365 giorni, Libroarbitrio

Shhh! – L.L.

Lié - 1- 1- '16

UE’ VICINA! AUGURIIII! LA VUOI UN PO’ DI LENTICCHIA?

Erano passati cinque minuti alla mezzanotte. L’aria striata da polveri pirotecniche a dipingere un fantasmagorico inizio anno. E tu Lié in balcone, sola,  tra la foschia e le ultime scintille di una stella filante davanti gli occhi. Quasi mi viene da dire te lo avevo detto. Cinque ore prima davanti agli occhi avevi un guazzabuglio di messaggi sul display del cellulare che ti domandavano dove fossi finita, che il duemilasedici sarà un anno indimenticabile e speciale come tutti gli anni precedenti, che in effetti sono stati sempre tutti estremamente indimenticabili, insomma un mucchio di parole inviate da un oggetto piccolo ad una così piccina mente dove l’unico pensiero che aleggiava, figlio unico a spasso nella materia grigia, (anche se tendenzialmente credo che la tua di materia sia più una mille colori), era non avere paura non resterai sola, non avere paura non resterai sola, non avere paura, non resterai sola. E allora sbrigati e non stare lì a sospirare. Jeans, reggiseno, rimmel e, lo specchio. No. No no no non ti guardare, non c’è bisogno, fallo fare a me, dai, io vado a memoria, su spazzolati i capelli e via , esci da qui, esci forza, esci ti ho detto. E invece. Ti sei immobilizzata. Davanti lo specchio. Una statua di sale. Ed io eccola lì. E dai, ti ho detto non guardarti nel riflesso, fai così, senti a me, rispondi ai messaggi, scrivi: arrivo, sono quasi pronta, vi raggiungo, ci vediamo lì, eccomi. Dai è facile, datti una mossa, con quelle dita piccole, forza, no no no no no , non ti guardare allo specchio. E noi eccoci qui. Vuoi rovinare tutto? E’ che. Ohi, te lo dico subito – Non mi va di starti a sentire ora. Sai non so se è più forte la tristezza che ci facciamo per come riusciamo a mascherarla, la tristezza. Parla per te. O se è più forte la paura che è tanto forte quanto il temer d’essere abbandonata, dimenticata. Mica ti capisco io a te, mi sono persa, sei complicata, hai capito! Zitta. Finisci di vestirti e filiamo. Mi dispiace. Ma da qui non ci muoviamo. Così, per una buona volta, impariamo a non avere più paura di stare sole. Senti, ti ho detto parla per te. Infatti parlo per me, e siccome parlo sul serio da adesso farai quello che dico io. Scriviamo così: ragazzi grazie, siete sempre gentilissimi con me, vi amo tutti, amo tutto il mondo e l’universo con le stelline vere che brillano in cielo, ma io ho deciso che me ne starò a casa, tranquilla tranquilla, non vi offendete vi prego, auguri a tutti! Ti odieranno e resterai sola. Naaa. Piuttosto mettiamoci un maglione, prendiamo la bottiglia dal frigo, il pacchetto di stelle filanti e andiamo a sederci in balcone. Come in balcone? da sola? Io non ho più paura di stare sola. Ma fa freddo e poi già da adesso? Mancano tre ore alla mezzanotte, accendi la radio, che ne so, prendi il cellulare per controllare l’ora. Prendiamo l’accendino per le stelline filanti, e il libro di Gogh lì sul tavolo, e la penna e il quadernino, non abbiamo bisogno d’altro, e poi non c’è da preoccuparsi, credo che ce ne accorgeremo quando scoccherà la mezza.

ALLORA? QUI STIAMO FESTEGGIANDO, VUOI SALIRE?
Di’ sì! Accetta cavolo! Shhh! 
NO, STO BENE QUI MA GRAZIE. E FELICE ANNO NUOVO!

365 giorni, Libroarbitrio

Lié, ti dici Lié “Moi Moi” Albin de la Simone & Emiliana Torrini

Lié Larousse

Ecco Lié, ti dici Lié. Il lago e le sue acque dolci apparenti inerti. Buio cielo con quella trama di luna che lo macchia di rossoarancio,  che impunita cola vernice d’astro notturno irrompendo di luce scarlatta tanta fermezza.

Ecco Lié, ti dici Lié. Quante volte hai desiderato questa calma dove sola morire accerchiata dal silenzio dei cigni che dormono coi lunghi colli intrecciati ai loro compagni?

E allora fai piano Lié, ti dici Lié, che nessuno s’accorga del tuo camminare verso la riva immobile sui ciottoli scalpiccianti.

Togli le scarpe Lié, ti dici Lié.

Ridono le labbra alla rotondità dei sassi al contatto con la pianta nuda dei piedi. Uno raccoglilo nella tasca del jeans. Quante volte di fronte al mare hai avuto di quel suo oscillare timore, delle sue onde che ti rigettavano sulla sua costa come a non volerti. Quante volte hai desiderato che al loro posto ci fossero le acque placide dei laghi?

E adesso eccone uno davanti ai tuoi occhi Lié, ti dici Lié.

Sì! E siamo solo tu ed io Lié, dico a Lié.

Inspiro forte l’odore dell’aria di mezzanotte: ha il sapore di pietre umide, del vento freddo dei monti del nord, di biscotto secco inzuppato nel vino del Trameno, di benzina persa dai serbatoi della barche nel porto attraccate, di papiro di lago, eppure.

No Lié, ti dici Lié, adesso che ci sei non pensarci.

Ma Lié, dico a Lié, io voglio assaporare il gusto del granello di sabbia rovente di mezzogiorno, del sale sciolto in acqua di mare, giocare con le conchiglie, far correre le dita tra le spighe del grano bruno, mangiare lo zucchero sul burro, impiastrarmi le dita coi colori. Io desidero…

Smettila Lié!, ti dici Lié. Non lo senti il lago che ti chiama? Non lo senti agitarsi dal suo fondo letto? Guarda anche la luna t’affianca combattiva stanotte, con la sua lingua di rosso più oscuro bagliore, dimmi l’hai mai vista così prima? Guardala t’indica il percorso stendendosi tappeto ai tuoi piedi.

Sì. Hai ragione Lié, dico a Lié.

– Ehi tu! Tutto bene? Con chi parli? S’avvicina la voce di un uomo.

– Sì tutto bene! Solo, ragionavo a voce alta.

Meglio sbrigarsi e tornare in albergo Lié, dico a Lié.

Sì meglio, tanto ormai non siamo più nemmeno sole. Le scarpe. Infila le scarpe Lié, ti dici Lié.

Bagnate le mie guance…

L.L.