365 giorni, Libroarbitrio

Primo Levi raccontare per non dimenticare (seconda parte)

Roma 27 ottobre 2013

Primo Levi poeta

Se questo è un uomo è un romanzo autobiografico, narrato in prima persona. Esso racconta le vicende dell’autore, dal momento dell’arresto da parte delle milizie fasciste, il 13 dicembre 1943, ai giorni della liberazione avvenuta a opera delle truppe sovietiche, nel gennaio del 1945, pochi mesi prima della fine della guerra.

Il libro contiene dunque una testimonianza autentica, ricca di umanità e sofferenza sulla vita nei lager. Lo stile è semplice, senza enfasi. Il lavoro dei prigionieri, la crudeltà dei nazisti, gli atti di disperazione e di umanità dei deportati, la volontà costante degli ufficiali tedeschi di annullare la personalità e la dignità delle vittime, usate come carne da lavoro e da macello: questi gli amarissimi temi del libro, la cui dichiarata  finalità è raccontare per impedire che la tragedia del nazismo possa essere dimenticata.

Se questo è un uomo  si apre con questa poesia di Levi:

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpite nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

O vi si faccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

A domani

Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Franz Kafka : la condizione esistenziale dell’uomo moderno imprigionato in un labirinto di regole senza via d’uscita di cui non conoscerà mai il senso

Punta Ala 17 agosto 2013

Franz Kafka scrittore

Franz Kafka nacque a Praga nel 1883 da una famiglia ebrea di lingua tedesca.

In quegli anni a Praga, seconda città dell’Impero austro-ungarico dopo Vienna, confluivano cultura ceca, ebraica, e tedesca e la rendevano inquieta, viva, aperta alle avanguardie e allo stesso tempo fedele custode delle tradizioni degli ebrei dell’Est, della loro lingua, lo yiddish, dello studio dei testi sacri.

Due diversi modelli di ebraismo presiedettero alla formazione di Kafk: quello aperto , teso al benessere e alla promozione sociale, proposto dal padre commerciante e quello religioso strettamente ortodosso della madre.

Ma egli si sentì sempre sostanzialmente estraneo a entrambi e addirittura in conflitto con quello paterno.

Il rapporto difficilissimo che Kafka ebbe con suo padre, e che ossessivamente ritorna nei suoi scritti, alimentò in lui la convinzione della propria debolezza, del disadattamento alla vita di cui si sentiva vittima.

Si laureò in legge e, venticinquenne, s’impegnò in una compagnia di assicurazioni, dove rimase fino al 1920, quando l’aggravarsi della tubercolosi di cui soffriva lo costrinse a curarsi lontano da Praga.

Questa esperienza di lavoro impiegatizio contribuì alla nascita di un altro dei temi fondamentali della sua narrativa: la condizione esistenziale dell’uomo moderno, imprigionato in un labirinto di regole senza via d’uscita di cui non conoscerà mai il senso, non possedendone la chiave interpretativa.

Un inesorabile senso di colpa legato al fatto stesso di esistere – al quale sono state attribuite molte interpretazioni, fra cui il presentimento dell’imminente persecuzione nazista e la catastrofe della guerra- conduce l’essere umano all’espiazione,senza che possa mai conoscere le ragioni della pena che deve scontare.

La rappresentazione della realtà, nell’opera di Kafka, diventa allucinata e metaforica, mentre i dati materiali diventano simboli di una realtà ben più estesa, quella della psiche umana.

L’uomo contemporaneo presagisce la fine di un mondo, dei suoi valori, delle sue certezze.

Per Kafka, decifrare la realtà è una pretesa impossibile, l’uomo è smarrito, torturato dalle sue incapacità, ed ecco che il racconto perde la sua trama definita, rimane in sospeso, senza una conclusione che consegni al lettore il senso logico della vicenda.

Il rispetto scrupoloso dell’ordine cronologico dei fatti, tipico delle opere naturalistiche e veriste è infranto, il tempo diventa soggettivo e relativo, i fatti seguono l’ordine di importanza che il narratore attribuisce loro, assolutamente liberi di accadere al di là del limite della comprensione umana.

Franz Kafka morì nel sanatorio di Kierling, vicino a Vienna, nel 1924.

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

Stefan George e il “culto estetizzante della bellezza efebica”

Roma 7 agosto 2013

Stefan George poeta

Ora d’azzurro

a Reinhold  e Sabine Lepsius

Guarda quest’ora d’azzurro, che là

oltre il velario del giardino inciela!

Lei recava ogni raggiante scoperta,

ricompensa alle pallide sorelle.

Palpitante e grande e serena, accorre

infine con le sue nuvole – guarda!

offerta lei d’avvampanti relitti.

Cosa concede dice quand’è inerte.

E ch’esse sì velocemente immote

meditiamo – solo a lei consacrati-

ormai allo stesso modo gli archi tende

caligine d’opulento festino.

Come un accordo di profonda musica

che senza fine paradisa e plora

nel nuovo empireo maggiormente adesca

e più avviva se più si va spegnendo.

Stefan George 

Addentrarsi nelle spinose questioni che riguardano la vita di Stefan George è un’impresa rischiosa, e forse il poeta stesso non lo considererebbe  un contributo alla sua gloria.

Nato nel 1868  a Budesheim, nel Palatinato assiano-renano, George iniziò presto a viaggiare in Europa seguendo itinerari poetici: poco più che ventenne frequentò a Parigi  il cenacolo simbolista, accolto da Mallarmé e Verlaine con ammirazione e stupore per il suo precoce talento poetico, mentre in Inghilterra conobbe, restandone affascinato, Swinburne e i pittori preraffaelliti.

Furono, queste, esperienze determinanti per la sua personalità artistica, influssi che concorsero in modo decisivo alla formazione di quella immagine di “poeta numinoso”, poeta vate, che contraddistinguerà poi tutta la vita di George.

In questi anni si viene formando la sua concezione della letteratura come un evento aristocratico, elitario: la poesia deve essere pura e depurata da residui di contingenza, pervasa da una tensione metafisica che trabocca spesso nel linguaggio vaticinante dell’esperienza mistica.

La lingua tedesca si modella a un’estenuante perfezione formale, messa in rilievo anche da un’attenzione scrupolosa alla squisita presentazione tipografica  dei testi, intesa come funzione stilistica.

Al lettore italiano sarà qui risuonato in mente sempre più chiaro il nome di Gabriele d’Annunzio, e infatti il parallelismo tra i due poeti offre moltissimi riscontri, nell’arte come nella vita.

Ma la missione di poeta – vate, tradotta nella realtà biografica, assume caratteristiche alquanto ambigue e inquietanti.

Nel 1890 Stefan George crea un proprio circolo attorno alla rivista “Blatter fur die Kunst”, (“Fogli per l’arte”).

Qui  il maestro  si contorna  di giovani discepoli, da lui accuratamente selezionati  secondo criteri  semplici  e precisi: maschi, belli, efebici, spesso adolescenti,  non di rado ancora bambini.

Un’élite di adepti sui quali il poeta esercita un potere assoluto, invasivo e senza scrupoli.

Soggiogati dal carisma del vate, ma anche vincolati dal suo imperioso  e capriccioso volere, i giovani si consacrano a lui, si sottopongono a umilianti rituali di adorazione, si votano a una dedizione assoluta, che contempla persino la rinuncia al matrimonio, pena l’esclusione dal circolo degli eletti.

Tutto ciò in nome dell’Arte e dell’Estetica.

Quello che finora  nella storia della letteratura  era definito come “culto estetizzante della bellezza efebica”, o “trasfigurazione poetica dell’ideale apollineo”, in una recente, ponderosa biografia curata da Thomas Karlauf viene rinominato  altrimenti, in una sola parola: pedofilia.

Di fatto, sul  versante  poetico, tra le più belle liriche  di Stefan George si annoverano senz’altro le “Canzoni” dedicate all’efebo Massimino, raccolte  in Der Stern des Bundes (La stella del patto, 1914).

Ma indagare soltanto su questa componente  della vita del poeta sarebbe miope  e riduttivo.

Al di là dell’indiscusso  valore dell’opera  poetica, la storia  di Stefan Geroge  e del suo circolo è anche la storia della Germania del Terzo Reich: entrambe sono vicende di sottomissione e di culto dell’autorità, di fanatismo ma anche di grande coraggio.

Uno dei discepoli di George fu infatti quel colonnello Cluas von Stauffenberg,  che il 20 luglio 1944 colpì un fallito attentato contro Hitler, collocando una bomba nella baracca del Fuhrer durante una riunione di alti ufficiali nazisti.

Nel 1933, disgustato per l’uso propagandistico che il regime andava facendo delle sue poesie, Stefan George si trasferì in Svizzera, a Minusio, nel Canton Ticino, dove morì quello stesso anno.

A domani

LL

Testo di studio:
Poesia, Speciale 25 anni, Vite di poeta
Donata Berra
Editore Fondazione Poesia Onlus