365 giorni, Libroarbitrio

Alla fine di ogni cosa – Mauro Garofalo

in bocca al lupo

Si stava allenando al sacco quando i due uomini erano entrati. Teneva l’asciugamano in testa quasi fosse un cappuccio. Il sacco oscillava a ogni diretto. I pantaloncini gialli che aveva indosso sembravano di una taglia più larghi, sulla maglietta una chiazza di sudore al centro del petto. Anche gli altri pugili si allenavano eppure il ragazzo nell’ombra non li vedeva, non li sentiva. Rimaneva nascosto dal pilone centrale. Per un istante soltanto sembrò scomparire, poi d’improvviso la figura riemerse dal buio. Scartò a destra con una torsione, il pugno che partiva allineato alla spalla. Il secondo dei due uomini, quello che stava dietro, si fermò. Fissò bene quel pugile che continuava a colpire il vuoto di fronte a sé neanche fosse un muro da abbattere. Colpire. E ancora colpire. Colpire cosa, si chiese. Il tempo forse, fino a farlo scomparire.
L’uomo che veniva da Berlino notò che il ragazzo teneva la testa bassa, il collo incassato, ma gli occhi no. Occhi neri, il taglio famelico dei lupi.
<< Ha la fissa delle moto >> gli fece il vecchio.
L’uomo di Berlino guardò il pugile girarsi.
<< Per questo non lo hanno mandato alle Olimpiadi?>>
<< Ma no. E’ che quella è gente scomoda>>
<< Che vuoi dire?>> chiese Zirzow.
<< Che è sinti.>>
<< …>>>
<< Uno zingaro!>>
Lo sguardo si fermò sul ragazzo che, in quel momento, andava a piazzarsi davanti al suo avversario, masticando il paradenti, aveva l’aria di chi non aveva mai avuto niente da custodire; uno che era cresciuto all’ombra dei palazzi, tra le fessure delle pietre e l’acqua piovana delle grondaie, assieme ai residui di ferro e polvere, nell’aria di primavera che asciugava i panni. Uno che per trovare appoggio doveva spostarsi di continuo.
Poi, ci fu il suono della campana.
In quell’istante l’uomo venuto da Berlino seppe, con evidente certezza, che la boxe, da quel momento in poi, non solo sarebbe cambiata. Non sarebbe mai più stata lo stesso.

Johann Trollmann chiamato Rukeli, in sinti voleva dire “albero” , si accese una sigaretta. Fece spegnere il cerino scuotendolo nell’aria, prima che si consumasse tutto, qualcuno, non ricordava chi, gli aveva raccontato che un fiammifero bruciato per intero era un marinaio in più che scompariva in mare. Johann socchiuse un po’ gli occhi al sole di metà ottobre, strinse a sé il pacchetto di carta velina, sentì il fruscio della carta, immaginò sotto quello strato i suoi nuovi pantaloncini. Ma una strana inquietudine gli diede una stretta allo stomaco.
Mangiò spiedini di maiale e birra in un locale poco più avanti, si concesse anche un paio di panini bianchi e morbidi. Per distrarsi rifletté che era venuto anche il tempo di trovare casa. La stanza che gli aveva assegnato Zirzow nel retro ufficio era comoda, ma forse adesso si sarebbe potuto permettere un appartamento suo, aveva ancora un po’ di marchi da parte, più l’incasso dell’incontro. E ce ne sarebbero stati altri.
Si sentì fiducioso d’improvviso. Si godette il sole sul viso, pensò ai pantaloni nuovi.
Al tardo tepore dell’autunno, ombre allungate sull’asfalto, si sentì colmo di speranza.
Erano giovani e immortali. Figli di un tempo propizio. Dei in ascesa.