
Ricordo bene il giorno in cui comprai “Il libro dell’inquietudine” di Fernando Pessoa (1888-1935). Era una mattina di maggio, il sole brillava di speranza e l’aria, timidamente, si faceva più calda carezzandomi il volto: era la prima volta che dopo i mesi di lockdown mi recavo in una libreria e fremevo di una contentezza tutta nuova, di una gioia primordiale.
Sugli scaffali, ordinati, giacevano i libri che da tempo aspettavano di essere toccati, annusati, sfogliati, e, forse, persino comprati da qualche nuovo, affamato lettore. Non cercavo nulla in particolare, volevo solo provare quella sensazione di pace che solo vagare fra i libri, in silenzio, sa regalarmi. Improvvisamente, una copertina verde, sbavata di mare, catturò la mia attenzione: “Il libro dell’inquietudine”. Pensai che, forse, dopo quello che avevamo appena passato non sarebbe stata la lettura migliore ma, testarda, non mi fermai al titolo. Pagai e me ne tornai a casa col mio nuovo compagno.
Bernardo Soares- eteronimo di Fernando Pessoa- è il narratore di questo testo che, come confessa lo stesso autore, è fatto solo di “frammenti, tutto frammenti”, ben 450, che più o meno sconnessi danno vita a quella che è una “biografia senza fatti”. Le vicende del nostro Bernardo, infatti, avvengono perlopiù nella sua mente e chiamarle “vicende”, in realtà, è quasi improprio poiché quei frammenti di vita che ci troviamo davanti narrano piuttosto dei dubbi, delle domande, un infinito chiedersi, stupirsi, indagarsi, conoscersi e cercare di conoscere l’altro. Il mondo di quello che sembra un inetto ci viene presentato attraverso le lenti privilegiate dell’incertezza e della sensibilità che regalano al lettore altissimi momenti di poesia in prosa. I dubbi esistenziali di Soares si sciolgono nel sentimento quasi inspiegabile che è la saudade: una sorta di nostalgia, ma più profonda, un sentimento che fa riferimento al passato, dal gusto dolce, triste e felice al tempo stesso, come un mio amico ha cercato di spiegarmi. Un sentimento tutto portoghese, ma che come ogni altro aspetto universalmente umano, seppur dandogli un nome diverso, abbiamo provato tutti noi almeno una volta nella vita.
I pensieri di Bernardo Soares cavalcano, velocissimi, i fili intessuti dalle sue continue domande sulla vita e sull’essere, sul senso, se c’è, di tutto ciò che ci circonda. La sua ricerca parte dall’avvilente Rua dos Douradores di Lisbona, e arriva a toccare “i geroglifici infranti delle stelle” in cui i sogni si muovono e a solcare i mari in cui “tutto è il mare di tutto nella notte in cui viviamo”.
Una tematica a me particolarmente cara ed estremamente viva nei “frammenti” è quella della sensibilità che non è sinonimo di debolezza bensì senso stesso del nostro Essere Esseri Umani. Per questo, vi riporto le meravigliose parole di Pessoa a riguardo, tratte da questo che è un libro, secondo me, indispensabile per comprendere il nostro essere “perpetuo srotolamento di immagini”:
“Quanto più è alta la sensibilità, e più sottile la capacità di sentire, tanto più assurdamente essa vibra e freme per le piccole cose. È necessaria una prodigiosa intelligenza per provare angustia per una giornata buia…”
articolo di Martina Benigni
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