365 giorni, Libroarbitrio

Moderno o Classico?

Roma 6 marzo 2013

Tassoni e la critica antipetrarchistica

In Italia a partire dal secolo XVI iniziano a svilupparsi movimenti letterari con la questione aperta sulla validità di un proseguimento letterario basato sulla modernità o sulla classicità. Dopo le esperienze letterarie di Bembo e Castiglione, nel 1542 Speroni pubblica il  Dialogo delle lingue, in cui esalta la forza della lingua volgare rispetto al latino, a seguire nel 1620  Alessandro Tassoni scrive il  Paragone degli ingegni antichi e moderni, una minuziosa opera di indagine comparativa in ogni campo dell’arte  e del sapere. Tuttavia il Tassoni si dedicherà alla revisione del culto rinascimentale del Petrarca.

Le tassoniane  Considerazioni del Petrarca sono non solo un commento al Canzoniere  e ai Trionfi ma un’opera anch’essa di a spiegare le novità del suo atteggiamento polemico verso il poeta trecentesco con la singolarità delle circostanze che il suo lavoro hanno accompagnato.

Le Considerazioni sono una netta presa di posizione per un ridimensionamento della poesia del passato, un esercizio critico ma insieme una polemica di gusto. Non è un’interpretazione a posteriori, nata dagli elogi degli innovatori, per primo il Marino, che utilizzano la critica tassoniana per la loro battaglia in favore della poesia nuova; è interpretazione presente nel Tassoni stesso, anzi subito esibita nella prefazione : egli nel condurre spregiudicatamente la sua critica ai difetti del Poeta di Laura, vuole combattere

una stitichezza, per così dire, d’una mano do 

zucche secche e che non voglion che sia lecito dir

cosa non detta da lui, né diversamente da quello

ch’egli disse, né che pur fra tante sue rime,

alcuna ve n’abbia che si possa dir meglio. Come

se gli umani ingegni, in cambio di andar

perfezionando e loro stessi e le cose trovate, ogni

di più si annebbiassero e fosse da seguitare la

sacciutezza di certi barbassori che, auggiando gli

usi moderni, vestono tuttavia colle berrette a taglia

e le falde del saio fino al ginocchio.

A domani

LL

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Rerum vulgarium fragmenta

Roma 17 febbraio 2013

Francesco Petrarca
Rerum vulgarium fragmenta
Canzoniere IV

   Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,

oimè il leggiadro portamento altero;

oimè il parlar ch’ogni aspro ingegno et fero

facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo!

   et oimè il dolce riso, onde uscìo ‘l dardo

di che morte, altro bene omai non spero:

alma real, dignissima d’impero,

se non fossi fra noi scesa sì tardo!

   Per voi conven ch’io arda, e ‘n voi respire,

ch’i’ pur fui vostro; et se di voi son privo,

via man d’ogni sventura altra mi dole.

   Di speranza m’empieste et di desire,

quand’io partì’ dal sommo piacer vivo;

ma ‘l vento ne portava le parole.

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Il poema storico

Roma 16 febbraio 2013

Amore, gloria e virtù

L’interesse della storia quale fondamento di riflessione sulla condizione umana diventa invece in un poema latino, L’Africa, motivo di celebrazione della gloria e della grandezza di Roma. Iniziata anch’essa a Valchiusa dopo il ritorno da Roma, la composizione di questo poema epico-storico si lega al solenne riconoscimento dato da Roberto d’Angiò al Petrarca, nel 1341, con l’incoronazione in Campidoglio. Ancora in via di composizione a quella data, il poema latino fu proseguito a Parma nel 1341 e in seguito ampliato e riveduto, ma interrotto al IX libro. Il poema, al quale Petrarca attribuiva un particolare valore come opera di poesia nel senso classico della parola, si conformava al modello virgiliano non solo per lo stile, ma anche per l’accostamento di motivi epici e di motivi sentimentali.

L’Africa da una parte attingeva al Somnium Scipionis, il frammento della Repubblica ciceroniana, che ebbe tanta fortuna nel Medioevo perché sotto forma di un sogno avuto da Scipione ragionava del destino celeste che tocca ai virtuosi e soprattutto ai benemeriti della patria, dall’altra alle Storie di Tito Livio che sono rivolte alla celebrazione dello sviluppo glorioso del popolo romano. I libri sulla seconda guerra punica appartengono alla esigua parte salvata (anche per opera del Petrarca) della monumentale opera di Livio. Ma anche ad Ovidio, il cantore dell’amore, si rifaceva il Petrarca per l’ispirazione stessa del poema, che si piegava ad una tematica meno solenne di quella richiesta dall’argomento epico, e più vicina alla consueta vena del poeta quale frattanto si esprimeva nelle liriche volgari.

Del resto, a parte i due libri iniziali, tutto il poema risultava dalla ricucitura, non portata completamente a termine, di una serie di pezzi, spesso concepiti secondo un modello lirico. L’esempio più tipico è uno degli squarci più significativi dell’Africa, il lamento di Magone morente, che il poeta forse compose in onore di Roberto D’Angiò, dopo la morte di lui nel 1343. Il passo era destinato alla meditazione sulla caducità della vita, sulla precaria condizione dell’uomo, ad un tema cioè verso il quale sempre più decisamente si avviava la riflessione del poeta.

A domani

LL

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Prima funzionalità del lavoro di recensione

Roma 14  febbraio 2013

Origine delle “Rime sparse”

L’opera in volgare di Francesco Petrarca, costituita soltanto da versi lirici, non da prose, può considerarsi la continuazione della lirica toscana fiorita alla fine del secolo XIII. Ma, nonostante la continuità della lingua e dei temi, quella della poesia riceve un’impronta decisamente nuova, che va collegata con l’esperienza assolutamente diversa di vita e di cultura che Egli consumò in ambiente italiano ed europeo.

Fra il ’38 e il ’40 avviò la composizione di opere ispirate all’antichità e la raccolta della produzione lirica volgare cui nel frattempo si era dedicato perché messo in contatto con la tradizione dei rimatori d’amore, nel cui ambito la sua preferenza si era decisamente diretta non al filone filosofeggiante, ma a quello che privilegiava la dolcezza del dire e la lode della donna. Aveva poi sviluppato questo genere di poesia durante il soggiorno in Provenza, dove fra l’altro il 6 aprile 1327 aveva conosciuto Laura sulla cui identità permangono ancora alcuni dubbi: è forse costei Laura de Noves De Sade?, indifferentemente dalla risposta Ella rimarrà l’esclusivo riferimento dei suoi versi d’amore. Nel ritiro di Valdichiusa nacque per la prima volta l’idea di raccogliere le rime sparse, composte negli anni sopra citati, secondo un criterio che si approfondirà negli anni e porterà il poeta ad ampliare la raccolta, correggere le rime, ridistribuirle, rimaneggiare la forma fino all’estrema della vita, dimostrando così innanzi tutto un interesse non secondario per questa attività di poeta volgare. Negli anni sarebbe scemata l’effettiva produzione, mentre si sarebbe intensificata e raffinata l’opera di raccolta, ordinamento pulitura. Il lavoro di recensione  e ordinamento delle rime apriva un’epoca nuova nella lirica italiana, perché veniva superata la frammentarietà tipica del componimento lirico in una prospettiva diversa, che faceva dei frammenti lirici, quali possono considerarsi le singole liriche , altrettanti momenti, intimamente collegati, di una meditazione morale, rivolta a scavare nell’anima e a chiarire i fondamenti e la condizione della propria esistenza di uomo, di amante, di poeta.

Il Petrarca, sebbene non rinuncerà mai a considerare delle rime la originaria frammentarietà o singolarità e le denominerà infatti “rime sparse” o “fragmenta” (frammenti) , onde è improprio il titolo di Canzoniere che gli venne attribuito, ebbe forte il senso della unità e organicità del suo lavoro di poeta volgare, che si ricollegava all’opera che nel frattempo andava conducendo sul piano della scrittura in lingua latina.

A domani

LL

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Recupero della Letteratura Antica

Roma 13 febbraio 2013

Auctores

Mentre il volgare italico trovava una sua vigorosa affermazione quale strumento letterario nei generi fondamentali dell’arte poetica, nell’ambito della cultura latina si modificava l’orientamento degli studi e lo stesso primato del latino veniva trasformandosi col progredire  degli interessi grammaticali e retorici  e con il recupero della poesia antica.

Questa trasformazione tendeva ad emarginare la cultura scolastica dominata dalla dialettica e dalle arti del quadrivio, per esaltare le arti “sermocinali”, quelle cioè che privilegiano il “sermo”, il “discorso”, la parola di cui la poesia sarebbe l’espressione più alta e compiuta. Assistiamo così ad una rivalutazione degli autori “antichi” e quindi del loro linguaggio, nello stesso tempo in cui si cerca di valorizzare la lingua moderna attribuendole le più alte funzioni sul piano intellettuale.

Non si tratta di una contraddizione, anche se il fenomeno si configurò talvolta in termini di conflitto. Dante trovò l’opposizione dei nuovi ammiratori degli “auctores”, Petrarca e Boccaccio nella loro età matura trascurarono la composizione in volgare, considerando più fruttuoso applicarsi ai temi e alle forme della cultura antica. Quel che in effetti si tentava di superare, era il linguaggio e la tematica della recente cultura scolastica, incentrata sui problemi tecnici della scienza, della filosofia e della teologia. E in questo tentativo convergono sia la ricerca espressiva del volgare sia lo studio e l’imitazione dei testi poetici, storici, morali dell’antichità cui si affiancava, secondo la prospettiva dell’epoca, anche la tradizione latino-cristiana.

Nella prima metà del Trecento l’incremento degli studi in questo senso si registra anzitutto nel Veneto, e particolarmente a Padova, sede di un gruppo di retori e poeti, che abbiamo visto fiorire dalla fine del secolo precedente in concomitanza con la dura lotta per l’indipendenza della città dalle mire di Ezzelino da Romano, e poi per impulso dei Carraresi presso i quali a metà del secolo si stabilisce il Petrarca.

A domani

LL