365 giorni, Libroarbitrio

DANNATA VOGLIA – di Gianluca Pavia

poesiadannatavoglia-gianlucapavia

E’ quella dannata voglia
d’innamorarsi ancora,
di incendi nei jeans che divampano
a lume di candela in cuori di cera,
a impiastricciarti le idee
e incasinarti la vita.
Che poi,
puoi passarci tutta la vita a prepararti
ma non sarai mai pronto
quando l’amore arriva.
Sì, lo so
ogni volta che mi gioco il cuore
poi ci perdo la testa
– tra decapitazione e circoncisione –
ma è più forte di me,
Uno shock,
lo stesso ogni volta che ti vedo
bella, bellissima
stupenda che vorrei denunciarti,
come il primo istante in cui ti ho vista
ed è stato
come ti stessi aspettando da millenni,
tipo quando scrivi 5 minuti e scendo.
Ma il tempo è relativo
il 3000 bussa alle porte
e io alla tua,
così puoi finalmente mostrarmi
la tua collezione di farfalle nello stomaco
e la loro dannata voglia di volare ancora.

di Gianluca Pavia da #WHISKEYESODACAUSTICA
Lié Larousse DuediRipicca www.libroarbitrio.com
#KEYOFLOVE di #VLADIMIRKUSH Kush Fine Art

365 giorni, Lié Larousse, Libroarbitrio

.l’ultima volta. poesia estratta da .Lié. – di Lié Larousse

lucifero-roberto-ferri - poesia lié larousse

.pioveva fino a poco fa,
ora anche il vento s’è calmato
soffia appena sulla sabbia
respira sulle case
e questa domenica
a starla a guardare da qui
ricorda
quando da bambino
t’affacciavi dal balcone e
guardavi giù
la strada
senza un’anima in giro
solo tu, e solo
musica di campane poco vicine
che non ispirano nessuna pace
né religione,
il solito ubriaco
a voce grossa e con gli occhi annacquati
impreca e smanaccia
attende
altra pioggia
perché c’è sempre
un momento di altra pioggia di domenica
come ci sono sempre
ragazzini coi palloni
cani, gatti e donne randagie,
sudore
a colare dalle tempie di qualche disgraziato,
di macchine quasi nessuna,
un cuore
da qualche parte batte duro
e intanto
cerchi di ricordare
dove hai perso il tuo
l’ultima volta
mentre giri l’ennesima sigaretta
sputando avanzi di tabacco
tra scoli di birra e carta straccia.

Lié Larousse
libro edito da Miraggi Edizioni
opera pittorica di #robertoferri #lucifero

365 giorni, Libroarbitrio

Le cose belle – Daniele Casolino

daniele casolino

Forse perché le cose belle hanno le minacce della pretesa, forse perché sono quelle che ci legano di più all’infanzia, a quando potevamo sbattere i piedi e urlare, senza sentir ragioni. Prima del: non si fa. Forse perché le cose belle sono anche preziose e abbiamo paura che ce le rubino, o non ne capiscano il valore. La cosa più brutta sarebbe che ce le sporchino. Forse perché le cose belle sono così semplici da fare male, come la fame, la sete, la voglia, quella dannata voglia di, di chi ha deciso di mandarla all’inferno? Chi? Poi è vero, c’è la strada della gentilezza, ma non è una proposta smussata, non è per educazione. Eʼ per fiducia. Come un pescecane che si lasci accarezzare. Io ti mangio tu mi uccidi, ma vorremmo smettere, vediamo se si può, con prudenza, signor sub, con rispetto signor squalo. Lʼaltro giorno volevo scrivere in bacheca “Il ricatto a volte ha la forma della rosa”. Lʼho pensato, mi ha spaventato e lʼho censurato. Non lʼho scritto ma ormai si era scritto dentro, e vallo a cancellare, dentro. Le cose belle a volte si confondono. No, non è esatto, ci confondono. In questo periodo sto provando ad osare lʼinosabile, e sai la sorpresa, spesso non cʼè nulla ad impedirlo. E allora rimanda indietro quella necessità di protezione e scopriti, spingi invio e manda la lettera a Sara. Tutt’al più sarà verità. E la verità è tra le cose belle. La verità che non si può dire mai, a volte le mezze bugie, a fin di bene, ne han ammazzati più le mezze bugie che la penna e la spada. Una guerra scema in cui si muore in due, quella delle mezze bugie. Scandaloso? Può darsi che la verità non sia affatto gentile e cortese, ma quale fiducia maggiore potrai ottenere se non attraverso la verità? Forse le cose belle servono a cercarla, come le mollichine di Pollicino. Forse si veste da curiosità, che Alice come sarebbe riuscita a sapere cosa ci fosse in quelle boccette davvero se non violandole. La veritààààààà, Zavattini la dava ai matti, che queste sono cose che non si possono dire. Le cose belle, ci dicono, non si possono dire, perché sono vere. E nella verità non cʼè potere, lo squalo non ha denti, il sub nessuna fiocina, ma non se lo dicono, e restano lì a guardarsi tremanti, a diffidare dellʼaltro, e quella carezza bella e voluta non se la daranno mai. Tu sei vera? Perché spesso la verità ha proprio lo stesso colore del sogno.
Daniele, quello che sogna davvero.

alice moon artist - telesiope - daniele csolino

opera pittorica di
Alice Moon Artist

 

365 giorni, Pubblicazioni

buona vita sempre gente

Vettriano

.quanto fa freddo oggi
calpestati di silenzio,
arrugginiti dall’ossigeno,
storta la luna sembra stanca,
e noi
abbiamo imbastito
scorciatoie ad ostacoli
e alla fine ci siamo dati
tante di quelle parole
dette per non dire
che dietro lenti scure
gli occhi lividi
baciati dal sole
pizzicano
ma non piangono
anche se hanno visto
che si può davvero perdere tutto
pur non avendo mai avuto
nulla.

.scorciatoie ad ostacoli. Lié Larousse

Auguro a tutte le persone che non hanno nulla o più nulla da festeggiare giorni sereni sempre, e che questi natalizi passino in fretta, e soprattutto indolore, così da poter tornare con un bel respiro alla vita di sempre.

Con amore Lié 

365 giorni, Libroarbitrio

I Lunedì di LuccAutori – L’angelo – Gino Dondi

Cratività - Verdirosi

Quell’estate, quella maledetta estate, Cesco e Lucia andarono al mare pochissime volte. In agosto la tradizionale crociera verso sud con gli amici era saltata.
Ormai era l’ultima settimana di ottobre, l’estate finita da molto, gli alberi perdevano le foglie ma in quei giorni non era ancora freddo. Il meteo quel sabato prometteva tempo variabile. Cesco voleva prendersi una pausa: “Lucia che ne dici, ci facciamo due giorni in barca? Soli, io e te. Potrebbe aiutarci a…”
“No”, l’interruppe “mi dispiace, non me la sento. Hai chiesto a Denis e Luca?”
“Hanno impegni. Potresti…”
“Non insistere”, ribatté e lo fissò come se il suo sguardo lo volesse avvertire di ovvi significati, ma che lui non volle cogliere.
“Ti spiace se vado io?”
“No. Va’ pure.”
“Tu?”
Lei non rispose.
Cesco fece per andarsene poi si girò: “Le cose succedono. Non serve…” Lei l’interruppe: “Non mi va’ di parlare. Cerca di capirlo,” lo disse con voce dura, astiosa.
Lui non aggiunse altro. Non c’era altro da aggiungere. Diede un fugace bacio sulla guancia della moglie, salì in camera, si cambiò e prese lo zainetto, sempre pronto, e partì.
Entrò in autostrada a Fornovo, il traffico era abbastanza intenso.
Viaggiava spedito, ma sempre entro i limiti di velocità: a volte i centotrenta, oppure meno.
Superato Borgotaro, forse casualmente, guardò nello specchietto e vide arrivare veloce una Bmv X6. Cesco accelerò.
‘Non farlo’, si disse.
Con quel mostro non c’era gara, ma sapeva che i successivi dieci chilometri di salita erano di curve strette e gallerie, e lì avrebbe potuto dire la sua..
‘Non farlo’, si ripeté. Nella sua mente risuonò la voce di Lucia: quante volte avevano discusso, e lei si era arrabbiata, e aveva ragione.
‘Qualche chilometro poi rallento’, si disse sapendo di mentire.
Non era solo il gusto della sfida, l’istinto della competizione, che pure aveva sempre avuto. Era di più. Era la Bestia Nera dell’aggressività. Tenuta dentro, in una gabbia di rispetto degli altri, di educazione ricevuta. Ma la Bestia Nera c’era e doveva sfogarsi in qualche modo. Negli ultimi tempi era cresciuta, diventata ingombrante.
Il cuore gli batteva violento nel petto. Le mani artigliate al volante. Gli occhi che saettavano dalla strada allo specchietto. Le gomme che gemevano sull’asfalto. A volte l’X6 lo sorpassava e subito dopo Cesco lo metteva dietro. ‘Sei uno stronzo’, si ripeteva: e lo diceva a se stesso.
Due idioti che mettevano a repentaglio la loro stessa incolumità e quella degli altri: lo sapeva.
‘Smettila’, si diceva.
Ma la Bestia Nera ora ruggiva la sua rabbia. Le gomme che stridevano era la sua voce.
Sapeva anche che dopo si sarebbe pentito, si sarebbe dato dello stupido. Sì, gli sarebbe venuto il magone a pensare quanto era stato infantile; ma questo sarebbe successo solo quando avrebbe ripreso il controllo di se stesso. In quel momento l’aggressività imponeva la sua violenza.
All’entrata della galleria del valico Cesco rallentò vistosamente, come a dire: vattene pure, io vinco nella parte ‘guidata’ non in rettilineo.
Quando sbucò sul versante toscano piovigginava.
Cesco era deluso da se stesso, doveva digerire il boccone amaro di sentirsi uno stupido.
Ma non solo quello: un dolore infinito aveva devastato la sua vita e da allora sfidava il destino con aggressività, forse con il desiderio inconsapevole di farla finita.
All’area di servizio di San Benedetto si fermò. Sentiva di doversi sciacquare la mente dalle
tossine che lo ammorbavano. Con l’auto andava lento, cercava uno spazio vuoto per parcheggiare, d’un tratto, dall’altra parte del piazzale gli parve di vederla. Il cuore si fermò, poi si mise a martellare violento. “Chiara!”, urlò. E subito si rese conto dell’assurdità di quel grido. No, non poteva essere lei. Doveva mantenersi razionale: lo sapeva. I suoi pensieri potevano diventare relitti sballottati in un mare di irrazionalità. Doveva evitarlo.
Ripartì.
Dopo Aulla il sole stava comparendo lentamente, quasi controvoglia.
Ancora mezz’ora e arrivò a Fezzano. Il porticciolo era quasi deserto. Percorse il pontile lentamente guardando barche bellissime di dodici, quindici metri, le ammirava sì, ma senza invidia: lui era legato alla sua non più giovane e neanche tanto appariscente Aziza. No, non l’avrebbe mai cambiata. Mai.
Poi eccola, finalmente. Si fermò sul pontile, posò lo zainetto e la guardò.
Sentì la memoria retrocedere, davanti ai suoi occhi riaffioravano in un unico sguardo le veleggiate tranquille nel mare buono, l’adrenalina col mare cattivo, le dormite sulla tuga con il sole che ti cuoce la pelle. Il Gps che ti dice dove sei e dove andrai: Punta Bianca, le secche della Meloria, San Vincenzo, il golfo di Baratti, l’Elba, poi Capraia e la Corsica. E le sere alla luce morbida della lanterna a mangiare pesce pescato e intanto parlare di letteratura, discutere di politica con Luca, Denis, Willy, Patrizia. Raffiche di passato lo sconquassavano. Con un balzo salì a bordo e si sedette. Con la mano carezzò il timone, tiepido di sole, e rivide Lucia che portava la barca con sicurezza, i capelli scompigliati dal vento. Anche a Chiara piaceva timonare.
Un magone pesante gli attanagliava la gola. Decise di partire, subito. Aprì il boccaporto, prese il salvagente di poppa, il Gsp e risalì in coperta, aprì il rubinetto della nafta e accese il motore. Sganciò le cime di ormeggio e diede gas. Aziza partì lenta e sicura, percorse il breve tratto di porto poi, fuori.
L’aria era pulita, frizzante. Un po’ di onda la faceva dondolare, pareva fosse contenta di andare. Superata la diga foranea ecco il mare aperto. Cesco mise la prua al vento e aprì la randa. Spento il motore, aperse anche il fiocco. Un leggero maestrale gonfiò subito le vele. Direzione sud. Alla destra l’isola Palmaria, poi il Tino. Poi dritto verso la linea dell’orizzonte dove mare a cielo si confondono. Veleggiò per diciotto miglia, e per quelle quattro ore si concesse il lusso di non pensare.
Il sole alto gli disse che era tempo di tornare. Virò, ora il maestrale lo aveva di poppa, virò ancora e sentì il vento graffiargli la sinistra del volto. Direzione 340 gradi.
Un’ora dopo vide affiorare dalla linea incerta dell’orizzonte la sagoma ingobbita di Montemarcello. Ora Aziza avanzava veloce con un maestrale rinforzato. L’ombra delle vele sul mare si faceva via via più lunga, ed ecco Punta Bianca, Tellaro.
Il giorno se ne stava andando, la luce smagriva lentamente, ostinata a non finire. Non gli andava di tornare, non voleva farsi inondare la mente dai fantasmi. Virò a sinistra, senza dirigersi verso il varco della diga foranea. Avrebbe gettato l’ancora in una rada.
Telefonò a Lucia: “Questa notte rimango qui, sono ancorato alla Palmaria, tranquilla va tutto bene. Torno domani.” Cesco fece per spegnere poi non seppe resistere all’impulso di aggiungere: “Oggi…?”
“Oggi come ieri”, disse Lucia con tono scontato, ma il dolore non era difficile da scorgere.
Avrebbe voluto dirgli che rintanarsi in se stessa non era il modo per superare la disperazione, ne avevano già discusso, invece disse solo: “Va bene. A domani.”
La luna galleggiava in un cielo blu intenso che di lì a poco sarebbe diventato nero.
Con il buio l’aria rinfrescò, ma non gli andava di chiudersi dentro. Rimase lì a guardare in lontananza le luci di Lerici che bucavano l’orizzonte. Scese sottocoperta, cercò qualcosa da mangiare, trovò solo una scatoletta di tonno e dei grissini. Nel frigorifero una bottiglia di vermentino di Sardegna. Tornò in coperta. Senza preparare il tavolino aprì la scatoletta e sturò la bottiglia. Mangiò qualche boccone e trangugiò un bicchiere di vino, poi un altro e un altro ancora. La rada era imbevuta di silenzio. Le stelle ora si vedevano nitide. Piccolissime macchie di luce. Si chiese se in quella profondità ci fosse un dio. Improvvisamente, come se i pensieri tenuti compressi nel fondo del cervello per tutta la giornata volessero esplodere nella sua mente, si sentì sommergere da uno strano sgomento. Rivolse lo sguardo su in alto e bisbigliò: “Dove sei Dio? Dove?” Avrebbe voluto gridare, ma aveva la gola attanagliata da un nodo inestricabile. Poi lo fece. Si alzò in piedi e gridò: “Dove sei Dio giusto e misericordioso? Perché mi hai dato la felicità, mi hai concesso quella creatura angelica per poi strapparmela via. Con quale logica, per quale castigo?” La notte nera gli fece udire solo lo sciabordio dell’acqua contro lo scafo. Dentro di sé nessuna risposta. Solo una domanda: ‘Perché?’, si ripeteva. Senza usare il bicchiere, alzò il fondo della bottiglia e trangugiò finché il respiro lo consentì. Prese fiato, e ancora il vino scorreva dentro il suo corpo come se volesse lavar via il magone che lo mordeva.
‘Non ho strumenti capaci di capire, non ho parole capaci di consolare’, si disse. Una sottile rabbia gli stava montando dentro, riuscì solo a chiedersi: ‘Dio, se è vero che esisti da qualche parte, perché lasci sprofondare in questo abisso di disperazione questa tua creatura? Eh? Perché?’, protestò. Ma Lui, Dio, non gli rispose, allora Cesco pensò di maledirlo. Restò qualche momento immobile, il suo corpo fermo, la sua mente ferma. No, non riusciva ad amarlo, non più, ma nemmeno a imprecarlo.
“Chiara!!”, gridò al cielo, come se lei potesse sentirlo. Poi Cesco si accasciò sul pagliolo, raggomitolato in una posizione fetale. Sentì le lacrime scendere sulle guance. Come un coltello affilato quelle lacrime squarciarono la sua corazza e il suo pianto si fece dirotto, infantile.
Aziza dondolava dolcemente, cullando nel suo grembo quel corpo che sussultava squassato dai singhiozzi di un pianto liberatorio. Lentamente la coscienza di Cesco si sciolse, vinta dal vino e dalla stanchezza.
Più tardi il freddo intenso della notte lo svegliò. Aveva gli arti rigidi, la bocca impastata. La testa girava. Scese sottocoperta, si buttò sulle lenzuola della cabina di prua, lì dove con Lucia aveva parlato, riso, dormito, e anche fatto l’amore.
Lì avevano concepito Chiara.
Sì, proprio lì era iniziata la sua breve fantastica vita. Da allora anche quella dei genitori era diventata fantastica.
Dopo qualche mese il matrimonio, poi la sua nascita, poi quell’angelo che era tutta la loro vita. Poi un giorno un saluto rapido e qualche passo di corsa, poi lo stridore delle gomme sull’asfalto, poi un tonfo sordo, poi l’urlo lacerante della sirena, poi i passi in corsia.
Poi l’attesa.
Il tempo che rallentava. Si fermava.
Poi lo sguardo muto di un medico a dire tutto.
A dire che tutto era finito.

Racconto “L’angelo” scritto da Gino Dondi
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I Lunedì di LuccAutori”

Opera pittorica – Creatività, libertà – Umberto Verdirosi

Potete acquistare il volume dei racconti vincitori del Premio “Racconti nella Rete 2016” edito da Nottetempo, a cura di Demetrio Brandi, in tutte le librerie a distribuzione nazionale oppure on line al link di seguito:

http://www.edizioninottetempo.it/it/prodotto/racconti-nella-rete-2016

365 giorni, Pubblicazioni

Lo so, non sai se hai voglia di picchiarmi o di baciarmi…

Lei da che parte sta?
Dalla dove sto sempre, la mia.
Non è in lutto per Labbra?
Sì, porto biancheria nera…
Avrei il diritto di portarla al distretto e farla sudare sotto le luci dei riflettori.
Io sudo molto meglio al buio

SoloOpera pittorica di Solo
1×1 m, tecnica mista su tela
Solo si è liberamente ispirato a Dick Tracy personaggio creato dal fumettista Chester Gould,
pellicola preceduta da quattro film della serie Dick Tracy Amazing Adventure dal 1945 al 1947,
iniziata con l’omonimo Dick Tracy di William Berke giunto sugli schermi italiani nel 1990.
L’opera pittorica dell’artista fa parte della collezione privata di Vittorio Storaro.

www.facebook.com/h4solo

365 giorni, Libroarbitrio

“Libero arbitrio” di Gianluca Pavia

Stelle felici su un mare disteso Salvatore Graf

Opera pittorica “Stelle felici su un mare disteso” di Salvatore Graf

Scegliere di vivere
alzarsi la mattina
e pagare le bollette,
essere puntuale
e fare il tuo lavoro,
non uccidere nessuno
e mantenere il decoro,
non sono la stessa cosa.
Abbandonarsi e morire
e assaporare un fiore,
danzare sul tintinnio
fuori la finestra
o magari ascoltare
cosa il silenzio ha da dire
non sono la stessa cosa.
Il confine è sottile,
il capello di una donna tra le dita,
il click prima dello sparo,
il bip dell’emergenza,
lo chiamano libero arbitrio
ma è solo una stronzata,
alza il culo
e vai fuori a vivere
oppure
cambia canale
sarai più fortunato.
Forse.

365 giorni, Libroarbitrio

“Suona per la via” Olindo Guerrini

Guillaume-Seignac-La-Libellule

Opera pittorica “La Libellule” Guillaume Seignac

Un organetto suona per la via,
la mia finestra è aperta e vien la sera,
sale dai campi alla stanzuccia mia
un alito gentil di primavera.
Non so perché mi tremino i ginocchi,
non so perché mi salga il pianto agli occhi.
Ecco,
io chino la testa sulla mano,
e penso a te che sei così lontano.