– Claudio ha affrontato l’eroina e la sua evoluzione come l’arma di distruzione di massa usata dal potere per mantenere lo status quo, perché quella che l’eroina è sparita è una vera fregnaccia. Ha ambientato la storia nel 1995, anno in cui cominciano i lavori per il porto di Ostia e i primi movimenti criminali che hanno portato ai casini di oggi. I primi movimenti di un cambiamento generazionale e epocale. Un cambiamento che segna anche la fine dell’intellettuale pasoliniano. C’era gente che per capire e raccontare la realtà ci entrava veramente, andava dentro le persone, basta pensare a Comizi d’amore di Pasolini o ai I bambini e noi di Comencini. Poi, verso la metà degli anni Novanta con l’avvento del cellulare e di internet, secondo Claudio l’intellettuale si è allontanato dalla gente: si è messo a raccontare il mondo da casa. In quegli anni sono anche crollate le ideologie, è cambiata, non in meglio, la classe politica, e l’intellettuale, il giornalista, il musicista, il cineasta che doveva immergersi nella realtà, eventualmente aiutare a cambiarla, si è cagato sotto. Questo ha fatto male alla coscienza del Paese. Mentre Caligari nella realtà ci sguazzava, nella sceneggiatura sono confluiti molti racconti veri di gente vera che con lui parlava senza reticenze: perché Claudio non si metteva né sotto né sopra le persone, non le faceva sentire un fenomeno sociologico. Tutto il buono del film è di Claudio, tutto il cattivo è di noi che siamo rimasti.
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Pier Paolo Pasolini “Me ne vado, ti lascio nella sera”
Roma 19 ottobre 2013
Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea
che al quartiere in penombra si rapprende.
E lo sommuove. Lo fa più grande, vuoto,
intorno, e, più lontano, lo riaccende
di una vita smaniosa che del roco
rotolio dei tram, dei gridi umani,
dialettali, fa un concerto fioco
e assoluto. E senti come in quei lontani
esseri che, in vita, gridano, ridono,
in quei loro veicoli, in quei grami
caseggiati dove si consuma l’infido
ed espansivo dono dell’esistenza –
quella vita non è che un brivido;
corporea, collettiva presenza;
senti il mancare di ogni religione
vera; non vita, ma sopravvivenza
– forse più lieta della vita – come
d’un popolo di animali, nel cui arcano
orgasmo non ci sia altra passione
che per l’operare quotidiano:
umile fervore cui dà un senso di festa
l’umile corruzione…
da Le ceneri di Gramsci
Buona lettura
A domani
LL
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