365 giorni, Libroarbitrio

A che serve la letteratura? – Di fiori di pesco e pagine scritte di Martina Benigni

 “La letteratura ha ridestato in me quelle idee che bisognerebbe avere nei riguardi di ogni cosa e di cui prima non mi ero resa conto. In queste idee, che sono tutt’altro che scientifiche e perfette, si trovano tuttavia i motivi reconditi che mi hanno spinto a lottare fino a battere la testa e a farla sanguinare. Ma non me ne pento. Quando si è innamorati di qualcosa o di qualcuno non si è mai oggettivi o razionali.”

(Zhang Jie, “Uno studio sulla perseveranza” (1981), trad. M.E. Testa)

Zhang Jie (1937) è una delle autrici più importanti della letteratura cinese del ‘900. Dopo gli anni terribili della Grande Rivoluzione Culturale (1966-1976, secondo gli storici cinesi) riesce a dare voce alla sua penna, elegante e dura al tempo stesso, e a parlare dei temi a lei più cari quali l’amore con la “a” maiuscola, la condizione femminile e, più in generale, le vicissitudini umane: storie comuni di gente comune con tutto quello che ne consegue. 

Queste poche, profonde, righe riprese da un suo saggio mi riecheggiano nella mente da ormai qualche mese. Più volte, infatti, mi sono interrogata sul ruolo della letteratura, o meglio, sul ruolo che quest’antica forma d’arte e di Essere ha oggi per le persone. La risposta non è mai la stessa e non è nemmeno definitiva, per fortuna, ma più volte mi è sembrato di trovarmi a fronteggiare un muro di indifferenza e scetticismo nei confronti di questa tematica, eretto da tutte quelle persone alle quali ho sentito dire: “Sì, bella la letteratura, ma poi che ci fai?”. Tutto si riduce, insomma, ad una mera soddisfazione dei bisogni materiali: le cose devono servirti e tutto ciò che non serve è inutile, lo dice la parola stessa…Eppure non mi convince, non ci sto. Ho sempre avuto la sensazione che perseguire l’utile, in fondo, fosse una grande fregatura, anzi, un vero e proprio pericolo per la propria identità. Se non vi fidate di me, fidatevi di Zhuangzi, filosofo cinese vissuto, forse, tra il IV e il III secolo a.e.c. che diceva:


“Solo coloro che conoscono il valore dell’inutile possono parlare di ciò che è utile. La terra che calpestiamo è immensa, ma questa immensità non ha valore pratico: l’unica cosa che serve per spostarci è lo spazio ricoperto dalla pianta dei nostri piedi. Supponiamo che uno perfori la terra su cui camminiamo, scavando una fossa così profonda da arrivare giù fino alla Fonte Gialla: avrebbero una qualche utilità i due pezzi di terreno su cui poggiano i nostri piedi?”. Hui-Tzu rispose: “Effettivamente, sarebbero inutili”. E il maestro concluse: “Dunque, è evidente l’utilità dell’inutilità”.

(Chuang-Tzu, brani scelti da Ottavio Paz, Oscar Mondadori)

Per ognuno di noi la letteratura ha un valore diverso, ognuno di noi crea delle immagini proprie ed uniche a partire dalle parole scritte da qualcun altro e la cosa meravigliosa è che l’opera vive sempre di vita propria a prescindere dalla mano che le ha dato vita, essa diventa di tutti, diversa ad ogni lettura, mai identica, sempre in trasformazione come l’identità di chi legge. E questo lo sapeva bene William Shakespeare (1564-1616) che era consapevole di come i suoi versi sarebbero vissuti in eterno superando ogni barriera, ogni confine, eternando la sua amata e la scrittura stessa, come leggiamo negli ultimi versi del celeberrimo sonetto n. 18: “finché ci sarà un respiro od occhi per vedere/ questi versi avranno luce e ti daranno vita.”

Nel caso di Zhang Jie, la letteratura le ha permesso di restare umana come afferma lucidamente lei stessa, ha fatto sì che lei potesse rimanere “un essere umano vivo”, perché c’è differenza fra Vivere e sopravvivere, fra passare le giornate e viverle intensamente, anche nell’umile poetica-prosaicità di ogni giorno.

Mi sembra che tutto porti ad una parola, cioè Ricerca perché cos’è la letteratura se non ricerca continua? Il vento che gonfia le vele spiegate della “barca della Ricerca” è fatto di tante cose secondo me, e fra di esse c’è di certo la letteratura in tutte le sue declinazioni e sfumature con la sua natura fondamentalmente democratica. Essa rappresenta una Ricerca personale e sociale al tempo stesso, di rapporto, partendo dal singolo fino ad abbracciare il mondo intero di cui tutti e tutte siamo parte integrante, pensante, “leggente” e “scrivente”, e non solo numeri o ombre di passaggio, come ci vogliono far credere.

Ci sarebbe tantissimo altro da dire proprio perché la letteratura è in grado di abbracciare la “molteplicità” nella sua forma più varia e completa ed io, forse, non ho ancora le parole per dire di più, forse domani ne troverò di migliori, forse mai, forse qualcuno le ha già trovate per e le ha scritte su un foglio sgualcito, infilato in una bottiglia che ora galleggia chissà in quali mari.

Charles Baudelaire (1821-1867) scriveva Enivrez-vous, cioè “Ubriacatevi”, scegliete voi di cosa, io mi faccio un altro sorso di letteratura.

Articolo di Martina Benigni

365 giorni, Libroarbitrio

“Amleto” William Shakespeare

lottatore - Schiele
Chi è Ecuba per lui, o lui per lei,
per piangerla in quel modo? E che farebbe,
lui, con le mie ragioni, e con in bocca
le battute di ciò che provo io?
Bagnerebbe di lacrime la scena,
strapperebbe  le orecchie con dei gridi
che cadrebbero giù come fendenti
a inorridire i giusti, a dare orrore
di se stessi ai colpevoli, a confondere
i poveri ignoranti, a gettar tutte
le facoltà degli occhi e delle orecchie,
nello stupore e nella confusione.
E io, povero, tardo, opaco, triste
Giovannino dei sogni, io inetto a agire,
non ho battute! – no, non per un re
di cui la vita e la prosperità
fu fatta a brani. Sono dunque un vile?
E chi mi insulta? Chi mi rompe il collo?
Chi mi strappa la barba, e me la sbatte
in faccia? Chi mi tira il naso? Chi
sostiene che io mento per la gola
e più giù, nei polmoni – chi fa questo?
Dio! Se lo accetterei! Il fatto è
che ho cuore di colomba, e non ho il fiele
che fa amaro il soffrire.
Altrimenti, a quest’ora avrei ingrassato
legioni di avvoltoi di tutti i cieli
col carname di questo miserabile.
Maledetto, schifoso puttaniere!
Impudente, vigliacco, ripugnante,
volgare puttaniere!

Il mio spettro può essere anche il diavolo,
a cui piace truccarsi, sì, e forse,
potente come è lui sulle nature
fragili e malinconiche, m’inganna
per dannarmi.

365 giorni, Libroarbitrio

William Shakespeare “Versi sciolti”

Roma 19 marzo 2014

John William Waterhouse

Come imperfetto attore sulla scena
che per paura scorda la sua parte
o bestia piena di eccessiva rabbia
che non traduce in atto la sua forza,
io per insicurezza non ricordo
perfettamente il rito dell’amore
e forte del mio amore vengo meno
sotto il peso del mio potente amore.
Sia questo verso allora l’eloquenza
e il muto messo del parlante petto
che chieda amore e cerchi il contraccambio
più che lingua che più ha più volte detto.
Leggi quello che zitto ha scritto amore:
Amore ha sguardo per poter sentire.

A domani
Lié Larousse