365 giorni, Libroarbitrio

perché se sei triste ridi? – L.L.

 

vai

Non voglio dire
che proprio tutto mi fa schifo
perché non è così
ma ci siamo pure un bel poco vicini
invece Pazzo mi piace e mi sta simpatico
per quanto mi rimbambisca domandandomi sempre
– perché se sei triste ridi?

diciamo che prego che le mie preghiere
vengano esaudite
prima delle tue

diciamo che la gente che urla ai propri amici, ai compagni, ai conducenti dei bus
e quelli che gli cade la mano morta sul mio culo m’hanno annoiata
e stancata di più che attendere l’improvviso della morte stessa
che però non è mai nei loro paraggi quando serve
e quindi non ne capisco il senso

diciamo che non c’è più nulla di normale e che tutto non ha senso
e poi perché dovrebbe averne ? la normalità sta nell’anomalia
come Pazzo che pare sia l’unico a capirci qualcosa della mia vita
e dei mali del mondo – che non vengono mai per nuocere
dice biascicando mentre si fa un tiro di sigaretta spenta
e mi cammina affianco

diciamo che il caffè
a me non piace
l’allungo lo correggo lo inzucchero per bene, aspetto che si freddi
e continua a non piacermi
ma non ci rinuncio,
e ora entro al bar e vediamo

diciamo che incontro sempre un sacco d’uomini
pure quando non me l’aspetto,
sarà perché al mondo ce ne sono tanti e dappertutto,
sarà perché ad essere così in tanti per alcuni non si ha meglio da fare
per fortuna che a me piacciono gli uomini
tutti e tanto
pure se di biondi se ne vedono pochi in giro

diciamo che non riesco più ad entusiasmarmi,
non voglio dire che non mi entusiasma più nulla però
è solo che mi sembra d’ascoltare sempre le solite frasi,
musica volti chiacchiere storie vittime eroi mostri

e diciamo che non mi posso smentire
il caffè mi fa proprio schifo
pure se il barista
bruno con gli occhi fuori da ogni prognostico calcistico azzurri
ben pettoruto sotto la canotta appositamente sforbiciata via dalle maniche
da due anni convivente con convissuta mai tradita
m’ha disegnato con la schiuma un cuore sporcandolo con schizzi di cacao

mezz’ora dopo
ho mandato giù tutto d’un fiato
ho sorriso, ringraziato.
Tornata in strada
m’ha raggiunta Pazzo
che parla questa lingua tutta sua
nel mondo che è tutto suo
così, passeggiando scortata
fino a casa mia.

365 giorni, Libroarbitrio

“Tagebuch einer heimlichen Symmetrie” Lettere di Jung a Sabina

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“Mi rendo conto che mi preme di Lei molto di più di quanto pensassi. Solo che io sono terribilmente diffidente e credo sempre che gli altri  esseri umani  vogliano sfruttarmi e tiranneggiarmi. La fiducia nella naturale bontà degli esseri umani che io predico tanto, riesco ad averla con grande fatica. Ma, per carità, tutto questo per Lei  non vale. Tuttavia, per mia disgrazia, non posso fare a meno nella vita della felicità dell’amore, dell’amore impetuoso. Io cerco la persona che sia capace d’amare l’altro senza per questo punirlo, senza renderlo prigioniero o dissanguarlo; cerco questa persona del futuro che sappia realizzare un amore indipendente  da vantaggi o svantaggi sociali, affinché l’amore sia sempre fine a se stesso e non solo il mezzo di vista di uno scopo. Un amore la cui vera e intima condizione di vita è la propria libertà d’essere. Ma un uomo come me dotato di spirito creativo ha poco potere sulla sua vita. Non è libero.
E’ incatenato e spinto dal suo demone.”

365 giorni, Libroarbitrio

L’ironia di Alessandro Manzoni

Roma 22 maggio 2013

Oggi 22 maggio ricorre la sua morte 

A Brusuglio, otto chilometri dal Duomo di Milano, c’è la Villa Manzoni residenza estiva dello scrittore.

Nel parco, una montagnetta con in cima una pergola. E’ terra di riporto da uno scavo ordinato dai Manzoni per deviare il Seveso, che lambisce la proprietà.

“Un rompicapo per i geologi del futuro”, ridacchiava Manzoni, ” che non sapranno che che dire della cosa, nella spianata padana…”.

E qui c’è già tutta la sua ironia. Un sentierino erboso porta alla vetta dell’altura. Oggi s’interpone la coltre dei palazzoni e delle fabbriche. Ma un tempo, guardando a est, si vedeva nel bel cielo di Lombardia il frastaglio del Resegone.

E’ l’amato lecchese, con il Caleotto, la casa della sua infanzia, e il seme del romanzo. Era là, sulla montagnetta, quando il 17 luglio 1821, il postino gli mise in mano la “Gazzetta di Milano” con la notizia della morte di Napoleone.

La culla dell’ “Ei fu”, l’incipit più scolpito.

Alessandro Manzoni nasce  a Milano nel 1785, da Giulia Beccaria, figlia di Cesare. Il legale è il cinquantenne Pietro Manzoni, patrizio lecchese.  Le voci indicano come padre carnale Giovanni Verri, già legato a Giulia prima del suo matrimonio.

Per due anni, Alessandro è a Melgrate, a balia. Nel 1792, i genitori si separano: dal 1795, Giulia convive con il nobiluomo Carlo Imbonati a Parigi, dove frequenta i salotti intellettuali alla moda.

Il ragazzo, formalmente, è affidato al padre, ma passa da un collegio all’altro. Ventenne , compone gli impeccabilisciolti del poemetto In morte di Carlo Imbonati, che già include propositi  fondanti: “Sentire e meditare…”, “Non fare tregua coi vili”, “Il santo Vero mai non tradir”.

Ha rapporti con Vincenzo Monti, conosce Foscolo, a Milano incontra patrioti e intellettuali in esilio. Divora le pagine di Parini e Alfieri. Si forma. Nel 1805, muore l’Imbonati, lasciando a Giulia tutti i beni, compreso Brusuglio.

Alessandro si ricongiunge alla madre, a Parigi, dove sperimenta ambienti culturali fervidi.

Nel 1808, a Milano sposa Enrichetta Blondel, con rito calvinista, secondo la fede di lei. La coppia vive a Parigi fino al 1810, anno del graduale passaggio dei coniugi alla religione cattolica. Ora il trio dimora tra Milano e Brusuglio. Gli anni scorrono tra nascite, e moti premature dei figli, creazione letteraria e l’attività di agricoltore, da Manzoni considerata primaria sotto il profilo economico.

Esperto in botanica, introduce nuove tecniche di coltivazione, pianta l’esotica robinia, ne intreccia due tronchi significando se stesso ed Enrichetta, vinifica dalle sue vigne, prepara estratti e decotti (ancora visibili le piccole bottiglie nella stanza da letto, a Brusuglio), tenta senza successo di coltivare caffè, raccoglie cotone e bachi da seta sui gelsi.

Nel 1833, giorno di Natale, muore Enrichetta, stremata dai parti e dai salassi. E’ sepolta a Bresuglio sotto la grande croce della lapide di famiglia, dove riposa anche Donna Giulia.

Manzoni è schivo, ossessionato da balbuzie, nevrosi che gli causano mancamenti, agorafobia, schizofrenia tra maniaco distacco e precetti di carità che lo spingono alla beneficenza verso i bisognosi: si narra che a Bresuglio regalasse dolciumi ai bambini, ma a distanza, dall’alto dei gradini d’ingresso della villa.

Nel 1589 riceve da Vittorio Emanuele II un vitalizio, che prelude all’elezione a senatore del regno.

Cavour e Garibaldi gli fanno visita.

Accetta la cittadinanza onoraria di Roma, ma nella capitale non porrà mai piede.

Muore il 22 maggio 1873, ucciso da un ematoma alla testa, dopo una caduta sui gradini della chiesa di San Fedele.

Verdi compone per lui la Messa da Requiem, eseguita nella chiesa milanese di San Marco e alla Scala.

A domani

LL

 

Spunto di lettura:
Testo di Ezio Savino
Poesia e vite di poeti
Editore Fondazione Poesia Onlus