Roma 11 agosto 2013
“Non ho né amata,
né casa,
nessun posto dove vivere”
Irrequieto, Rainer Maria Rilke, spinto alla ricerca per la ricerca della vita nella morte, della morte nella vita, fino al loro compimento, almeno letterario quando, agli albori del Novecento canta nei Sonetti a Orfeo l’approdo definitivo della vita quando giunge all’incontro con la sua gemella morte, ed esse incontrandosi si presentano come due aspetti di un’unica affermazione.
Orfeo, il dio della metamorfosi e del congedo, insegna all’uomo che, a dispetto della sua caducità, può innalzarsi ad attimi di estatico appagamento nominando le cose e godendone esistenza e contatto:
Signore: è tempo. L’estate era immensa.
Deponi sulle meridiane la tua ombra,
e libera sulle campagne i venti.
Fa’ che gli ultimi frutti siano colmi,
da’ loro altri due giorni di tepore,
conducili a maturità ed infondi
nel denso vino l’ultimo sapore.
Chi non ha casa, ormai più non edifica.
Chi ora è solo, a lungo resterà in solitudine,
a scriver lunghe lettere, a leggere, a vegliare,
e qua e là inquieto per i viali
tra le foglie che turbinano a errare.
da Giorno d’autunno
Le composizioni, in cui convivono poesia, filosofia e squarci discorsivi, fanno intendere il lungo cammino iniziato con il sensitivo e impressionistico debutto, fino a questi tardi blocchi di versi vigorosi e aspri, dove il vedere e il dire oggettivo vengono relativizzati a favore di un’arte che prende coscienza delle istanze ultime dell’uomo.
A domani
LL