele che la fedeltà non si misura in giuramenti, ditele che sono infedele, ditele che la parola è un segno, ditele che ci parliamo, ditele che vedo, ditele che l’uomo ha creato bocche ovunque, ditele che sono una buca, ditele che non ho un fondo, ditele dell’universo osservabile, ditele che se ho taciuto è per gravità, ditele che non ho mai taciuto, ditele che il principio di reazione ha fallito, ditele che è falso, ditele che ho fame, ditele che è freddo, ditele che piange, ditele che un uomo è un bambino in verticale, ditele che cado, non ditele niente, ditele della sbarra piantata sulla schiena, ditele che la verità è una menzogna, ditele che mento.

365 giorni, Libroarbitrio

“Impermeabile ed indelebile ’15” L.L.

Natalia Drepina superthumb

Pur oggi
per quanto io voglia regalarti rabbia
ho impiastricciato le mie mani
per donarti la più buona delle torte
così che il tuo altezzoso cuore possa
per il tempo di un morso addolcirsi
e far apparire un incredulo sorriso
sul tuo volto costantemente oscuro.
So che il mio amarti
t’è impermeabile
come questo lunedì
che presto scivolerà nella sera
e sarà buio
e subito notte
e già domani.
So che il tuo amarmi
m’è indelebile
ricercarlo nel ricordo
che è lo scorso di lunedì
martedì l’altro
il mercoledì prima
giovedì venerdì sabato di musiche psichedeliche sparate acide nel cervello e tu a guardarmi da sotto
e la domenica senza Signore e poi di nuovo lunedì come questo da rivivere
in un passato che mi catapulta in questo presente che non so vivere
perché non lo conosco
perché non so neanche come i miei piedi mi ci abbiano portata fin qui
in questa casa
in questa vita
con questi capelli e occhi
tuttavia il ricordo
torta
candeline
un nebuloso sorriso
che resterà in questo mio mondo
chiunque io sia pur provando a non essere
chiunque io faccia finta di essere
chiunque io voglia essere
e alla fine di questa maledetta corsa incappare in una me identica a te
con la stessa rabbia nel cuore
la stessa ferocia nelle mani applaudenti
e tu resterai sempre tu
ne sono certa
pur oggi
che desidero plasmarmi diversa da te
e invece sono tua copia imperfetta
con la più illusoria dell’idea di cosa sia l’amore
e allora dirò incessantemente sì
sì ancora
alle mia speranza
pur oggi
più vana di ieri.

Auguri Padre.

L.L.

365 giorni, Libroarbitrio

“Nuovo giorno per te”

Cosmo

Io vedo un nuovo giorno,
un nuovo giorno prossimo a spuntare,
quando le cupe nuvole se ne saranno tutte andate
e il sole splenderà sopra un mondo libero.
Io vedo un nuovo giorno,
un nuovo giorno che rapido si avvicina
quando gli uomini saranno tutti fratelli
e l’odio sarà finalmente sepolto.
Io vedo un uomo nuovo,
un uomo nuovo ben eretto,
testa alta e cuore fiero
e che di nulla ha paura.

365 giorni, Libroarbitrio

Giovanni Pascoli “L’aquilone”

Roma 26 marzo 2014

aquilonewalterpatriarca

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle querce agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch’erbose hanno le soglie:
un’aria d’altro luogo e d’altro mese
e d’altra vita: un’aria celestina
che regga molte bianche ali sospese…
sì, gli aquiloni! E’ questa una mattina
che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d’albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c’era
d’autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.
S’inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù… Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto… – Chi strilla?
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all’improvviso,
una dolce, una acuta, una velata…
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
sull’omero il pallor  muto del viso.
Sì: dissi sopra te l’orazioni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento,
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi petali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch’io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto…
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co’ bei capelli a onda
tua madre…adagio, per non farti male.

 

A domani
Lié Larousse

 

365 giorni, Libroarbitrio

“I trapassati chiedono di me” Giovanna Sicari

Roma 30 gennaio 2014

Giovanna Sicari

Il piccolo essere sotto la coperta domanda
e io mi oppongo e non mi sento degna,
masse d’aghi e spilli mi sottraggono
al corpo. Sono arrivati con  una valigia
gli estranei e chiedono di me
non si sa chi sia la madre o il padre
bisognerà andare fra loro, chiedere
dei loro morti, farli rivivere adesso.

Da Epoca immobile,
Jaca Book, 2004

A domani
Lié Larousse

 

365 giorni, Libroarbitrio

Ted Hughes “Il falco nella pioggia”

Roma 30 dicembre 2013

Ted Hughes

Affogo nel tambureggiante campo, estraggo
un calcagno dopo l’altro dall’ingorda bocca della terra,
dal fango che mi afferra ogni passo alla caviglia
con la tenacia della fossa, ma il falco

libra in alto senza sforzo l’occhio fermo.
Le sue ali tengono il creato in una imponderabile quiete,
ferme come un’allucinazione nell’aria che scorre.
Mentre il vento percuote a morte queste ostinate siepi,

mi prende gli occhi, mi toglie il fiato, mi afferra il cuore,
e la pioggia mi incide la testa fino all’osso, il falco regge
il punto adamantino della volontà che guida come un nord
la resistenza del naufrago: ed io,

stordito, ghermito boccone di sangue che conta l’ultimo istante
nelle fauci della terra, tendo al supremo
fulcro della violenza dove posa il falco.
Che forse incontra quand’è l’ora la bufera

proveniente dalla parte sbagliata, sopporta, scagliato a testa in giù,
che l’aria gli cada dagli occhi, le pesanti contee gli crollino addosso,
l’orizzonte lo intrappoli; e, sfracellato quell’occhio tondo
d’angelo, il sangue del cuore si mischi alla mota.

Hughes sosteneva che le poesie, come gli animali, sono “un’assemblea di parti viventi, mosse da un singolo spirito”.
E a volpi, falchi, pesci dedicò  moltissimi versi, contrapponendo l’innocente violenza del mondo animale a quella volontaria dell’uomo sull’uomo, ai suoi folli sogni di massacro, alla sua violenza distruttiva sulla natura.
Come la poesia in cui lo sparviero parla della sua immodificabile natura sterminatrice, al di sopra di qualsiasi legge o autorità. L’uccello predatore serve al poeta proprio per contestare la cieca violenza degli uomini, che attaccano, reprimono e uccidono col permesso delle leggi che si sono dati.

A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Francesco Jovine : la fine di un sogno

Roma 7 dicembre 2013

Francesco Jovine
(…) A un tratto Immacolata Marano urlò:

– Luca, oh Luca! – e si mise le mani intrecciate sul capo dondolando sul busto.
– Luca, spada brillante,  –  gridò una voce giovanile.
– Spada brillante, – ripeterono in coro le altre.
– Stai sulla terra sanguinante.
Via via le donne si misero le mani intrecciate sulle teste, altre presero le cocche dei fazzoletti nei pugni chiusi e li percuotevano facendo:
– Oh! Oh! Spada brillante, stai sulla terra sanguinante!
– T’hanno ammazzato, Luca Marano.
– A tradimento, Luca Marano.
– Non vuole la terra il tuo sangue cristiano.
– Difendevi le terre del Sacramento.
– Erano nostre, nostre le terre.
– Avevamo le ossa per testamento.
– Le avevamo scavate con le nostre mani.
– T’hanno ucciso, Luca Marano.
– Piangete anche Marco Cece!
– E’ morto anche Marco Cece, stasera.
– Era vecchio e aveva patito fatica, fame e galera.
– Morte e galera su Morutri.
– Le donne, sole, col pianto.
– A lavorare, le donne soltanto.
– Piangete, donne; domani con la zappa in mano non si piange.
– Luca Marano, spada brillante; stai sulla terra sanguinante.
– Non piangete zappa e bidente sul sangue cristiano.
– E’ il sangue di Luca Marano.
– Aveva la luce nella mente e gli occhi di stella.
– E Gesualdo era suo fratello.
– Torneremo sulle terre maledette;  – il sangue avvelena l’acqua santa.
– Ci verremo senza messa; – i figli vogliono pane – anche se è pane di Satanasso.
– Non bestemmiate, donne cristiane.
– Per noi fame e dannazione – ma per i figli paradiso e pane.
– Torneremo al Sacramento – saremo serve, saremo; – ma avremo di lutto il vestimento.
– Per tutti gli anni che durerà buio e galera – vestiremo di pane nero.

Piansero e cantarono grande parte della notte, rimandandosi le voci, parlando tra loro con ritmo lungo, promettendo tutto il loro dolore ai morti. La notte era buia e le voci si perdevano sulla terra desolata oltre il circolo di luce che faceva il fuoco, ancora vivo.

Da Le Terre del Sacramento, Einaudi, Torino

La voce di Francesco Jovine è una delle più serie e appassionate nel quadro del neorealismo italiano del Novecento per l’impegno civile e per l’alto magistero di moralità che si sprigiona dalla sua opera, estranea alle mode del tempo, sobria e tradizionale nel linguaggio, ma ricca nella tematica, tenera e nostalgica, eppur senza cedimenti al sentimentalismo.

L’epilogo, sopra letto, delle Terre del Sacramento non costituisce un episodio isolato nella storia delle conquiste sociali. Nel suo drammatico svolgimento esso assume il valore emblematico della lunga lotta condotta da contadini e da operai contro il privilegio e l’ingiustizia sociale. Con la tragica fine di Luca Marano vengono duramente colpiti, ma non soffocati, un moto di protesta contro leggi inique e la speranza di un riscatto da una lunga  e umiliante condizione di servaggio feudale.

– Io m’interrogo domandandomi cosa sto facendo per la mia di società? –
– E mi rispondo con un vago silenzio misto a vergogna- .
A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Giuseppe Ungaretti ” Sentimento del tempo”

Roma 6 dicembre 2013

Giuseppe Ungaretti

                        E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra,
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: – Mio Dio, eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai di avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

La lirica di Ungaretti pur prendendo le mosse dall’esperienza personale, si solleva ad una sfera d’universalità dove il dolore individuale s’immedesima col dolore di tutti e diviene il riflesso d’un comune destino di pianto e d’angoscia.

“La poesia, di sopra trascritta,  è dedicata dall’Ungaretti alla madre, il poeta s’illumina alla fiduciosa speranza che per la sua anima, quando un giorno sarà dinanzi al tribunale divino, si leverà la preghiera d’intercessione della madre, immobile e intimamente commossa, verso Dio.
La donna nella preghiera sarà umile e decisa a un tempo e, solo dopo il celeste perdono, oserà guardare il proprio figlio per ritrovarlo purificato e innocente come quando era un bambino, da lei tanto amato.
E allora un sospiro di sollievo e di liberazione si sprigionerà nel petto materno.
La scena solenne e intensa è dominata da un ritmo lento contrassegnato da brevi parole, pochi gesti e lunghe pause”

A domani

Lié Larousse