365 giorni, Libroarbitrio

Carmen Yáñez: poesie “per sistemare i conti con l’orrore con tutta la tenerezza della quale sono capace” per Fiori di pesco e pagine scritte di Martina Benigni

Qualche giorno fa sono riuscita finalmente a fare una passeggiata al mare: nulla di che, un caffè alla salsedine e l’azzurro a riempirmi gli occhi ed il cuore ingrigiti dall’asfalto. Il mare, come sempre, riesce a suscitare in me sensazioni e pensieri profondi, lampi di chiarezza assoluta, scene che passano veloci nella mente e le onde a fare da colonna sonora ad un film che non rivedrò più. Certi pensieri che nascono di fronte al mare sono leggeri come granelli di sabbia, e come questi fuggono via, trasportati dal vento, impercettibili, mentre con le mani proviamo, illusi, a trattenerli. Sono piccole epifanie, piccole illuminazioni che riescono a levigarci col tempo, come scogliere irlandesi, ma ce ne rendiamo davvero conto solo col passare dei giorni, o degli anni se serve. Nel frattempo, tutti questi granelli, trovano casa nel mondo e sul fondo del mare che, paziente, ce li restituisce dopo averli accuditi con dolcezza. 

Il mio “pensiero-granello” si era perso fra le pieghe frenetiche della settimana, solo adesso lo vedo poggiarsi dolcemente sulla scrivania, vicino alla penna e al romanzo di Luis Sepúlveda. Lo sfioro appena con la punta dell’indice, per paura che spaventato possa scapparsene di nuovo: non oppone resistenza, si lascia carezzare e così, ormai sicura, lo avvicino al mio orecchio per decifrarne la lingua. Ma certo! Carmen Yáñez!

Un filo rosso d’amore infinito collega l’articolo precedente a quello di oggi, nel quale non posso non parlare della poetessa e attivista Carmen Yáñez (1952), moglie di Luis Sepúlveda. La giovane Carmen, figlia di operai, finisce nel 1975 nelle luride mani della polizia politica di Pinochet, ingrandendo le fila desaparecidos. Riuscita a sfuggire all’inferno di Villa Grimaldi, è costretta a vivere in clandestinità abbandonando l’amato Cile, proprio come Lucho il quale, già esule, si era sposato nuovamente in Germania.  La loro storia, come dice in un’intervista la stessa poetessa, è stata costellata da tanti re-incontri, fino ad arrivare a quello finale che sancirà la loro rinnovata unione con la decisione di risposarsi e di vivere insieme nella resistenza e nel rifiuto di qualsiasi forma di rabbia o di odio, veleni potenti i cui segni si sono impressi sulla loro pelle.

Le prime poesie della Yáñez vengono pubblicate in Svezia, dove vive grazie alla protezione dell’ONU negli anni ’80, prima di trasferirsi nelle Asturie. Come afferma lei stessa “Niente di ciò che scrivo è senza il motore dei miei sentimenti” e dunque nei suoi versi troviamo la sua vita e tutto ciò che la riguarda: i paesaggi, le malinconie, i dolori, la condizione di migrante, la memoria, le battaglie civili, l’urgenza del verso e dell’essere ma anche quella fonte vivifica che è l’amore.

Il suo poetare crea atmosfere fiabesche imbevute di quotidiano, le immagini sono profonde e leggere al tempo stesso come leggiamo in questi potenti versi: “Ciascuno/ porta il proprio tempo/ tra le ciglia,/ un dolore accumulato/ tra le cornici dell’esistenza.”

I versi della poetessa cilena sono “impegnati” politicamente e umanamente, due parole che ai giorni nostri sembrano farsi la guerra ma che dovremmo, invece, cominciare ad usare insieme, armoniosamente, senza escludersi a vicenda. Tra i suoi versi, quelli d’amore si nutrono di immagini semplici, vere, di “silenzi” e di “parole che riempiono”, “del mondo” perché è in esso che dimora l’altro. Nella poesia “Amare”, leggiamo: “Amare la sera condivisa/ la pioggia sul tetto/ quando il cielo cade a pezzi/ di tristezza.”

Le parole sono scelte con cura e pesate con precisione, con esattezza, non cadono mai a caso sul foglio ma trovano il loro posto in una trama fitta di metafore e immagini che alludono contemporaneamente ad una dimensione più profonda, non sempre deducibile, ma che sono ostentatamente attaccate alla vita di tutti i giorni ed è per questo che possiamo riconoscerci in ogni verso, perché i temi, comunque, restano sempre universali anche se calati in contesti o riferimenti specifici.

Tra le tematiche che per forza di cose tornano più spesso nelle raccolte della Yáñez c’è quella del dramma della migrazione, dell’essere migrante con la speranza sempiterna di poter un giorno tornare a casa, di riconoscersi ancora, di ritrovare le strade note di un tempo, come nella poesia “Civico”: Cerco quella stessa strada/ quel civico. /L’insegna spenta, /la porta chiusa e dentro/ la polvere copre la mia perplessità. /Le ragnatele ordiscono il nostro sogno infranto/su un piano disprezzato.” La poetessa sente fin dentro alle ossa il dolore delle donne, degli uomini e dei bambini che ogni giorno rischiano la propria vita in barca o su strade tormentate per trovare un angolo di pace, per rivendicare il proprio diritto di esistere e realizzarsi, ed è con la scrittura che riesce a dargli voce, ma anche ad opporsi in modo sano alla violenza insensata dei nostri tempi.

L’ultimissima raccolta della poetessa cilena, “Senza ritorno”, riprende i temi di sempre, come la “cocciuta nostalgia” ma ad essi si aggiunge dolorosa e meravigliosa al tempo stesso, l’ultima poesia scritta per Lucho mentre era in vita. La voce della Yáñez è una voce universale, che sa raccontare e raccontarsi con una forza tale che quasi ferisce il lettore che alla fine, però, non può non sentirsi trasformato dopo un viaggio così profondo che lo porta, in definitiva, a coltivare la certezza luminosa che l’estate arriva sempre e che un mondo migliore è possibile.

Vi lascio con una sua poesia tratta dalla raccolta “La latitudine dei sogni”:

Ci sei;

i gerani, le azalee,

la raccolta dei frutti

dell’estate del tuo amore

mi dicono dolcemente il tuo nome.

Ci sei;

i tuoi passi,

la scala che scricchiola deliziosa,

il tuo silenzio rumoroso

lassù in soffitta.

I fantasmi che ti spiano

le parole che incontrano le tue parole,

il tuo desiderio,

storie che entrano nella tua luce.

La tua rabbia,

una tempesta che scema con la sera calma.

Così scrivi per i giusti, degli stolti;

così la tua voce corre sui cornicioni.

mi sei, mi esisti

ed è ora che devo

proteggerti lo sguardo.

È il tempo plurale

nostro,

il pretesto per parlare ancora d’amore.

È la sera sulla pelle

dorata di sole e anni.

È dolcezza che scorre ancora e non so

fino a quando nelle vene

di questo nostro piccolo mondo.

Articolo di Martina Benigni

365 giorni, Libroarbitrio

MUOIA LO STRONZO – Gianluca Pavia

Lié Larousse - Gianluca Pavia - photo cover libri

Muoia lo stronzo che ha detto
chi s’accontenta gode,
chi si suicida ogni giorno
con una pistola caricata
a salve come va?
chi s’impicca al disegno superiore
o ingoia l’arsenico quotidiano
di carta stampata
su anima riciclata.
Non c’è moneta per pagarti
o appagarti,
resta insoddisfatto, affamato
di gioie, guai
e donne lascive con baci di liscivia.
La libertà è un sacrificio cronico
e una ricompensa quotidiana
quando l’alba ti coglie
ancora sveglio
tra i vicoli del centro
di nessun posto
o forse
di te stesso.

 poesia dal libro SPIETATE SPERANZE
edito per Miraggi Edizioni
DuediRipicca Libroarbitrio  Lié Larousse
#2dRARTGALLERY  #2dR #poesia

 

365 giorni, Libroarbitrio

“UN COLPO DI DADI MAI ABOLIRA’ IL CASO” Stéphane Mallarmé

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MAI

QUAND’ANCHE LANCIATO
IN CIRCOSTANZE ETERNE
DAL FONDO DI UN NAUFRAGIO
SIA
che
l’Abisso
sbiancato
fermo
furioso
sotto un’inclinazione
plani disperatamente
d’ala
la sua
in
anticipo ricaduta da un male a spiccare il volo
e coprendo i getti
tagliando a filo i balzi
molto all’interno riassuma
l’ombra sepolta in profondo da questa vela alternativa
fino ad adattare
all’inferitura
la sua spalancata profondità come lo scafo
di una nave
che inclina sull’uno o l’altro lato

si prepara
s’agita e mescola
nel pugno che lo stringerebbe
un destino ed i venti
essere un altro
Spirito
per gettarlo nella tempesta
ripiegarne la divisione e passar fiero
divaricato dal segreto che detiene
invade il capo
cola nel cavo sommesso
diretto dell’uomo
senza nave
ovunque
vana
ancestralmente da non aprir la mano
contratta
oltre l’inutile testa
lascito nella scomparsa
a qualcuno
ambiguo
l’ulteriore demone immemoriale
avendo
da inesistenti contrade
indotto
il vegliardo a questa congiunzione suprema con la probabilità
questi
l’ombra puerile
carezzata e polita e arresa e lavata
ammorbidita dall’onda e sottratta
a dure ossa perdute tra le assi
nato
da un gioco
il mare con l’avo contro il mare
una sorte oziosa
di cui
il velo d’illusione ricaduto loro assillo
come il fantasma di un gesto
vacillerà
si calerà
follia

ABOLIRA’

COME SE

Un’insinuazione
al silenzio
in qualche vicino
volteggia
semplice
avvolta con ironia
o
il mistero
precipitato
urlato
vortice d’ilarità e d’orrore
dov’è l’abisso
senza cospargerlo
né fuggire
e ne culla l’intatto indizio
COME SE
sperduta piuma solitaria
salvo
che l’incontri o la sfiori a mezzanotte
e immobilizzi
nel velluto sgualcito da una cupa risata
questo biancore rigido
derisorio
in opposizione al cielo
troppo
per non segnare
esiguamente
chiunque
principe amaro dello scoglio
il capo se ne adorni come dell’eroico
irresistibile ma contenuto
dalla sua piccola ragione virile
come folgore
in pena
espiatorio e pubere
muto

La limpida e signorile aigrette
sulla fronte invisibile
scintilla poi fa ombra
una graziosa statura tenebrosa
in torsione di sirena
con impazienti estreme squame
riso
che
SE
di vertigine
eretta
il tempo
di schiaffeggiare
diramate
una roccia
falso maniero
subito
evaporato in nebbie
che impose
un limite all’infinito
ERA
nato stellare
SAREBBE
peggio
non
di più né di meno
indifferentemente ma altrettanto
IL NUMERO
SE ESISTESSE
altro che allucinazione sparsa agonia
SE COMINCIASSE E CESSASSE
non sgorgando che negato e chiuso quando apparso
infine
da qualche profusione diffusa in rarità
SI CIFRASSE
evidenza della somma per poco che una
SE ILLUMINASSE

IL CASO 

Cade
la piuma
ritmica sospensione del sinistro
seppellirsi
nelle schiume originarie
da cui sussultò poco fa il suo delirio fino a una cima
appassita
dalla neutralità autentica del baratro
NULLA
della memorabile crisi
o si fosse
l’evento
compiuto in visita di ogni esito nullo
umano
AVRA’ AVUTO LUOGO
un’elevazione ordinaria verso l’assenza
SE NON IL LUOGO
inferiore sciabordio come per disperdere l’atto vuoto
bruscamente che se no
con la sua menzogna
avesse fondato
la rovina
in quei paraggi
dal vuoto
in cui dissolve ogni realtà
FUORCHE’
all’altitudine
FORSE
così lontano che un luogo
fonde con al di là
fuori dell’interesse
quanto a lui segnalato
in generale
secondo tale obliquità tale pendenza
di fuochi
verso
dev’essere
il Settentrione anche Nord
UNA COSTELLAZIONE
fredda d’oblio e desuetudine
non tanto
che non enumeri
su qualche superficie vacante e superiore
il successivo urto
sideralmente
d’un conto totale in formazione
vegliando
dubitando
rotolando
brillando e meditando
prima di fermarsi
a qualche punto ultimo che lo consacri

Ogni pensiero emette un Colpo di Dadi

365 giorni, Libroarbitrio

“URLO” Allen Ginsberg

Poesia
articolazione ritmica di un sentimento
il sentimento è impulso che nasce da dentro
come l’impulso sessuale
altrettanto chiaro come quello
è una sensazione che nasce nella bocca dello stomaco
e si arrampica per il petto
ed esce da bocca e orecchie
così:
URLOOO

 I saw the best minds of my generation destroyed by madness, starving hysterical naked, dragging themselves through the negro streets at dawn looking for an angry fix, Angel-headed hipsters burning for the ancient heavenly connection to the starry dynamo in the machinery of night…

Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi all’alba per strade di negri in cerca di una siringata rabbiosa di droga, hipster aureolati bramare l’antico contatto paradisiaco con la dinamo stellata nel macchinario della notte…

Allen Ginsberg

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Samuel Taylor Coleridge : il poema basato su un sogno

Roma 20 luglio 2013

Da La ballata del vecchio marinaio, Parte quarta

La luna vagabonda salì nel cielo,

mai si fermava,

lentamente saliva, saliva

e qualche  rara stella la seguiva.

Il suo raggio scherniva il mare afoso,

come sparsa brina d’aprile,

ma dove era l’ombra della nave

l’acqua per incantesimo bruciava

d’un rosso accesso.

(…)

Oltre l’ombra della nave

spiavano i serpenti marini;

si muovevano con scie di bianco splendente,

e quando si drizzavano, la magica luce

ricadeva in candidi fiocchi.

Nell’ombra della nave contemplavo

la loro ricca veste: era blu,

verde lucida, nera vellutata;

nuotando si torcevano e ogni scia

era un lampo di fuoco dorato.

(…)

O felici creature! Lingua umana

non può lodare la vostra bellezza…

“Coleridge ha cenato con noi; ha portato la sua ballata finita. Abbiamo  camminato con lui  fino alla casa  del minatore. Una sera bellissima, molto stella, la luna cornuta.”

Così il diario di Dorothy Wordsworth  celebra, il 23 marzo  1798, la composizione  della Ballata del vecchio marinaio.

“Nell’autunno del 1797, Coleridge, mia sorella ed io – racconterà Wordsworth molti anni dopo-  procedemmo lungo le colline  di Quantok verso Watchet; e nel corso di questa passeggiata venne progettato il poema dell’Antico marinaio, basato su un sogno come disse Mr. Coleridge, del suo amico Mr. Cruik-shank”

Samuel T. Coleridge, La ballata del vecchio marinaio,
introduzione di Ginevra Bompiani, Rizzoli 1998

A domani

LL

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José de Espronceda “A una stella”

Roma 16 luglio 2013

Tratto da  A una stella 

Chi sei tu stella misteriosa

timida e triste tra le mille stelle

che quando guardo il tuo fulgor dubbioso

turbato sento battere il mio cuore?

E’ forse la tua luce triste ricordo

di un antico perduto splendore,

quando ingannata come me credesti

eterna la fortuna che passò?

 Poeta, romanziere e drammaturgo spagnolo tra i maggiori interpreti del Romanticismo iberico, José de Espronceda nacque ad Almendralejo, nell’Estremadura, nel 1808.

Liberale progressista, fu processato e costretto a lasciare la Spagna.

Si rifugiò a Gibilterra, poi in Portogallo, a Londra e infine a Parigi.

Rientrò a Madrid solo nel 1834 e continuò con coraggio e convinzione a lottare come assertore di un estremo liberalismo.

Nel 1840 de Espronceda pubblicò Poesie liriche  e il racconto in versi Lo studente di Salamanca, singolare variazione sul tema tradizionale del don  Giovanni, che narra le macabre nozze dell’empio Felix de Montemar con lo scheletro dell’ultima donna da lui tradita.

Successivamente iniziò la pubblicazione del poema Il diavolo mondo, che rimase interrotto dalla morte avvenuta nel 1842.

Opera pienamente romantica, sconcertante  e affascinante nel suo fantastico caos di motivi, linguaggi e immagini, il poema si propone di raccontare, attraverso le peripezie  del protagonista Adan, la storia dell’intera umanità con le sue lotte, i suoi dolori, le delusioni, i dubbi.

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

L’illuminismo tragico del Foscolo

Roma 7 maggio 2013

Foscolo nasce un’epoca di passaggio, fine Settecento ove sarà sempre esule, e segnato dall’illusione di riscatto, albori dell’Ottocento,  nonostante la tragicità relegata dalla sua origine, alla vita e alle opere.

Nel mutare degli orizzonti politici di un’Europa attraversata dalla tempesta napoleonica e sottoposta poi alla Restaurazione, nel vortice degli eventi di cui fu partecipe, egli vide il suo amor di patria dapprima vittima del trattato di Campoformio, che concesse Venezia al dominio austriaco , in seguito irreparabilmente offeso dalla consacrazione, nel 1815, di quello stesso dominio.

Ciò nonostante egli potè ritrovare sempre la sua vera patria. Dentro di sé. Questo concetto è ben descritto nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis ove anche se non si era in grado di lavare via il sangue, il riflesso di quel sorriso, il lampo di femmineo pudore di Teresa, sua protagonista, consolava il cuor.

Il carme Dei sepolcri, apparso a Brescia nel 1807, traccia intorno al motivo della tomba, simbolo concreto dell’apparente condanna dell’uomo alla dissoluzione ma anche della sua permanenza nella memoria, un affresco della storia umana e della condizione dei singoli: entrambe sempre oscillanti tra grandezza e miseria, tra slancio ideale e rovinose cadute.

Negli endecasillabi foscoliani la tragedia del destino umano, proteso al morire, risuona con la gravità austera e maestosa del canto attribuito alle Parche.  Questo canto, oscuro e dolente, fa vibrare il carme per il mistero dello scoprirsi, in quanto uomini, nudi e indifesi.

Un altro canto però risuona, subito dopo, non a rinnegare l’inno delle Parche, bensì a completarlo, quasi a farlo risplendere mentre lo rende sopportabile, ed è il canto delle Pimplèe: le Muse.

Le Muse che son bellezza cantano la bellezza.

Le Parche sillabano con lenti rintocchi un inevitabile morire.

Ma i versi delle Muse pulsano di un’eco iridata che risuona “oltre”: oltre il tempo, oltre la fine del mondo e delle cose. 

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

Sogna il guerrier le schiere

Roma 4 maggio 2013

Sogna il guerrier le schiere

Sogna il guerrier le schiere,

le selve il cacciator,

e sogna il pescator

le reti e l’amo.

Sopito in dolce obblio,

sogno pur io così

colei,  che tutto il dì

sospiro e chiamo.

I numerosi testi scritti da Metastasio furono musicati da quasi tutti i compositori del suo tempo.

Il solo libretto Artaserse, da cui è tratta la poesia che abbiamo sopra letto, fu musicato da un centinaio di autori.

Metastasio ridette dignità letteraria ai drammi musicali, poiché concepì i loro libretti come entità letterarie già perfette.

Riformò il melodramma anche in alcuni aspetti  strutturali: separò la razionalità dalla sensibilità, cioè l’azione, affidata  a lunghi recitativi, dall’effusione lirica, limitata alle arie conclusive di ogni scena ed eliminò definitivamente qualsiasi elemento comico dall’opera seria, tenendo ben distinti i due generi.

A domani

LL

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Pietro Metastasio

Roma 3 maggio 2013

Nato nel 1698, Pietro Trapassi eredita il cognome grecizzante “Metastasio” da Gian Vincenzo Gravina, critico che fu sua guida negli studi umanistici e che lo inserì all’interno dell’Arcadia con il nome di Artino Corasio.

Quando il Gravina morì nel 1718, Metastasio ereditò anche tutti i suoi beni, e subito dopo, a causa di ostilità di alcuni membri dell’Arcadia e di una delusione amorosa, pensò di trasferirsi a Napoli.

Qui frequentò i salotti mondani, ricercato e stimato per la sua abilità di brillante verseggiatore d’occasione, compose il dramma pastorale Endimione, maturando uno spiccato interesse verso la poesia per musica.

Ne seguono grandi successi come per Gli orti esperidi, la cantata gli valse l’amicizia della cantante Arianna Benti Bulgarelli, che lo convinse a dedicarsi interamente alla scrittura teatrale e melodrammatica.

Nel 1724, per lei scrisse il libretto dell’opera Didone abbandonata, che suscitò un inatteso entusiasmo di pubblico e critica.

Nel 1730 fu chiamato a Vienna da Carlo VI in qualità di poeta cesareo presso la corte degli Asburgo.

Per i futuri cinquantadue anni fu amato e stimato da l’intera corte ove vi rimase fino alla morte.

A domani

LL

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Cortese il cantastorie

Roma 18 aprile 2013

Giulio Cesare Cortese dopo aver conseguito la laurea in diritto, gli viene affidato l’incarico di assessore a Trani ma dopo la morte del padre si reca a Firenze ed entra in servizio del granduca Ferdinando de’ Medici.

Torna a  Napoli e a distanza di poche settimane viene nominato governatore di Lagonegro.

Durante questo periodo di maggiore serenità inizia la sua produzione letteraria.

Diviene nel tempo autore di Una Vaiasseide poema delle serve napoletane , in dialetto si pronuncia vaiasse, poi di Micco Passaro’nnamurato, storia di un “guappo” probabilmente realmente esistito, e del poema in ottave Viaggio di Parnaso, in parte ispirato dall’opera omonima di Cervantes.

La comicità di Cortese, che accosta materia e lingua dialettali alle forme della letteratura aulica, risiede nella considerazione pessimistica di quanto sia vano ogni tentativo di mutamento sociale.

Benché protagonista dei suoi poemi, infatti, la plebe napoletana è rappresentata da Cortese come semplice imitazione caricaturale della classe aristocratica.

A domani

LL