Se vuoi riempire la tua brocca, vieni, vieni al mio lago.
L’acqua bagnerà i tuoi piedi e ti mormorerà
il tuo segreto.
La traccia della pioggia vicina è già sulla sabbia,
le nuvole sono basse sulla linea azzurra
degli alberi come i folti capelli sopra i tuoi occhi.
Conosco bene il ritmo dei tuoi passi:
batte nel mio cuore.
Vieni, vieni al mio lago, se devi riempire la tua brocca
Tag: premio Nobel
“Il dio vicino” Rabindranath Tagore
Non finirò mai di cercarTi
sino al mattino in cui rinascerò.
Entrerò in una nuova vita,
una nuova visione apparirà al mio sguardo,
nuovo diventerò a quella nuova luce,
mi legherò a Te in una nuova unione.
Non finirò mai di cercarTi.
Tu non hai confini, non hai confini
perciò il tuo gioco è sempre nuovo.
E io non so con quale veste
sorridente, o Signore, aspetterai sulla strada;
venendo vicino prendi questa mia mano,
e vibrerà nell’aria un nuovo fremito di vita.
Non finirò mai di cercarTi.
Sempre con nuova visione entrami nel cuore.
Vieni con la dolcezza di un profumo, vieni nel canto,
vieni con una carezza inebriante nella membra,
vieni esternamente gioioso nello spirito,
vieni negli occhi lacrimanti di stupore.
Sempre con una nuova visione entrami nel cuore.
Vieni puro, splendente, amoroso,
vieni bello, gioioso, sereno,
vieni in tante diverse forme.
Vieni nel petto nella gioia e nel dolore,
sempre. Tu sia in ogni azione,
al termine di ogni opera tu sia.
Sempre con una nuova visione entrami nel cuore.
Bergson “Il tempo della vita è la durata del presente”
Roma 1 dicembre 2013
La nozione di tempo usata dalla scienza è utilizzabile dalla coscienza?
La risposta ce la dona Henri Bergson, filosofo di grande successo nei primi anni del Novecento ed insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1927, egli individua nella concreta esperienza del presente la fondamentale dimensione mentale del tempo.
Per l’individuo, dal punto di vista psicologico, il tempo consiste nella durata del presente, una nozione ben differente e incompatibile con un approccio scientifico.
La durata, infatti, è per sua natura ben definibile, sconfina nell’immediato passato (le sensazioni appena percepite, i ricordi recenti) e nell’immediato futuro (l’azione, il progetto comportamentale).
La scienza, considerando solo l’aspetto quantitativo, suppone un tempo scandito da un ordine geometrico e spaziale, fatto di momenti distinti ma tutti uguali fra loro.
L’individuo invece vive il tempo secondo un criterio qualitativo: certi momenti sono, per la coscienza che li vive, fulminei; altri possono durare un’eternità.
Dedico questo post a mio Fratello, e a tutti coloro che come me vivono nel passato.
A domani
Lié Larousse
Hermann Hesse “Al mio amore”
Roma 26 novembre 2013
Appoggia alla mia spalla
il tuo capo pesante, e taci
e gusta di ogni lacrima
l’agrodolce, inerme fondo.
Verranno giorni,
in cui tu di sete morirai
e angosciato di queste lacrime
invano nostalgia avrai.
Posa sui miei capelli
la mano; pesante è il mio capo,
la mia giovinezza,
mi hai rubato.
E’ perduto per sempre
lo splendore della giovinezza, la fonte di gioia,
che mi sembrò così inesauribilmente ricca,
solo collera e dolore rimasero
e notti e notti senza fine,
in cui il cerchio delle antiche passioni
crudele febbrile ferito attraversava
i miei sogni a occhi aperti.
Solo in rare ore di pace
talvolta si avvicina la giovinezza
a me, timido e pallido ospite,
e geme e sul cuore mi preme…
Posa sui miei capelli
la mano; pesante è il mio capo,
la mia giovinezza,
mi hai rubato.
Hermann Hesse nel 1946 viene insignito del premio Nobel per la letteratura.
L’interesse per il misticismo orientale e le componenti irrazionalistiche del pensiero, il rapporto dialettico tra sensualità e spiritualità, ragione e sentimento, sono gli elementi più significativi della sua opera letteraria, che, anche dopo tanti anni, continua a riscuotere un grande successo di pubblico.
Hesse muore a Lugano nel 1962
A domani
Lié Larousse
Gabriel Garcia Marquez : il romanzo fantastico
Roma 12 novembre 2013
Nato ad Aracataca, in Columbia, nel 1928, Gabriel a dodici anni si trasferì a Bogotà per studiare presso i Gesuiti.
Abbandonati più tardi gli studi universitari di giurisprudenza, lavorò come cronista in un giornale, pubblicando anche i primi racconti.
Inviato dal giornale come corrispondente in Europa, soggiornò prima a Roma e poi a Parigi.
Nel 1955 pubblicò il primo romanzo, Foglie morte.
Tornato in America Latina, dopo un breve soggiorno in Colombia, accettò di lavorare per l’agenzia giornalistica cubana “Prensa Latina”, all’Avana, dopo la rivoluzione guidata da Fidel Castro.
A partire dal 1961 Marquez si è dedicato definitivamente alla letteratura e ha mostrato subito la sua vena di narratore fantastico, secondo una tradizione molto radicata nell’America Latina, alternando la pubblicazione di racconti e romanzi.
Tra questi ricordiamo Nessuno scrive al colonnello (1961).
Del 1967 è il romanzo che gli ha dato successo in america e in Europa, Cent’anni di solitudine, la leggendaria ed epica storia della famiglia Buendia e del mitico paese di Macondo.
I successivi romanzi hanno avuto un largo seguito di critica e pubblico, tanto da procurargli nel 1982 il premio Nobel per la letteratura.
A domani
Lié Larousse
John Steinbeck “Furore” una famiglia americana nella Grande depressione
Roma 7 novembre 2013
Nato a Salinas, in California nel 1902, John Steinbeck si interessò fin da giovane ai gravi problemi sociali del tempo, conseguenti alla crisi economica del 1929.
Così, si unì a un gruppo di braccianti che emigravano verso occidente, conoscendo più da vicino la realtà dei lavoratori del suo paese.
Frutto di questa esperienza furono i due grandi romanzi sociali La battaglia (1936) e Furore (1939), che gli diedero grande fama di scrittore ma gli procurarono le critiche degli ambienti più conservatori della società americana.
Meno politicizzati ma comunque legati alla rappresentazione del mondo dei “vinti”, dei diseredati, alla loro voglia di vivere e alla loro tragica incoscienza, sono i romanzi Pian della Tortilla, Uomini e topi, Vicolo Cannery, scritti tra il 1935 e il 1945.
Durante la guerra, Steinbeck fu corrispondente per alcuni giornali.
In questo periodo scrisse La luna è tramontata, ispirato a quel conflitto.
Da La valle dell’Eden, pubblicato nel 1952, venne tratto un celebre film.
Nel 1962 vinse il premio Nobel per la letteratura.
Grande narratore, acuto osservatore della realtà, sensibile come pochi altri ai temi della giustizia sociale e della libertà, Steinbeck fu uno dei capostipiti della generazione degli scrittori americani del realismo sociale, quella che meglio degli altri seppe raccontare l’America degli anni trenta e quaranta, nelle sue profonde contraddizioni.
Morì a New York nel 1968.
“ Furore
Stati Uniti: nella metà degli anni trenta la gravissima crisi economica, nota con il nome di Grande depressione, ha costretto alla disoccupazione decine di migliaia di famiglie contadine. Tra queste la famiglia Joad, i cui membri si spingono su un camion in un avventuroso viaggio verso la California, alla ricerca di un lavoro come braccianti.
Con loro, migliaia di camion percorrono la lunga strada, ma il lavoro non si trova mai. Quando c’è, nella tanto sognata California, si svolge nella più totale condizione di sfruttamento, con la complicità delle autorità e della polizia, pronte a dare una mano ai padroni dei campi contro ogni protesta. Nell’odissea del viaggio della famiglia Joad muoiono i due nonni; il predicatore Casy, amico di famiglia, è ingiustamente arrestato e Tom, il figlio maggiore, è costretto a nascondersi per aver ucciso un uomo durante un’aggressione subita. Dopo aver sostato in vari campi e aver patito umiliazioni e sofferenze di ogni tipo, i Joad si fermano in un campeggio per lavorare alla raccolta del cotone. Ma anche in questo caso va male e mentre il vicino torrente allaga il carro bestiame dove abita la famiglia, Rosa Tea, la figlia incinta, partorisce un bambino morto. Per sottrarsi all’inondazione, i Joad abbandonano il campeggio a piedi, in un ultimo disperato tentativo di sopravvivenza, ancora pronti a lottare e a compiere gesti di solidarietà verso i poveri come loro.”
A domani
Lié Larousse
Thomas Mann e il romanzo realista del Novecento
Roma 5 novembre 2013
Nato a Lubecca, in Germania, nel 1875, da una ricca e aristocratica famiglia di commercianti, a 16 anni, dopo la morte del padre, Thomas Mann si trasferì a Monaco, dove iniziò gli studi universitari e incominciò a collaborare con alcune riviste di critica letteraria.
Nel 1898 pubblicò la sua prima raccolta di racconti e nel 1901 uscì il romanzo I Buddenbrook, che lo impose all’attenzione del pubblico europeo.
Nel 1909 pubblicò il lungo racconto autobiografico Tonio Kroger e nel 1912 La morte a Venezia, incentrato sul tema del rapporto tra l’arte e la vita.
Allo scoppio della guerra nel 1914, fu acceso nazionalista e interventista, ma pochi anni dopo, al termine del conflitto, nel 1922, si schierò in difesa della Repubblica di Weimar, dalla parte della democrazia, contro le forze reazionarie nascenti in Germania.
La sua attività di scrittore continuò nel 1924 con La montagna incantata, grande romanzo simbolico sulla crisi dei valori ideali in Europa.
Nel 1929 vinse il premio Nobel per la letteratura, soprattutto grazie al successo de I Buddenbrook.
Con l’ascesa al potere di Hitler, nel 1933, convinto democratico, Mann decise di lasciare la Germania.
Privato della cittadinanza tedesca, visse in Svizzera fino al 1938, anno in cui si trasferì negli Stati Uniti, dove continuò l’attività di scrittore e, durante la seconda guerra mondiale, svolse una costante propaganda antihitleriana.
A questi avvenimenti si riferisce il romanzo Doktor Faustus del 1947.
Scrittore molto complesso, Mann fu ispirato nella sua produzione dal pensiero di grandi intellettuali e artisti della sua epoca e dall’opera di Goethe.
I suoi scritti, di forte impronta realistica nei primi romanzi, in età matura si fecero più allegorici e simbolici , nella rappresentazione della crisi dei valori della società, del rapporto fra intellettuali e realtà, e del decadimento spirituale e morale dell’Europa.
Nel 1952 Mann andò a vivere a Zurigo dove morì nel 1955.
A domani
Lié Larousse
Nadine Gordimer : il racconto realista contemporaneo
Roma 31 ottobre 2013
Nadine Gordimer è nata a Springs, nel Transvaal, Africa, nel 1923 da genitori ebrei, russo il padre e inglese la madre.
Ha studiato all’università di Johannesburg, in sud Africa, assistendo al dramma dell’apartheid, della segregazione sociale, della persecuzione politica, dell’oppressione della popolazione di colore da parte della minoranza bianca.
Ha cominciato a scrivere nel 1949 mettendo al centro della propria opera i problemi razziali, le differenze etniche e culturali che si interpongono nei rapporti fra le persone, l’opposizione all’ingiustizia sociale.
La Gordimer rappresenta la realtà quotidiana e ritrae i personaggi nella loro dimensione privata: è proprio lì infatti che si manifesta la violenza esercitata dal potere sui più deboli e contro gli oppositori.
L’autrice, i cui libri sono stati a lungo messi al bando in Sud Africa, ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1991.
Una delle sue opere principali è Qualcosa là fuori, racconto che si inserisce nella nuova tradizione realista contemporanea, prefiggendosi il compito di denunciare una terribile situazione sociale rappresentando le condizioni di vita in un paese autoritario e razzista.
Tuttavia, l’autrice non si limita a “fotografare” quella realtà, a tradurla fedelmente sulla pagina.
La realtà, infatti, non è solo quella esterna, oggettiva, ma anche quella soggettiva dei fatti interiori, dei patimenti subiti, dei drammi della coscienza, dei tormenti morali.
Anche questi eventi fanno parte della situazione storica, anzi ne sono il nucleo principale.
Per sottolineare tale realtà, la Gordimer utilizza un doppio canale di scrittura, differenziato anche dall’uso del corsivo: da un lato il racconto oggettivo in terza persona, il punto di vista in terza persona, dall’altro il racconto soggettivo in prima persona, il punto di vista interno del personaggio in cui l’autrice “entra” ed “esce” di volta in volta partecipando e prendendone le distanze.
“Si contano i giorni solo quando si aspetta un bambino, o si è in prigione. Io l’ho avuta, la mia bambina, ma conto i giorni dall’arrivo di quell’uomo in questa casa.
La strada si tuffa giù tra due file di case come il letto abbandonato in un fiume che ha cambiato corso. La padrona dello shebeen, che abita di fronte, ha una macchina che arriva sbandando e sobbalzando fino all’elaborato cancello di ferro battuto della casa. Tutti gli altri, compresi i clienti dello shebeen , camminano sui sassi, la sabbia i canali di scolo, tornando dalla stazione degli autobus. La città è troppo lontana, per andare a lavoro in bicicletta.”
(shebeen: locale in cui si vendono bevande alcoliche abusivamente)
A domani
Lié Larousse
Salvatore Quasimodo e il linguaggio dalle molteplici suggestioni analogiche
Roma 20 settembre 2013
Quasimodo nasce a Modica, in provincia di Ragusa, nel 1901.
Compie studi tecnici a Messina e Palermo, si iscrive alla facoltà di ingegneria al Politecnico di Roma, ma deve interrompere gli studi, per difficoltà economiche.
Lavora presso il Genio Civile a Reggio Calabria, Imperia, Cagliari e Milano.
Nel 1930 esce il primo volume di poesie, Acque e terre, mentre Oboe sommerso appare nel 1932.
Il trasferimento in Lombardia lo mette in contatto con l’ambiente culturale milanese e, dopo la pubblicazione della raccolta Erato e Apollion, si dedica completamente alla poesia, lascia l’impiego al Genio Civile e lavora come giornalista.
Nel 1940 pubblica la traduzione dei Lirici greci, che, con la notorietà , gli procura la nomina a professore di letteratura italiana al conservatorio G. Verdi di Milano.
Nel 1942 esce la sua raccolta più importante, Ed è subito sera, seguita negli anni successivi da Giorno dopo giorno , La vita non è sogno, Il falso e il vero verde, La terra impareggiabile, Dare e avere.
Nel 1959 vince il premio Nobel.
Figura emblematica della poesia del Novecento per la tensione ideologica e il linguaggio dalle molteplici suggestioni analogiche, Quasimodo è considerato l’iniziatore dell’Ermetismo.
Muore a Napoli nel 1968.
A domani
LL
Grazia Deledda “autodidatta” premio Nobel della letteratura
Castiglione della Pescaia 15 agosto 2013
Grazia Deledda nacque a Nuoro nel 1871.
Fu lei stessa a provvedere alla sua formazione culturale studiando la Bibbia e i grandi romanzi europei dell’Ottocento.
Cominciò la carriera di scrittrice pubblicando racconti su periodici femminili.
A ventiquattro anni uscì il suo primo romanzo , nel quale già emergono gli aspetti fondamentali della sua narrativa: l’impegno morale, l’approfondimento psicologico dei caratteri, il peso della fatalità nelle vicende umane.
Il paesaggio della sua terra natale, la Sardegna, costituì lo sfondo di tutti i suoi racconti, fornendole atmosfere e sensazioni.
La Deledda diede alle sue narrazioni uno sfondo regionale definito, sulla strada che era stata segnata dal Verga.
Ma mentre quest’ultimo aveva scelto la fedele aderenza alla realtà storica come principio fondamentale della sua letteratura, la Deledda accolse nella sua opera anche quel patrimonio di miti e di leggende che costituivano la tradizione orale della sua regione.
Storie tramandate di generazione in generazione, personaggi entrati a far parte della leggenda, figure più mitiche che reali: sono questi gli elementi di una cultura contadina di cui l’autrice fu custode attenta.
Anche il suo stile è segnato da una scelta di tal genere: nel suo linguaggio è avvertibile la presenza della lingua sarda, che di quella cultura era il naturale veicolo d’espressione.
Grazia Deledda ottenne il premio Nobel per la letteratura nel 1926 e morì a Roma nel 1936.
A domani
LL
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