365 giorni, Libroarbitrio

Esercizio di futilità n°1 – Lindze

In una sera ambigua, insoluta,
di fronte a un bicchiere di rosso,
decisi di cimentarmi in un
esercizio di futilità
domandandomi chi mai
io
fossi.
Scrutai il mio passato,
ma vidi solo uno sconosciuto
che aveva invano tentato
di vivere e discernere
giusto e sbagliato.
Lo ricordai fallire, lo sentii soffrire.
Lo osservai  infliggere dolore,
lo ricordai amare e odiare,
lo scrutai mentre mentiva.
Le azioni che aveva compiuto,
e quello che gli era capitato
giacevano tumulate
nel tempo,
impolverate,
buone come scusa
per reiterare i soliti errori
e trovare giustificazioni
alle proprie mancanze.
Il suo passato incideva  a fuoco
il mio presente,
rendendo impossibile  a me,
di fronte a quel bicchiere di rosso,
di riconoscermi
in quel me stesso congelato
nel tempo.
Allora guardai al mio futuro,
ma vidi banchi di fottuta nebbia,
impenetrabile,
e constatai
che esso è fatto della stessa
impalpabile essenza del passato,
trasformazione materica della stessa
sostanza, come il mutarsi
di acqua e ghiaccio
in un gelido mare nordico.
Ogni previsione rimaneva
patetica speranza,
quadro immaginato e
troppo compassionevole
di aspettative sempre
disattese nel presente .
Allora mi fermai, capendo
che potevo “essere” solo in quel
momento che già sfumava via,
uomo in perpetua transizione,
perso attimo dopo attimo
in quel nulla abbacinante,
in quella minuscola tregua
tra un respiro e l’altro,
per sempre sospeso
tra passato e futuro
mentre di fronte a uno
schermo bianco
scrivevo queste quattro
righe disperate,
senza possibilità di
risposta alcuna.

Come un demente che,
rannicchiato su una
spiaggia solitaria,
tenta di trattenere
con i suoi artigli
contratti
l’acqua
di uno oscuro oceano.

365 giorni, Libroarbitrio

Reminiscenze – Tudor Arghezi

Era lei - opera di Elisa Anfuso

Vengono, eccoli, sempre da soli
verso di me tutti i frantumi,
briciole slabbrate ed intere
di cose che stenti a capire.
Sono come li ho dimenticati
da quando si sono addormentati:
un vecchio cimitero di bambole.
Ora cominciano a muoversi,
a prendere corpo dall’ombra
e da un brusio come d’alveare,
e si ricompongono a poco a poco.
Zoccoli con aureola d’angelo,
frammenti di icone che serbano, a rimorso,
di benedizione una traccia e maledizione,
una lacrima fissata in pittura,
una mano ferita, uno sguardo,
a campane, pare, lontane,
e qualche pagina di libro.
Un coccio risuscita un’anfora rotta.
Stormisce anche l’edera morta
e a una a una, destandosi, le voci spente
mormorano pare e pare che ridano.
Mi vedo ora convitato alla Cena,
ora centurione nella persecuzione.
Provo di nuovo la camicia d’allora,
stretta, con una ferita d’allora,
e dimenticata
nel cuore del tempo, silenziosa.
E se porto la mano allo squarcio
di non so quale lotta,
mi scivola molle sul sangue.
Là si raccoglie
tutto ciò che da sé si aduna,
frammenti di scrittura e schegge di luna.
Non posso ingannarmi.
Il gelo mi brucia: un blocco d’argento,
e nella nebbia le dita
diventano sopra le unghie carbone di ghiaccio.

365 giorni, Libroarbitrio

“Traum der Liebenden – Sogno d’amore” Marc Chagall

Chagall, Traum der Liebenden (sogno d'amore)

Or che le stelle affogano
in un mare di nebbia scintillante,
e dalla chiusa tenebra
sgorga la luna colma e allucinante,
disserra le tue magiche
porte, o città del sogno e dell’oblio

Giovanni Alfredo Cesareo

365 giorni, Libroarbitrio

Boum! – L.L.

 

All’antico mondo osservo sacralità d’amen aprendo schiudendosi come gemma la mia voce in un sospiro profonda melancolia tremito di corde tese di steli di cespugli smeraldi che musicano come per violini note di gocce di latte e cenere allontanando la memoria sogni di bambini concupire l’esistenza giunta esasperata vestita di nebbia serale appena il sole cede alla viziosa notte puramara notte io veglio come si consuma chi non si vuole fervore funereo sola e sola farsi d’amore in eterno eterno antico mondo e poi boum et

la pendule fait tic tac tic tic
les oiseaux du lac pic pac pic pic
glou glou glou font tous les dindons
et la jolie cloche ding din don
mais …
boum
quand notre cœur fait boum
tout avec lui dit boum
et c’est l’amour qui s’éveille
boum
il chante “love in bloom”
au rythme de ce boum
qui redit boum à l’oreille
tout a changé depuis hier
et la rue a des yeux qui regardent aux fenêtres
y a du lilas et y a des mains tendues
sur la mer le soleil va paraître

L.L. avec Charles Trenet

 

365 giorni, Libroarbitrio

“Il castello sul mare” Ludwig Uhland

Magritte Il castello dei Pirenei

Hai visto il castello,
l’alto castello sul mare?
Sopra corrono
nuvole d’oro e rosate.
Vorrebbe piegarsi sull’onda,
chiara come uno specchio,
levarsi sopra il fuoco delle nubi
serali, superbo e fiero.
Io ho visto l’alto
castello sul mare,
sopra nel cielo la luna
e intorno la nebbia.
Il vento del mare, le onde,
non fecero un’eco vivace?
Non hai sentito dagli alti anfratti
un canto festoso, un suono di arpe?
Le onde, i venti,
in una grande pace.
Dall’atrio del castello
ho udito un canto
lamentoso fra le lacrime.

365 giorni, Libroarbitrio

“Pietra sangue” di Fabio Pusterla

Roma 23 gennaio 2014

Fabio Pusterla

E sono qui ambedue: fibra sventrata
e luce chiara e tersa. Due avversari
che non si parlano mai. Dove guardare, ti chiedi,
di quale occhio fidarsi, a chi concedersi.
Se la nebbia si apre, per un attimo,
se il vento delle altezze alza il sipario in un turbine,
proprio là dove il caso indirizza lo sguardo
appare,chiaro, un lembo di montagna, ma staccata
da terra, quasi in volo: aquila immensa
di roccia nera e neve, artiglio e ala.

A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Cesare Pavese “Semplicità”

Roma 8 dicembre 2013

Cesare Pavese

L’uomo solo – che è stato in prigione – ritorna in prigione.
ogni volta che morde in un pezzo di pane.
In prigione sognava le lepri che fuggono
sul terriccio invernale. Nella nebbia d’inverno
l’uomo vive tra muri di strade, bevendo
acqua fredda e morendo in un pezzo di pane.

Uno crede che dopo rinasca la vita,
che il respiro si calmi, che ritorni l’inverno
con l’odore del vino nella calda osteria,
e il buon fuoco, la stalla, e le cene. Uno crede,
fin che è dentro uno crede. Si esce fuori una sera,
e le lepri le han prese e le mangiano il caldo
gli altri, allegri. Bisogna guardarli dai vetri.

L’uomo solo osa entrare per bere un bicchiere
quando proprio si gela, e contempla il suo vino:
il colore fumoso, il sapore pesante.
Morde il pezzo di pane, che sapeva di lepre
in prigione, ma adesso non sa più di pane
né di nulla. E anche il vino non sa che di nebbia.

L’uomo solo ripensa a quei campi, contento
di saperli già arati. Nella sala deserta
sottovoce, si prova a cantare. Rivede
lungo l’argine il ciuffo di rovi spogliati
che in agosto fu verde. Dà un fischio alla cagna.
E compare la lepre e non hanno più freddo.

da Poesie edite e inedite, Einaudi, Torino

Uno dei problemi che maggiormente tormentarono Cesare Pavese fu quello della solitudine dell’uomo la quale sarebbe disperata se non fosse attenuata dai sogni che ci concedono l’evasioni. E il protagonista di questa poesia trova appunto nel sogno il rifugio e la consolazione della sua esistenza che è stata buia nel carcere ed è buia nella libertà. Anzi, quando era rinchiuso, se mordeva un pezzo di pane, sognava campi arati liberi e spaziosi, un casolare caldo, un bicchiere di vino sulla tavola; il pane stesso assumeva il sapore della carne di lepre. Ora che  è libero e potrebbe vedere avverate le sue speranze, si accorge che le cose nella realtà sono più lontane che nel sogno. Soltanto il vino, che al primo assaggio “non sa che di nebbia”, può far nascere di nuovo, come per miracolo, le fantasie e le illusioni necessarie a infondere la forza di vivere.

Buona domenica
A domani
Lié Larousse