365 giorni, Libroarbitrio

LA LISTA DEGLI STRONZI – JOHN NIVEN Recensione di Gianluca Pavia

        

Sarà capitato anche a voi di stilare una lista di dieci cose da fare prima di morire, ecco, Frank Bill ne ha una con cinque nomi da uccidere prima di godersi il riposo eterno. Sembrerebbe il tipico personaggio di Niven, uomo bianco e privilegiato, ma questa volta non ci sarà una parabola di caduta e redenzione, crocifissione e risurrezione. E’ il 2026 negli Usa guidati da Ivanka Trump, succeduta al padre quasi per diritto feudale senza scostarsi dalla sua politica conservatrice, portandola, anzi, agli estremi, fino a mettere al bando l’aborto  o incentivando l’acquisto e il possesso d’armi da fuoco, che da diritto diventa quasi un dovere. E’ un’America avvelenata dall’odio, violenta, che preferisce urlare per arrogarsi la ragione piuttosto che parlare e capire, quella in cui Frank Brill accetta in silenzio la diagnosi del tumore che lo sta divorando da dentro. Niente drammi né urla disperate, eppure “silenzio” non è la parola giusta, perché dentro Frank qualcosa si smuove, e no, non è disperazione, bensì euforia. Frank è finalmente libero di mettere in atto un piano studiato alla perfezione negli ultimi anni della sua rancorosa solitudine. Un aborto illegale gli ha portato via una figlia, morta dissanguata in una stanza di motel, una sparatoria in una scuola gli ha strappato anche la seconda moglie e il figlio più piccolo; Frank non ha più nulla oltre la vendetta.
Così parte per un ultimo viaggio che lo sbalzerà da un lato all’altro di un’America che non riconosce più, intenzionato a sbarazzarsi di quelle cinque persone che hanno rovinato la sua vita, e quella delle persone che amava. Un viaggio tra il thriller e l’ironico ad un ritmo incalzante che getterà in faccia al lettore tutte le contraddizioni della società moderna: la brutalità della stessa polizia che dovrebbe “proteggere e servire”, l’informazione che ha sacrificato la propria libertà in favore di una funzione di terrorismo mediatico e manipolazione, l’istigazione all’odio verso il diverso fino a militarizzare l’antimmigrazione, la paura di un nemico invisibile che fagocita i diritti sociali.
E’ tutta fantasia, ma neanche troppo.
Il viaggio di Frank non lo porterà solamente da un obbiettivo al prossimo, lo spingerà per forza di cose a guardarsi dentro, passare in rassegna ciò che ha fatto e non ha fatto per contrastare la becera deriva a cui si è abbandonato il paese che amava tanto, partendo da quel giorno di dieci anni prima in cui votò Trump quasi per scherzo. Una lucida autoanalisi che si appiccica al lettore come un insetto fastidioso, un prurito che spinge a riflettere su quanto stiamo facendo in realtà per combattere un sistema che va sempre più stretto, di cui amiamo lamentarci per poi accettarne ogni perversione e bruttura.
Un romanzo crudo, diretto, certo ironico ma che non salva nessuno quando affronta temi come la vendita di armi, la violenza, l’odio razziale, la pedofilia, la vendetta, l’ingiustizia sociale, l’istintivo autoproclamarsi giudice e boia di ogni vita. Un romanzo imperdibile che tra una lacrima e una risata vi lascerà nello stomaco la brutta sensazione di averci appena preso un bel colpo.

di Gianluca Pavia

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L’autore Gianluca Pavia durante un reading – Torino

Gianluca Pavia autore di romanzi, racconti e poesie, vincitore del Premio Racconti nella Rete 2016, e di altri importanti titoli come Bukowski e Holden, collabora con riviste letterarie, e artisti dello spettacolo. Dal 2016 ha pubblicato i libri Poker d’incubi (Alterego Edizioni), Spietate speranze (Miraggi Edizioni), Black-out (Ned Edizioni), WHISKEY & SODA CAUSTICA d’amore, vita, morte e altri casini (Bestseller Books & Co.), in questi giorni in libreria con il nuovissimo romanzo UCCIDERO’ L’EDITORIA NAZIONALPOPOLARE (Bestseller Books & Co.)

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Gian Carlo Lisi recensisce le poesie di Lié Larousse dal nuovo libro .la vita comunque.

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Ringrazio il giornalista Gian Carlo Lisi per la sua recensione alla mia poesia .matrioska. estratta dal mio nuovo libro .la vita comunque. pubblicata sul quotidiano Taranto BuonaSera e sulla pagina controVerso!

“.se questa tua vita / in una vita si aprisse
una dentro un’altra / e dentro questa
un’altra ancora / vita su vita
tante / quante / vorresti viverci dentro e assieme
ma quanto peccato invece / che questa tua vita tu l’abbia
chiusa in una vita sola / e basta.”

Interessante l’idea di chiudere il titolo, scritto in minuscolo, tra due punti: uno in principio e uno alla fine. Così come è caratteristica la soluzione di aprire la poesia con un punto e di chiuderla con un punto evitando l’interpunzione intermedia. La matrioska, per chi lo ignori, è una tipica bambola russa che contiene al suo interno un’altra più piccola, che ne contiene un’altra e così via. Il quesito che si pone Lié Larousse prende spunto da tale bambola e giunge alla fredda e asettica conclusione secondo la quale, sebbene sia possibile per ciascuno di noi aprirsi a nuove e insolite vite, “questa tua vita tu l’abbia/ chiusa in una vita sola/ e basta”. E’ il dramma di ogni individuo e, a tale malessere, non v’è rimedio alcuno.
Non è possibile vivere vite parallele se non per osmosi.
Ma a cosa serve? Sono e restano pur sempre vite fittizie. Desideri. Sogni. La realtà è ben altro e con essa, quotidianamente, l’individuo è costretto a coesistere. L’autrice nella sua rassegnata conclusione, comprende che non vi siano alternative. Versi struggenti e potenti. Parole che fanno male e, al contempo fanno meditare. La poesia, come dicevo in altra recensione, deve emozionare ma essa deve anche insegnare. Ecco questa poesia oltre a far sognare è didattica.

di Gian Carlo Lisi

 

 

Il libro .la vita comunque.
edito dalla casa editrice americana Bestseller Books & Co.
è in vendita in libreria e online.

Ringrazio tutti i miei amici che si soffermeranno a leggermi 
Lié Larousse

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.Lié. – Recensione di Anita Cicorella

Grazie ad Anita Cicorella di questa emozionante e bellissima recensione al mio libro .Lié. ( Miraggi Edizioni) , grazie a Luana Penna e Specialmente Donne per la loro instancabile dedizione alla ricerca e promozione della cultura in ogni sua forma!

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“Quale aggettivo potrebbe utilizzarsi per etichettare un libro di poesie?
Veloce, lento, diversificato, ansiogeno, crudo, inquietante, astratto, sensuale, ironico, scabro?
A quale altro termine contraddittorio si potrebbe pensare?
E quale di questi è più adeguato al libro .Liè.?
Tutti, lo sono tutti. E lo sono anche altri a cui non si è ancora pensato, in questa pagina. Si, perché questo libro è una gimkana, una girandola di sentimenti, e storie, e tipi diversi di umanità.
L’autrice, sin dall’inizio, ci porta subito nel suo mondo fatto di parole basilari, a tratti tenere, in cui si parla d’amore, ma presto si scopre che non si parla solo di questo. Contestualmente, nella stessa poesia, o forse in quella successiva, o in quella riportata tre pagine dopo, improvvisamente l’aria si incupisce, le parole prendono fuoco, sembra che si stia parlando di sentimenti e invece si parla di stomaci, di voltastomaci, di troie, sputi, inquinamento umano, liquidi acidi lisergici, alcol e avanzi geneticamente mutati.
Si potrebbe continuare con l’elenco di parole forti, ma è giusto che il lettore le scopra da solo.
Ed è altrettanto giusto che quei tre secondi che il libro impiega a passare da zero a 100 stupiscano e mettano a disagio ad ogni pagina. O quasi.
In genere non ci si aspetta tutto questo da un libro solo, lo stile personale di uno scrittore è spesso univoco, ci conduce passo passo all’interno del libro che si sta leggendo e molte volte, lo si ritrova nelle altre sue opere.
L’autrice qui, invece, muta, cambia, sembra che voglia travolgerci con una miscellanea di situazioni capitatele probabilmente a caso, ma forse non è tutto così semplice.
Lo stile va individuato, ogni poesia va capita e interpretata e il messaggio intero che il libro vuole trasmettere va scovato.
L’essenziale però lo si individua subito, dopo poche righe, ed è la personalità forte dell’autrice; a cui capita di scriverci:
“guardami bene
su questa pelle
ho tatuato il mio nome
non il tuo”.

recensione di Anita Cicorella

#2drpoetry #2drartgallery DuediRipicca

Lié Larousse
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“Due addetti alle pulizie” de Le Ore Piccole e il ruolo della coscienza nell’uomo moderno – Gianluca Pavia – Lié Larousse/2dR

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Dopo la vittoria del Premio Nazionale Scena&Poesia 2018, la compagnia Le Ore Piccole ha presentato al teatro India a Roma, per il Festival teatrale ContAminazioni, come è cool dire oggi, lo spin-off de “Il calapranzi” di Harold Pinter.
E subito penso, nel vedere gli attori salutarci e sparire dietro le quinte, che la pièce teatrale scritta e diretta da Chiara Arrigoni non cade mai nel copia e incolla di un testo già presentato, anzi spinge costantemente alla riflessione, fin dalla prima scena, attraverso gli “indizi”, ed è proprio il caso di dirlo, seminati dai due protagonisti; ed è anche per questo che “Due addetti alle pulizie” tiene un ritmo crescente che prende alla gola per tutto lo spettacolo. Forte dell’interpretazione di Andrea Ferrara e Massimo Leone emerge l’ “io” inconscio dell’uomo, apparentemente disinteressato fintanto che il tarlo del dubbio non si insinua nella coscienza, dando vita alle molteplici sfaccettature della personalità umana dei protagonisti: intenti a pulire uno scantinato, sembrano parlare del più e del meno come semplici colleghi, ma ogni battuta, azione, silenzio sospeso, è un mattoncino per ricostruire un quadro generale piuttosto inquietante, che prima si tinge di giallo e poi di rosso sangue. Come la macchia ostinata che non vuol venir via dal pavimento, facendo tornare alla memoria tutte le altre macchie, che hanno giù pulito e continueranno a pulire in quel ambiente angusto, mano mano sempre più inquietante. Perché loro lo sanno, cosa succede laggiù, nonostante non abbiano mai visto per chi lavorano, non ci abbiano mai parlato.
A volte la privacy è una questione di vita o di morte.
L’anima guida di molti, le famose tre scimmiette: non vedo, non parlo, non sento.
La calma apparente s’incrina, cosa comune oggi, quando uno dei due “ripulitori” inizia a farsi delle domande, a farle ad alta voce, trovando un’eco in chi osserva, nel suo dubbio su quale sia la cosa giusta da fare di fronte al male: prenderne coscienza, o fare finta di niente? Magari cullandosi nella scusa che sia un qualcosa più grande di noi, un meccanismo di cui facciamo parte? La situazione precipita drasticamente quando salta fuori una pistola, e se c’è una pistola, prima o poi sparerà, ma niente spoiler, solo una domanda: “Chi pulisce quando noi ce ne andiamo? Sono curioso di saperlo. Chi mette in ordine? O forse lasciano tutto così com’è?” 
Della serie: dove finiscono le nostre responsabilità?
E quand’è che le cose smettono di interessarci?

Lié Larousse/Gianluca Pavia/#2dR

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ELEANOR OLIPHANT sta benissimo – Gail Honeyman

dipinto-quadro-fuoco-511_LARGE Chiara Ciccone

A che cosa servivo io? Non avevo dato nessun contributo al mondo, assolutamente nulla, e non ne avevo nemmeno ricavato nulla. Quando avessi smesso di esistere, non sarebbe materialmente cambiato niente per nessuno.
L’assenza della maggior parte della gente sarebbe stata avvertita, a livello personale, da almeno una manciata di persone. Io, invece, non avevo nessuno.
Non illumino una stanza quando entro. Nessuno spasima per vedermi o sentire la mia voce. Non provo la benché minima pena per me stessa. E’ semplicemente la constatazione di un dato di fatto.
E’ tutta la vita che aspetto di morire. Non voglio dire che desidero attivamente morire, solo che non voglio seriamente essere viva. Ora qualcosa si era mosso, e mi ero accorta che non serviva che aspettassi la morte. Non volevo. Svitai la bottiglia e bevvi a fondo.

 

UNA CONVERSAZIONE CON GAIL HONEYMAN

Com’è nato ELEANOR OLIPHANT STA BENISSIMO?
“Sono partita da due idee correlate. La prima è la solitudine, un problema che solo di recente comincia a ricevere la giusta attenzione….La seconda il punto di vista narrativo, un personaggio come questo è affascinante perché apre infinite possibilità”
Cover Eleanor Oliphant sta benissimo

Cari amici lettori vi consigliamo di leggere questo romanzo, e per gli appassionati di scrittura c’è un’interessante intervista alla scrittrice che parla di ispirazione e stesura della storia.
#2dR

 

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L’abbiamo visto in anteprima: FABRIZIO DE ANDRE’ IL PRINCIPE LIBERO – Il Film – RAI FICTION e ve lo consigliamo!

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Tutti dovrebbero vedere questo film.
In primis tutte quelle persone che con troppa facilità ed ignoranza esprimono il loro parere giudicando la vita di un artista, di qualsiasi artista, dal pittore all’attore, dal poeta al cantante, senza aver mai avuto a che fare davvero con il mondo dell’arte, né con nessuno di loro.

Perché? Perché questo film non racconta solo i momenti salienti della vita del grande cantautore italiano che è tutt’oggi De André, ma di ogni persona che ha fatto parte della sua vita, a partire dal padre Giuseppe De André, fino ad arrivare a Luca Marinelli. E se nel guardare la pellicola, liberi da preconcetti, riuscirete a carpire ogni istante della sua vita, e quella di ogni personaggio, allora questo film vi regalerà il più grande degli insegnamenti: conoscere è la libertà.

Fin dal primo minuto si respira proprio aria di libertà, poetica e musicale, che sarà la vera ambientazione di tutto il racconto, dalla Genova dell’adolescenza, alla Sardegna della vita adulta, proprio da qui inizia il lungometraggio, dalla tenuta in Gallura per poi percorrere a ritroso quarant’anni di vita artistica di De André. Vita artistica, punto. Glielo dice Luigi Tenco “Non puoi dividere la vita personale da quella artistica”, durante una delle loro nottate birra e spiaggia. Luigi Tenco, interpretato da Matteo Martari, che diventerà presto amico e complice di intuizioni poetiche su carta, e scoperte musicali d’oltre oceano. Il giovanissimo De André lo vediamo approcciarsi alla musica con la chitarra, regalatagli dal padre dopo aver avuto il coraggio di confessargli che no, suonare il violino non gli piaceva affatto, ed ecco che il coraggio di scegliere da sé diventa l’obiettivo di una vita, così come avere sempre la penna e stracci di carta alla mano, pronto ad annotare pensieri, frasi ascoltate, o parole che scrive mentre beve e scambia opinioni con amicizie importanti, che ne formeranno il carattere, che lo ispireranno, come quella straordinaria con Paolo Villaggio, interpretato da Gianluca Gobbi (calato perfettamente nella parte), a fargli presente la grandezza dei testi, della sua voce, prima di chiunque altro, che lo porterà a leggere e a cantare tra amici al bancone, e poi sul palco di un piccolo teatro. De André venticinquenne e ostinato, che preferisce la compagnia di prostitute e i loro avventori alle giovani della borghesia, mondo quest’ultimo dove le feste altro non sono che stanze sorde dove “parlare di niente”, ma dove trova il primo grande amore, e scoprire col tempo, quanto lontano e doloroso sia da lui, e quanto non faccia più parte del suo essere. Durante gli anni del successo tentenna, fugge, quasi sopraffatto da nuove forme di paura, come quella di desiderare di prendersi una pausa, temendo però di non riuscire più a scrivere, ad incidere dischi, e poi ritrovarsi innamorato, di nuovo, di colei che diventerà la sua compagna, poi seconda moglie Dori Ghezzi, con lei il coraggio di cambiare vita, il primo concerto, il sequestro e il dolore della reclusione imposta, ma quando finalmente torna libero vive, vive davvero la libertà che ha sempre cercato, scritto e cantato.

“Grazie al cielo ho una bocca per bere e non è facile 
Grazie a te ho una barca da scrivere ho un treno da perdere 
E un invito all’Hotel Supramonte dove ho visto la neve 
Sul tuo corpo così dolce di fame così dolce di sete 
Passerà anche questa stazione senza far male 
Passerà questa pioggia sottile come passa il dolore ”
Fabrizio De André

Il film arriverà nelle sale come evento speciale il 23 e 24 gennaio e su RAI 1 diviso in due parti,
il 13 e 14 febbraio, noi ve lo consigliamo vivamente!
Articolo di Lié Larousse & Gianluca Pavia /2dR
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Una volta l’estate – Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi

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In questa che oggi sento sulla mia pelle essere l’epoca della rabbia e dei vinti, e osservo, e percepisco, e vivo la difficoltà che ha l’uomo di afferrare se stesso nel vortice del caos della quotidianità contro una società che lo vuole plasmato e plasmabile, e lo vedo tentare d’imporsi con principi e virtù senza però riuscire a farli davvero propri, e allora troppo stanco quando ormai tutto gli appare ormai inutile, lontano, dimenticato e opposto agli obiettivi prefissati, lo vedo abbandonarsi e inerme seguire ed inseguire le nuove mode, e presunte tali, nel flusso dell’arrendevolezza di massa, tuttavia, nel romanzo Una volta l’estate, scritto a quattro mani dagli autori Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi, scorgo un barlume di speranza in Edoardo, che, nonostante la miriade di complicazioni imposte, coraggiosamente lotta marciando controcorrente, mettendo a rischio la sua vita, ogni ideale, tutto il suo mondo, senza rimpianti né rimorsi, per riprendersi ciò che più desidera, il suo sogno, la sua complicata e pur sempre sconosciuta vita che è e sarà con l’amata Maya.”
Lié Larousse

 

Tratto da Una volta l’estate:

EDOARDO

Arrivo in camerata strusciando gli anfibi. Un muro di grugniti e rantoli notturni mi investe. Salicetti è quello che russa più di tutti in camerata. Sembra un maiale intrappolato in un gabinetto. Che strano paragone, penso buttandomi con tutti gli anfibi e la mimetica sul materasso vivo e poggiando la testa sul cubo. Il cigolio rugginoso si propaga per tutta la camerata, ma il sonno pesante dei militari in missione si può paragonare a quello dei neonati in braccio alla mamma. Che starno paragone, penso. E le lacrime fanno avanti marsc’.
Più i miei compagni di camerata russano ignari e più penso sia ingiusto. Ingiusto partire in missione con il solo obiettivo di farsi il televisore nuovo, la macchina nuova, la casa più grande.

Ilaria Palomba e Luigi Annibaldi
saranno presenti con il loro romanzo
“Una volta l’estate”
 edito da Meridiano Zero
questo pomeriggio alle 18
alla libreria Mondadori
in via Piave
Roma  
presenteranno l’opera
Paolo Restuccia e Loredana Germani

Venite a conoscerci, non mancate!

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Prima funzionalità del lavoro di recensione

Roma 14  febbraio 2013

Origine delle “Rime sparse”

L’opera in volgare di Francesco Petrarca, costituita soltanto da versi lirici, non da prose, può considerarsi la continuazione della lirica toscana fiorita alla fine del secolo XIII. Ma, nonostante la continuità della lingua e dei temi, quella della poesia riceve un’impronta decisamente nuova, che va collegata con l’esperienza assolutamente diversa di vita e di cultura che Egli consumò in ambiente italiano ed europeo.

Fra il ’38 e il ’40 avviò la composizione di opere ispirate all’antichità e la raccolta della produzione lirica volgare cui nel frattempo si era dedicato perché messo in contatto con la tradizione dei rimatori d’amore, nel cui ambito la sua preferenza si era decisamente diretta non al filone filosofeggiante, ma a quello che privilegiava la dolcezza del dire e la lode della donna. Aveva poi sviluppato questo genere di poesia durante il soggiorno in Provenza, dove fra l’altro il 6 aprile 1327 aveva conosciuto Laura sulla cui identità permangono ancora alcuni dubbi: è forse costei Laura de Noves De Sade?, indifferentemente dalla risposta Ella rimarrà l’esclusivo riferimento dei suoi versi d’amore. Nel ritiro di Valdichiusa nacque per la prima volta l’idea di raccogliere le rime sparse, composte negli anni sopra citati, secondo un criterio che si approfondirà negli anni e porterà il poeta ad ampliare la raccolta, correggere le rime, ridistribuirle, rimaneggiare la forma fino all’estrema della vita, dimostrando così innanzi tutto un interesse non secondario per questa attività di poeta volgare. Negli anni sarebbe scemata l’effettiva produzione, mentre si sarebbe intensificata e raffinata l’opera di raccolta, ordinamento pulitura. Il lavoro di recensione  e ordinamento delle rime apriva un’epoca nuova nella lirica italiana, perché veniva superata la frammentarietà tipica del componimento lirico in una prospettiva diversa, che faceva dei frammenti lirici, quali possono considerarsi le singole liriche , altrettanti momenti, intimamente collegati, di una meditazione morale, rivolta a scavare nell’anima e a chiarire i fondamenti e la condizione della propria esistenza di uomo, di amante, di poeta.

Il Petrarca, sebbene non rinuncerà mai a considerare delle rime la originaria frammentarietà o singolarità e le denominerà infatti “rime sparse” o “fragmenta” (frammenti) , onde è improprio il titolo di Canzoniere che gli venne attribuito, ebbe forte il senso della unità e organicità del suo lavoro di poeta volgare, che si ricollegava all’opera che nel frattempo andava conducendo sul piano della scrittura in lingua latina.

A domani

LL