365 giorni, Libroarbitrio

Intanto solo CIAO MIRIAM – Sei volata in cielo con la tua bicicletta per lasciarci ancora senza fiato!

“L’avventura è un bisogno primario,
come l’acqua e il cibo e avendo più bisogno di avventura degli adulti,
i ragazzi dimostrano di essere più vivi degli altri.”

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Un libro, come una bici,
ti porta dove vuoi. Su Strade inventate per lasciarti senza fiato!

Aria - Miriam Dubini - trilogia

“Non so che cosa c’è scritto nel cielo, non so che cosa porterà il vento, quello che so è che nel cuore di tutti noi c’è scritta una parola felice.
Miriam Dubini era nata a Milano il 25 marzo 1977. La sua pri­ma bicicletta fu una “Saltafoss” con bandiera dei pirati ereditata da un cugino ri­belle. La seconda una mountain bike dipinta con le bombolette spray dei suoi amici graffitari, che l’ha accompagnata per tutti gli anni del liceo classico. Poi c’è stata una bici olandese giallo sole che l’ha vista laurearsi in semiotica e specializzarsi con un master in scrit­tura per il cine­ma e la fiction. Ha lavorato per la Ditta Gioco Fiaba e per il circo di Ambra Orfei come attrice e drammaturga di teatro ragazzi, ha scritto libri e fumetti per Disney ed Edizioni BD, ha inventato giochi per Art Attack e poi ha cambiato città e bicicletta. Ora vive a Roma, scrive libri per ra­gazzi, sceneggiature per cinema e televisione e s’inerpica sui colli con Merlina, una bici da corsa azzurra… come l’Aria.
C’è un posto dove finiscono le lettere mai ricevute, i regali perduti, le parole taciute. Ci sono occhi che sanno leggere il vento e cuori che possono volare. “Che idiozia!” direbbe subito Greta. Tredici anni e una bicicletta da corsa su cui sfrecciare via appena qualcuno inizia a parlare d’amore. Come la sua compagna di classe Lucia, che invece sembra non pensare ad altro, o Emma che sa tutto sulle questioni di cuore. Greta non crede nell’amore… fino a quando non incontra Anselmo. Diciassette anni, bello come un angelo, misterioso come i pacchi che consegna in giro per Roma a bordo della sua bicicletta. Per scoprire il suo segreto, le tre amiche approdano in una ciclofficina dove accadono cose miracolose. Qui impareranno a riparare biciclette e inventarsi il futuro e scopriranno che Anselmo può leggerlo, il futuro. Scritto con trame di luce nel vento. Ma quando il suo sguardo incontra quello di Greta, tutto scompare. Nel buio del mistero più grande, dove ogni cosa perduta aspetta di essere nuovamente amata.”

Questo solo uno degli incipit del cuore della scrittura di Miriam Dubini, autrice di favole e storie per ragazzi che si è spenta tre giorni fa causa le conseguenze grazi di un incidente stradale, e noi vogliamo ricordarla così, nelle sue storie, con le sue parole.

#2dR

365 giorni, Libroarbitrio

Andando – Guido Catalano

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Tristezza chiama tristezza
e cane chiama cane
bacio chiama bacio
ma sole chiama luna
il vino si trasforma in sangue
e le lacrime in gazzosa.
Tu oggi a pranzo
eri carina e/o bella senza voce
con quei pantaloni da uomo
e le toppe ai gomiti.
Non dovrebbe comunque essere legale
alzarsi dal letto quando fa ancora buio.
Io chiamo te
e tu chiami me
pronto mi senti?
silenzio chiama assenso
e vorrei portarti al lago
far l’amore sul pontile
come in quei film
sai quei film con i laghi
e con i pontili?
Oggi in viaggio
verso il profondo est
ho trovato la tua sciarpa grigia e nera
nel mio zaino con il tuo odore
son quelle piccole fortune
che ti aiutano la vita.

365 giorni, Libroarbitrio

“Confessioni di un mangiatore d’oppio” di Thomas de Quincey

Girl With Red Hair

Spesso m’è stato chiesto come, e attraverso quale serie di passi, divenni consumatore d’oppio.
Fu gradualmente, per tentativi, con diffidenza, così come una persona, giù giù per una spiaggia declinante, scende fino al mare profondo, conoscendo fin da principio i pericoli del sentiero, e tuttavia con l’aria di sfidarli, corteggiandoli quasi? O, seconda ipotesi, fu per pura ignoranza di tali pericoli e indotto in errore da frode venale, in quanto spesso l’efficacia di certe pastiglie che alleviano le affezioni polmonari è dovuta all’oppio che contengono, all’oppio e all’oppio soltanto, benché pubblicamente rinneghino un’alleanza tanto sospetta e, sotto camuffamenti così traditori, esse inducono moltissimi a contrarre un imprevisto legame di dipendenza della droga, senza averla mai conosciuta né di nome, né di vista; per cui, non di rado, accade che la catena dell’abietta schiavitù viene scoperta solo quando già s’è inestricabilmente avvolta intorno all’organismo?
Oppure, terza e ultima ipotesi (“Sì”, rispondo io con appassionata anticipazione, prime ancora che la domanda sia formulata), oppure fu per un improvviso, indomabile impulso provocato dalle torture della sofferenza fisica? Ad alta voce ripeto: “Sì”; ad alta voce e indignato, come in risposta a una calunnia intenzionale. Semplicemente come a un anestetico, costrettovi dalla sofferenza più atroce, ricorsi la prima volta all’oppio; e proprio quel mio tormento, o qualche varietà di esso, conduce molte persone a far conoscenza con quel medesimo insidioso rimedio.
Così fu, così, affatto incidentalmente; mentre, pur senza vergogna da parte mia, la cosa avrebbe potuto andare in maniera molto diversa.

365 giorni, Libroarbitrio

Giuseppe Conte da “Le stagioni”

Roma 11 gennaio 2014

Giuseppe Conte poeta

Il Poeta

Non sapevo che cosa è un poeta
quando guidavo alla guerra i carri
e il cavallo Xarìto mi parlava.
Ma è passata come una cometa

l’età ragazza di Ettore e di Achille:
non sono diventato altro che un uomo:
la mia anima si cerca ora nelle acque
e nel fuoco, nelle mille

famiglie dei fiori e degli alberi
negli eroi che io non sono
nei giardini dove tutta la pena

dì nascere e morire è così leggera.
Forse il poeta è un uomo che ha in sé
la crudele pietà di ogni primavera.

” I versi di questa poesia sono anteriori al 1983, il testo da cui sono tratti fa parte di un gruppo di poesie che ho scritto nel cuore degli Settanta, poi confluite ne L’oceano e il ragazzo. In quegli anni c’è stata una modifica del rapporto uomo-natura di carattere epocale. Noi eravamo abituati a vedere la natura più potente dell’uomo, all’improvviso ci si rivelò un mondo in cui la natura è uccisa, avvelenata, inquinata…Nelle poesie di quel tempo mi ponevo questo questo problema: come ritrovare un linguaggio della natura visto che il contatto con essa era andato perduto? E’ vero che la natura è uno dei temi più ricorrenti in poesia attraverso i secoli, ma va detto che negli anni Cinquanta e Sessanta era stato pressoché accantonato. Negli anni Settanta ho riscoperto la possibilità di parlare con la natura, non attraverso una fuga arcadica, come talvolta hanno scritto i miei detrattori, ma considerando la tragedia che sta vivendo la natura. Quindi ho scritto poesie in cui la natura sembra già morire. Ben pochi sanno che cos’è un albero, ben pochi sanno ascoltare il mare…Voglio dire che rischiamo di perdere la natura nelle sue rifrazioni sulla nostra anima, che poi è quello che conta”.

Tratto da Intervista a Giuseppe Conte,
di Luigi Cannillo  e Annalisa Manstretta

A domani
Lié Larousse

Spunto di lettura:
LA BIBLIOTECA DELLE VOCI
Interviste a 25 poeti italiani
Edizioni Joker