365 giorni, Libroarbitrio

ROMA – SATURNO SOLO ANDATA – DuediRipicca

larousse pavia ecb

– A volte tutto questo nulla mi schiaccia,
che vorrei quasi morire.
– Non sarebbe meglio crepassero
tutti gli altri?
– E come?
– Un Armageddon, tipo il film con Willis.
Un bel asteroide e via tutti quanti.
– Anche noi? Alla fine non voglio
proprio morire morire.
– Va bene, allora sopravvivremo
solo noi due.
– E i cani e i gatti?
– Salveremo anche loro.
– E gli altri animali, poveretti?
– Tutti dentro l’arca.
– Che c’entra l’arca?
– Così, per dire.
– Ok, si può fare! Ma non ci annoieremo?
– Che dici? Avremo tutte le birrerie
del mondo solo per noi.
– E le librerie? Ci sono ancora
un sacco di libri che voglio leggere.
– Sì, certo, librerie e cinema come
non ci fosse un domani.
– E ruberemo una macchina?
– Ovvio, ci prenderemo tutto ciò
che la vita ha da offrire, e anche il resto
che tiene per sé.
– E andremo dove ci pare?
– Ovunque vogliamo, tanto non ci sarà traffico.
Io odio il traffico.
– Ovunque ovunque?
– Pensa un posto e siamo già lì.
– Anche Sperlonga?
– Sì, ma…di tanti posti, proprio Sperlonga?
Dai puoi fare di meglio. Non lo so,
Bahamas, Hawai, Timbuctù…
– Ci arriviamo con la macchina?
– Ah, già…
– Allora voglio andare in Costa Azzurra.
– Va bene, poi potrem
– E voglio dormire ogni giorno in una casa diversa!
– Ok.
– E mangiare quei formaggi francesi
che puzzano di francese.
– Sì, ma per
– E tirare fuori dalle credenze i servizi di piatti
che si tenevano buoni per le grandi occasioni
e che non hanno mai avuto occasione di usare.
– Quello che vu
– E poi girare il mondo, vedere ogni giorno
un posto diverso.
– Cer
– E poi quando sarò stanca della Terra
girarci l’universo!
– Oddio, questo mi sembra più diffic
– Perché? Non possiamo viaggiare nello spazio?
– Non ho la patente per lo shuttle, ma ci possiamo
attrez
– Allora voglio girare l’universo. Ti prego, ti prego,
ti prego! Possiamo possiamo possiamo?
– Certo, con tutto quello spazio non ci sarà neanche traffico.
Io odio il traffico.

di DuediRipicca
Gianluca Pavia Lié Larousse
www.libroarbitrio.com
Photo by Gabriele Ferramola
Come sempre grazie agli amici di Eternalcity Brewing – ECB per la birra e la  location!

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IL BLUFF DELLA FELICITA’ – Gianluca Pavia

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Talmente assuefatti
alla lobotomia quotidiana
da cercare sempre
qualcosa di forte,
emozioni forti,
un salto nel vuoto
con l’elastico ai piedi
o i piedi nel vuoto
e una corda al collo.
Condannati
a dover essere felici,
ad avere tutto e tutti
e il prima possibile,
affoghiamo
nei nostri bicchieri
mezzi vuoti
sognando paradisi tropicali
dai nostri inferni periferici.
Perché lì
saremmo felici,
facendo questo o quello,
saremmo felici
scappando in continuazione
saremmo felici
o per lo meno,
distratti.
Non è tanto
trovare la felicità
né iniziare
a cercarla,
abbiamo già
tutto ciò che serve
dentro,
basta lasciargli spazio
e tempo
per uscire fuori.

Gianluca Pavia
DuediRipicca

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Concetti -Gianluca Pavia

Vladimir Kush - Metaphorical journey

opera pittorica di Vladimir Kush- Metaphorical Journey

Ci sono concetti che
non puoi esprimere a parole,
per quanto tu possa giocarci, con le parole,
e si dilatano in pancia
sgasando e gorgogliando
fino ad esplodere
in calore
calore calore.

E tutt’attorno
sfreccia supersonico,
e lento
allo stesso momento,
che puoi quasi saltarci,
nel tempo,
e nello spazio di un soffio
essere vento
risacca
fotoni,
essere uomo
e forse un po’ Dio.

365 giorni, Libroarbitrio

“Dell’infinito, universo e mondi” Giordano Bruno

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come son questi, nomati astri,
ed ancora che
(o simili o dissimili che sieno questi mondi)
non con minor raggione serebe bene
a l’uno l’essere  che a l’altro;
perché l’essere de l’altro non ha minor raggione che l’essere de l’uno,
e l’essere di molti non minor che de l’uno e l’altro,
e l’essere de infiniti che di molti.
Là onde, come sarebe male la abolizione
ed  il non essere di questo mondo,
cossì non sarebe buono il non essere de innumerabili altri.

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Lié Larousse e il Guerriero Poeta

L.L.

Lié Larousse nasce in un circo itinerante tra stoffe di taffetà ruvida seta in baco e carta straccia. Non sa che giorno fosse né l’anno né la direzione che prese il treno, forse spinto sulle rotaie dal canto stridulo di ogni palpitante sterzata o forse dalle urla del parto di un’ipotetica madre immaginata sotto ogni forma. Quel che è certo, è che, quell’ammasso di ferro legna e carne in transito era vivo, colmo di saltimbanchi, clown, bestie, lustrini e paillette.

– Lié faceva caldo, quello, si me lo ricordo, ma fuori di qui cara, un freddo, quello anche mi ricordo, e poi non insistere con me, chiedi a Mr Freak ti saprà dire di più – .
Mr Freak, bellissimo, alto l’inimmaginabile irremovibile dal suo sgabello con la fisarmonica in grembo e l’armonica alla bocca, appena la vedeva sbucare dal nulla la spostava di lato col bastone argenteo imperando -Fsthgrfth!- .

Lié continuò a chiedere.

Chiese a tutti, ai giocolieri con le clave, a Sir Amour il clown così tanto triste d’esser meravigliosamente felice,  al mangia fuoco Evviva con la tutina gialla aderente e le polpette puzzose di petrolio, alla signorina Edena la donna più bella dell’universo con tre capezzoli, ai due antichi teatranti Ostilis, a Cano lo straordinario pianofortista quadrupede, al triste Robért col trucco sempre al contrario e il diario nascosto che solo lei sapeva dove trovare.
Nulla.
Nebbia .
Ombre.
Ogni risposta una chiusura di porte senza maniglie.
Inerme ad ogni ingresso riappariva lui, bellissimo, ad attenderla sempre, l’incomprensibile Mr Freak.

Ma si narra che fu all’imbrunire di un tempo senz’etere, che un uomo, con la mascella serrata e gli occhi di sangue, vestito di cicatrici d’acciaio salì sulla carrozza 17 di quel malridotto treno. Stese una coltre di cellulosa ricoprendo l’intera cabina che iniziò a riempirsi d’acqua di mare e le sue mani elettrizzate dalle correnti vorticarono una tempesta di dipinte parole e pesci mille colori nuotavano balzando di vagone in vagone e sabbia dorata ondeggiava nella forma dei desideri e zampilli d’acqua cristallina si infrangevano contro lamiere e corpi componendo musica di tutte le note. Gli abitanti del treno si precipitarono ad ammirare la magia, e tra chi applaudiva entusiasmato e chi vociferava pettegolezzi la voce dell’incomprensibile Mr Freak, bellissimo, alto l’immaginabile irremovibile dal suo sgabello con la fisarmonica in grembo e l’armonica alla bocca, mise tutto a tacere imperando:
– Lié, lui è il Guerriero Poeta. Tuo Fratello! –

Così oggi, ad un età inconsapevole, con i capelli spagliati di un colore incolore, vi presento storie di genti del mondo, com’erano e in astratte forme come saranno, qui, dietro le quinte di questo palcoscenico fluttuante leggerete l’idillio della vita degli esseri quali siamo dove conduce. Col mio unico ricordo. Vero. Solo mio. Che d’improvviso di giorno o in sogno m’appare, col profumo caldo di neve silenziosa e sale marino.

Lulù

Come è nel vostro verbo
sarò acqua
liscia e trasparente
 fluirò via
mescolerò cammini

e gradino 
dopo gradino
scoprirò chi sono
creando già da ora
il mio oggidomani
grazie 
Guerriero Poeta.
Lié

365 giorni, Libroarbitrio

Grafia di Bambini

Iris by John Atkinson Grimshaw, 1836-1893.

Nostra la grafia dei bambini.
Con la matita al posto della penna.
Ricordo di me in ginocchio a sfogliare fotografie sul tuo letto.
Ti rivedo nella memoria, in piedi al mio fianco, ad osservarmi mentre scruto la tua vita.
E vorrei stringermi a te posando le miei guance sulle tue ginocchia tese, così forte d’aspirare l’odore della tua pelle attraverso i jeans.
L’odore del tabacco sulle tue mani.
Vorrei fermare il ricordo in questo punto e non andarmene mai via.
E allora chiudo gli occhi e disegno un albero grande.
Gli trasformo il pavimento in suolo di terra.
In briciole di sabbia arsa dal sole.
Le radici scaltre corrono profonde e agili avvolte dal bacio fresco del terreno dimora di animaletti vivaci.
I suoi rami, immersi in delicate foglie che danzano al ritmo di vento, sono tanto infiniti d’arrivare a trafiggere le nuvole e farne cespugli di zucchero filato.
E avrai braccia di corteccia potenti a cullare canti allegri di uccellini all’ombra del tuo animo.
Ed io voglio stare qui.
Al riparo ai piedi di te essenziale albero.
Protetta da tutto lo scompiglio.
Quasi potrei assopirmi calma, e  sognando invocherei la Dea degli esseri Straordinari per sussurrarle della tua armatura da guerriero, di quanto essa sia fragile ma potente al contempo, e lei incantata mi darebbe la magia di donarti forma nuova del tempo, spazio di ciò che realmente sei, bosco incantato, bambino buono, con lo sguardo colmo di chi ha soltanto se stesso al mondo, ma col sorriso di autentica felicità e sorpresa nel trovare me che t’aspettavo.

L.L.

 

 

 

 

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“I buchi neri divorano le stelle” Ilaria Palomba

Roma 21 febbraio 2014

Ilaria Palomba

COMA
Le parole sono capaci del mondo.
Queste sillabe ne contengono le deviazioni.
Dammi dinamite di suono e spasmodici flash di vuoto.
Dammi visioni altalenanti come fruste spezzate sul dorso dei sogni.
Dammi città shock in cui siamo tutti macellati da i-phone esistenziali.
Dammi unghie esiziali da conficcare nel cranio indolente di questo tempo acre.
Dammi vanità. Bontà. Invidia. Crocifissione di vendetta sbiadita. Rivalsa di panorami trascendenti.
Dammi l’Amore Universale della macchina che tiene in vita i nostri corpi ingoiati dall’eccelsa
distanza intergalattica di questo eterno
COMA.

Nei versi di Ilaria Palomba, la vita viene presentata come caleidoscopio di emozioni allo stato puro, come estratto di bellezza, ma anche presagio di putrefazione poetizzandosi :

“Se non posso essere una stella
sarò un buco nero.
Vi deglutirò
con il peso del mio nulla”

Ricorre nel suo testo poetico un’ossessione circolare, il rischio di cadere nell’insignificanza e nel nulla, come una stella che, esaurita la sua energia, lascia dietro di sé una scia luminosa prima di cadere nel buco nero, la sua tomba.
Ilaria Palomba usa un linguaggio fatto di parole rutilanti, in cui i sentimenti interiori trovano corrispondenza in paesaggi bellissimi che ricordano il Salento (sua terra di adozione), con le sue acquemarine e tarantole nere. In un periodo storico come il nostro, in cui c’è una confusione babelica dei linguaggi che diventano sempre più volgari, dimostra una singolare dimestichezza con l’uso delle parole, che usa come tessere di un mosaico meraviglioso, dove ognuna concorre a formare una fantasmagoria onirica alata: “Le parole hanno le ali degli angeli”. Le sue parole sono come proiettili che trafiggono il lettore o, come lo sguardo di Gorgone, hanno l’effetto di pietrificare situazioni e stati d’animo. La poetessa usa le parole come la pittrice impressionista usa il pennello e dalle sue righe esplodono lapilli di lava vulcanica che provocano un big bang di emozioni allo stato puro. Ella intinge il suo pennello nella tavolozza della sua sensibilità, usando tutti i colori di cui è capace la sua anima, e sgorga acqua di risorgiva, fresco lenitivo per i suoi dolori e turbamenti giovanili. Il suo stile va al di là degli stretti confini della periferia del dire comune. Maestra di epifanie meravigliose, costruite con la luce di stelle lontane e solarità forti, Ilaria esprime una sorta di terrore per la opacità che ottunderebbe la limpida trasparenza e, con lo sguardo sempre rivolto al cielo dove sono appesi i suoi assoluti, conficcati come gelide stelle fisse, si trincera nella fortezza di una forma scintillante ed elegante, in cui non c’è posto per i cultori delle ideologie, ma solo per i cultori della bellezza, perché, Ilaria Palomba crede, come Dostojevskj nell’Idiota, che “la bellezza salverà il mondo”.

Tratto dalla raccolta poetica
I buchi neri divorano le stelle
Presentazione di Mariella Cataldo

A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

“Lo sguardo del poeta” di Roberto Mussapi

Roma 21 gennaio 2014

Roberto Mussapi poeta

Dove la terra fu inutilmente arata
e i campi fumano ancora, e le ombre
lontane chiamano inascoltate dai passanti
o dove qualcuno si fermò per un istante e poi scomparve,
linea rovente, rasoterra del tempo,
traccia, impronta di vita che comunque fu,
in qualunque ora e in qualunque  modo,
lì guardano, e lo chiamano orizzonte,
da cui nasce il tempo, il viaggio, l’avventura
oltre la siepe, il meridiano, il magico
confine dell’atlante.
Lì, ascoltami, cadde lo sguardo,
ma non fu a caso, nulla accade per nulla,
fu la tua voce, la voce che sale dalle sponde abitate,
questo è il nostro unico margine,
confine e fuoco,
questa è la direzione dello sguardo.

 Da La polvere e il fuoco, Mondadori, 1997

A domani
Lié Larousse

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James Joyce e il suo “monologo interiore”

Isola d’Elba 20 agosto 2013

James Joyce scrittore

Nacque a Dublino nel 1882 da una famiglia di forti tradizioni cattoliche e nazionaliste.

Studiò nei migliori collegi della sua città e il tipo di educazione ricevuta lo portò prima alle soglie del sacerdozio, poi a una violenta ribellione.

A Dublino, città in cui ambientò le sue maggiori opere narrative, rimase fino al 1904.

Pressato da difficoltà economiche e dall’insofferenza nei confronti dell’ambiente irlandese chiuso e conformista, si trasferì prima a Zurigo, poi a Pola e infine a Trieste, dove rimase fino al 1915 stringendo rapporti di amicizia con intellettuali e scrittori italiani, fra cui Italo Svevo.

La guerra lo costrinse a tornare a Zurigo, ma, al termine del conflitto si stabilì a Parigi, dove rimase per vent’anni frequentando letterati di ogni nazionalità ed entrando in contatto con il mondo della psicoanalisi.

Fu per curare la figlia Lucia che conobbe il famoso psicoanalista Carl Gustav Jung e poté approfondire quelle conoscenze di psicologia che saranno importanti per l’elaborazione del romanzo Ulisse, uno dei testi fondamentali della letteratura moderna.

La narrativa del primo Novecento non poteva rimanere estranea alle nuove idee scientifiche, come la teoria dell’inconscio di Sigmund Freud o la relatività di Albert Einstein, che sconvolgevano non solo le certezze del sapere filosofico e scientifico ottocentesco ma anche la concezione dell’individuo, il suo rapporto con lo spazio, il tempo la società.

Già nei primi racconti l’introspezione e l’indagine psicologica sono per Joyce al centro della narrazione.

Alla rappresentazione oggettiva della realtà egli sostituisce le infinite realtà che si riflettono nelle menti dei personaggi, alle figure eroiche preferisce quelle anonime, quotidiane; alla rappresentazione del tempo come sviluppo cronologico contrappone la sua percezione soggettiva e differenziata; al discorso lineare e ben costruito sostituisce le frasi spezzate, l’abolizione dei nessi logici, le parole inventate.

Nei romanzi, addirittura, abolisce la trama, lasciando al lettore il compito di ricostruirla.

Del resto, ciò che contava per Joyce non era tanto rappresentare la connessione di fatti esterni, quanto il flusso dei personaggi .

Questa tecnica, detta “monologo interiore”, implicava la ricerca di un nuovo linguaggio libero dai vincoli tradizionalmente imposti dalla sintassi, dalla struttura e dal significato comune delle parole.

Dopo aver ottenuto dai critici francesi i primi riconoscimenti, allo scoppio della seconda guerra mondiale Joyce si trasferì definitivamente a Zurigo, dove morì nel 1941.

Joyce pubblicò nel 1915 i racconti Gente di Dublino, i romanzi Ritratto dell’artista giovane nel 1916 e La veglia di Finnegan nel 1939, inoltre fu poeta con Musica da camera 1907 e Poesie da un soldo, 1927.

A domani

LL