365 giorni, Libroarbitrio

DIARIO INTERIORE di SARA TEODORI

Giorno 24/08/2018

Sara Teodori - Fotografia di Sara Teodori

Peter Pan, l’Ombra e la Malattia

Vi ricordate di Peter Pan, quel buffo ragazzino che viveva sull’isola che non c’è, combatteva pirati e aveva un seguito di bimbi sperduti a coprirgli le spalle?

Quel buffo ragazzino aveva anche un’altra caratteristica:
cercava disperatamente la sua ombra.

Ma cosa rappresentava davvero l’ombra per Peter Pan?
(Pan dal Dio Pan, dio della natura istintuale e selvaggia, ma questa è un’altra storia)
.
È una domanda che dovremmo porci, perché è una questione che ci riguarda direttamente.

Cos’è l’ombra e perché è così importante?

Carl Gustav Jung la definiva come la somma di tutte le realtà rifiutate, quelle che l’uomo non vede o non vuol vedere e che rimangono quindi inconsce. Ma dov’è il pericolo in questo non vedere?
Il pericolo è che non riconoscendo l’ombra, quindi il negativo, l’inferiore, il “male” in noi, lo proiettiamo all’esterno, sugli altri, vincolando noi stessi in uno status di luce perfetta e il resto del mondo in tutto ciò che non ci piace, con il risultato di creare divisione e dualità.

Secondo questo principio
ciò che ci infastidisce del fuori
è ciò che ci infastidisce del dentro.

Attribuiamo all’ombra tutto quello che non ci piace del mondo senza capire che l’ombra è tutto ciò di cui ha bisogno il nostro mondo interiore per sanarsi.
Ed è qui che arriviamo al rapporto dell’ombra con la malattia.

Cos’è la malattia?
La malattia è un alleato. La malattia è il Lucifero che porta la luce nell’ombra.
La malattia ha questo scopo: farci integrare la nostra ombra, riportarci ad un sano stadio di unità, uscendo dalla dualità.

Ed ecco che i sintomi non sono altro che sveglie, sono il grillo parlante che vuole farci arrivare dritti a scuola, sono amici che a volte sussurrano e a volte gridano nelle orecchie che è tempo di guardare dentro, di accettare quell’ombra dentro di noi e di smetterla di vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro.

Ma quanto è più semplice guardare quella pagliuzza nell’altro? Giudicarla, deriderla e gongolarsi della propria perfezione? È più semplice sì, ma se pensiamo a quanta attenzione e quanta energia spendiamo nello spingere quest’ombra al di fuori, nel combatterla, nel fargli una guerra!
Non sarebbe molto più semplice aprirle le porte e lasciarla entrare?
Lasciare che diventi cosciente e non abbia più bisogno di farci ammalare per farci capire chi siamo?
La malattia ci rende onesti, materializza attraverso i sintomi quelle parti che a tutti i costi neghiamo. E se continuiamo a negare alzerà il tiro, sempre di più. Vale lo stesso per gli incidenti e le situazioni in cui ci ritroviamo nostro malgrado. Quando ci ritroviamo a dire, ma perché proprio a me? Perché mi è accaduta questa cosa? Perché ho incontrato questa persona? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? E’ proprio in questi casi che dovete gioire e ringraziare! Avete la possibilità di osservare tutto ciò che vi manca, avete la possibilità di evolvere!

 E la risposta giusta è :
“E’ successo a me perché doveva succedere proprio a me!”

Tornando a Peter Pan. Se vi ricordate lui cercava la sua ombra, voleva a tutti i costi rincollarla a sé per poter finalmente tornare a volare. E forse è proprio quello che dovremmo fare tutti, perché siamo tutti malati, anche chi non crede di esserlo, poiché siamo duali e siamo tutti incompleti.

E allora su,
prendiamo un po’ di ago e filo e rincolliamoci l’ombra! Farà male all’inizio, ma ne varrà la pena.

 

Testo e fotografie,
dal DIARIO INTERIORE
di Sara Teodori

 

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DIARIO INTERIORE di SARA TEODORI

Giorno 24/4/2018


In questo momento sto lavorando sulle parti di me.
Quello che sono arrivata a capire fino ad oggi è che l’essere umano ha un SE’ superiore ed infiniti piccoli IO, che cercano di prendere il dominio, non appena ne hanno l’occasione.
Prima cosa decido di lavorare sull’osservazione di queste parti, e sulla messa a fuoco delle loro caratteristiche.
Ho quindi iniziato un lavoro fotografico-terapeutico utilizzando come soggetto le bambole.

 

Attacco su ogni bambola delle targhette che rappresentano parti di me, facendo un grande lavoro di introspezione.

 

Una volta fatto questo, mi lascio guidare dall’istinto, cerco il posto e la posa giusti, e le parti che rappresenta della bambola. Dopo di che la fotografo.

 

La guardo ancora un po’, le stacco le targhette e la fotografo ancora. Quando sento che è il momento, prendo la bambola, la stringo forte a me e poi la metto via.

 

Ieri ho fotografato la bambola ballerina con attaccato su le parole: BAMBINA, PERFETTA, INSICURA.
E ne ho tratto una grande consapevolezza.
Quando ero bambina praticavo la danza classica e ricordo che durante un saggio accadde qualcosa di apparentemente banale ma molto importante per la formazione di una o più parti di me: un paio di bambine sbagliarono un passaggio della coreografia, rischiando di mandare all’aria tutto lo spettacolo. Io recuperai il loro errore e feci in modo che lo spettacolo andasse avanti senza intoppi (avevamo 6 anni circa!). In camerino ricevetti tantissimi complimenti, al contrario delle bambine che avevano sbagliato e che se ne stavano in un angolo, bistrattate e con le loro mamme che mi guardavano neanche fossi il diavolo. Cosa appresi da quella situazione? Che devi sempre essere perfetta, che non puoi sbagliare, perché se sbagli sei relegata in un angolo e tua madre sarà invidiosa della figlia di qualcun altro.
Contemporaneamente imparai che se sei perfetta sei invidiata e non è una bella sensazione essere invidiati. Così nacque una parte di me con manie di perfezionismo e una parte di me con un’insicurezza profonda e ben radicata. Forse il mio primo incontro con l’ansia nacque proprio lì. Come si può essere insicure e perfette allo stesso tempo? Non si può, si diventa duali.

 

Per tutta la vita ho sempre voluto essere due cose.

 

Ho sempre voluto stare a casa e uscire. Ho sempre voluto stare in compagnia degli amici e stare da sola. Ho sempre voluto la coperta di cashmere e la grande avventura. Forse è per questo che non riesco a trovare la mia vera strada, perché ne voglio sempre una di troppo, in completo contrasto. Forse devo solo scegliere. Ma come scegliere qualcosa di giusto per te se non sai cosa è te? Se sei scisso in migliaia di piccoli te che chiedono di salire al timone, uno dopo l’altro? Bisogna soddisfarli tutti? Prima o poi finiranno? Oppure se ne creeranno sempre di nuovi? Probabile. E allora che fare? Torniamo al punto di capire chi siamo, oltre le dualità, oltre le parti di noi, oltre i meccanismi, oltre i traumi, oltre le mancanze. Cominciamo a togliere qualche strato allora. Cominciamo ad osservarle queste parti, a dare loro un nome, a conoscere i loro gusti, cosa preferiscono e quando hanno bisogno di andare in scena. Credo che dopo un attento e coscienzioso lavoro, saremmo in grado pian piano non solo di riconoscerle immediatamente queste parti ma anche di decidere se possono salire sul palco oppure no. Mi mette infinita tristezza pensare che quando ci facciamo dominare dalle parti di noi diventiamo automi che rispondono a meccanismi e ordini continui. E per questo mi chiedo, non sono anche le relazioni tra esseri umani in realtà stupide relazioni tra automi? Se ciò che mi lega ad un’altra persona è probabilmente un’infinità di combinazioni di parti, specchi e meccanismi che combaciano o si respingono, come può esistere una relazione basata sull’incontro dei veri sé? Soprattutto se nemmeno noi abbiamo una vera relazione con il nostro vero sé. Forse i più fortunati hanno ottenuto una colazione o un brunch con il loro SE’ superiore, ma per il resto della ciurma sono solo attimi, e anche sporadici.
Spesso mi accorgo solo dopo ore e ore che il mio collo è completamente contratto, che la mia pancia è tirata indentro come se fossi un obeso al mare, che ho mangiato un pezzo di pizza buonissimo e che me lo sono perso.

 

La cosa più importante per l’essere umano è cercare di riconnettersi sempre di più al proprio vero SE’, esserci, esserci davvero e non farsi dominare e guidare da qualcos’altro!

 

Siamo addormentati, ipnotizzati, narcotizzati per quasi tutto il tempo. Riceviamo punture di sedativo da ogni parte di noi, costantemente.
Come schizofrenici inconsapevoli ci lasciamo dominare senza nemmeno rendercene conto.
È il momento di riprendere il timone, spiegare le vele e partire per un grande viaggio, l’unico viaggio che ha davvero importanza. Il viaggio verso la scoperta di noi.

Testo e fotografie,
dal DIARIO INTERIORE
di Sara Teodori