Che cosa sono adesso? Pensava,
contemplandosi allo specchio.
E lo specchio replicava con la
brutale sincerità degli specchi:
“Non sei nulla”.
Il mio vestito è appeso là,
opera pittorica di Frida Kalo
365 giorni
Che cosa sono adesso? Pensava,
contemplandosi allo specchio.
E lo specchio replicava con la
brutale sincerità degli specchi:
“Non sei nulla”.
Il mio vestito è appeso là,
opera pittorica di Frida Kalo
Portami via con te
attraverso lo specchio,
oltre la superficie di ogni cosa,
ma prima fermiamoci ad un bar
sudicio ed infame
e perdiamoci in un bicchiere
che non sia d’acqua,
o magari in un labirinto
purché il mostro
sia grande, brutto
e cattivo.
Shiva ci insegna
a creare dal nulla
ma prima, è ovvio,
tocca distruggere tutto
partendo da noi stessi.
La luna illumina serpenti d’asfalto
ed il fulmine elettrico
è così noioso da cavalcare,
allora sì
dammi tempesta senza pace
né prima né dopo,
apocalisse
è il mio mantra rilassante,
disagio
la meditazione funzionale.
Chiudi gli occhi
e guida alla cieca,
segui il bagliore di stelle
morte da tempo,
lascia stare il gps
ti prego, perdiamoci
per ritrovarci ancora
nella notte più buia
sotto un cielo senza luna.
Gianluca Pavia
DuediRipicca
Che cosa succede
se io bacio tutti i luoghi del tuo corpo
che ti hanno insegnato ad odiare?
Cosa succede
se poso le mani su di te e le lascio così
abbastanza a lungo finché il mio calore aderisce al tuo
e tu dimentichi che fra la mia pelle e la tua c’è spazio?
Che cosa succede
se mi piace tutto ciò che ti hanno detto di detestare
e passo le mie giornate a sporcare il tuo cervello ben lavato?
Che succede
se ti mostro nuove immagini di te stesso
che hai accuratamente evitato di vedere allo specchio?
E se ti dicessi
che tutto quello che dicono è sbagliato
e iniziassi a riempire le tue orecchie con parole vere
in una lingua che conosci ma hai smesso di parlare?
Che cosa succede
se pianto nuovi fiori
nei luoghi ispidi dentro di te e ti insegno i loro nomi
e le stagioni della loro fioritura?
Che cosa succede
se ti chiedo di non reciderli e permettere che invadano le tue vie
e decorino tutta la tua vita?
Ci siamo riconosciuti
Ci siamo infine riconosciuti
Nei grilli caduti
Dal cielo d’estate
Come gli zingari rovinati
Da un medesimo editto
Abbiamo salvato le paure
Che ci fanno ombra.
Dalla pianura al mare
Abbiamo tolto il lutto
A specchi e campanelli
Per divertire l’anima scura.
Commedianti e mendicanti
Ci siamo riconosciuti
Come l’uva
Di una medesima pergola.
Ci siamo messi a cantare
E a ballare
Al suono dei tamburi
Ciascuno con una cicala
In quadriglia.
Ah, occhi duri
Che ci invidiate l’allegria
Nella terra di nessuno:
Per fare freschi i nostri sguardi
Ci son voluti millenni di digiuno
Milano 1888
Oggi voglio venirti a tergo,
stringerti con le mani la nuda vita,
la vita mia;
risalire, risalire ai grappoli elastici,
e poi possederti,
e farti morire una volta,
due volte, tre volte,
e poi ancora, ancora, e darti
fino all’ultima stilla
la midolla delle mie ossa.
Voglio i tuoi piedi nudi sulla mia faccia.
Voglio la tua carne nuda contro la mia carne.
Sai come le apro
e come le leggo queste tue lettere?
Con la carne irrigidita ed infocata
come nell’attesa
di penetrare nella tua carne umida e pulsante.
Hai visto il castello,
l’alto castello sul mare?
Sopra corrono
nuvole d’oro e rosate.
Vorrebbe piegarsi sull’onda,
chiara come uno specchio,
levarsi sopra il fuoco delle nubi
serali, superbo e fiero.
Io ho visto l’alto
castello sul mare,
sopra nel cielo la luna
e intorno la nebbia.
Il vento del mare, le onde,
non fecero un’eco vivace?
Non hai sentito dagli alti anfratti
un canto festoso, un suono di arpe?
Le onde, i venti,
in una grande pace.
Dall’atrio del castello
ho udito un canto
lamentoso fra le lacrime.
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