Nella grande e antica città di Smeralda viveva un astrologo di nome Alcabizio.
Tale era la sua fama della sua bravura che re, mercanti e mendicanti
facevano la coda fuori dalla sua casa per consultarlo. Ma
non tutti i re e i mercanti ricevevano la stessa attenzione
che l’astrologo destinava ai mendicanti.
Nel silenzio della notte Alcabizio
scrutava il cielo e le stelle
per scoprirne i segreti.
Intanto di là del mare una ragazza lavorava in un supermarket.
Un taxista aspettava i clienti pensando alla prossima rata del mutuo da pagare.
Ragazzi guardavano un film di paura mangiando popcorn.
Due innamorati si baciavano al parco, masticando lo stesso chewing gum rosa.
Poliziotti vigilavano sul mondo, dopo aver bevuto un caffè lungo.
Quando la notte si faceva fonda e buia,
una fredda coperta di smog si posava sulla città silenziosa,
attraversata solo da gatti neri come la pece.
Poco prima dell’alba Alcabizio consultava gli astri delle torri di Smeralda.
E intanto cercava di capire da dove arrivasse quell’odore aspro e forte.
Di supermarket,
di taxi,
di mutuo da pagare,
di popcorn,
di chewing gum rosa,
di caffè,
di smog,
di gatti,
di pece,
che il mare portava di notte.
Tag: messa
“Dittico testamentario” di Lorenzo Migliorini & Lorenzo Farfarelli
Quanno moro
Quanno moro, vojo
esse seppellito in riva
ar mare,
vicino a no scojo,
pe famme consumà
la carne dar vento e dar sale.
Roso da li vermini
ne la terra nuda,
ignudo come quanno
so’ sortito dar ventre de mi madre.
Da vivo c’è sempre quarcuno
che te dice cosa fare,
da morto fateme fà
come me pare.
di Lorenzo Migliorini
Quanno che me moro fateme er favore,
tumulateme ‘n campagna, ar paese mio
lontano da Roma, lontano dar rumore
e teneteme a distanza pure da dio:
che mentre ‘sto lì inerme a fermentare
nun c’ho voja de sentì er prete fa la messa:
so’ ateo, nun ce credo a quer piagnucolare
la mia storia ‘n paradiso è compromessa.
Vojo ‘na funzione semplice e veloce
vojo li Black Sabbath a palla: Electric Funeral
e bira a galloni e canti viva voce
‘na cagnara da sentisse insino er Nepal.
E nun vojo musi lunghi o piagnistei,
che la morte è solo na’ trasformazione
che si ce pensate bene amici miei,
è l’antra faccia dell’umana condizione…
A trovamme ar cimitero nun venite ,
lasciateme ‘no spazio ner vostro core
e ner mentre che bevete l’acquavite
brinderete a Lollo vostro con amore.
Ricordateve ‘nfine n’urtima lezione,
che la morte nun è dura pe’ chi è morto
perché dell’uman dolore è l’estinzione:
è pe’ chi resta che è dolor e sconforto.
Io ner mentre scoprirò er grande mistero,
cor soriso j’andrò ‘ncontro serenamente,
spero solo, ovunque vada su ner cielo
che ce sarà bira, vino e uischi sufficiente.
Er tempo ‘ntanto m’avrà mutato,
e io sarò arbero, sarò erba, sarò ‘n fiore,
sarò ‘n lago, sarò der lupo l’ululato
sarò er silenzio fra ‘n battito de core.
di Lorenzo Farfarelli
“La Casa di Dio” Henrik Nordbrandt
“Avevo afferrato un lembo di Dio nel vuoto
ma la mia mano scivolò”
Matteo 9,20
<<Ana ‘al haqq>>, dicono i sufi:
<<Io sono Dio>>. E questo
è per loro il massimo riconoscimento,
perché Dio creò il Mondo
come un mondo di specchi
nel quale ammirare la propria bellezza.
Quando lo vedo consegnare
una delle sue solite spiritosaggini
in forma di <<News Week>>,
una vedova che fruga nei secchi della spazzatura
in cerca di qualcosa di commestibile
o un gattino
che i bambini di sei anni del paese
hanno abbandonato alla morte per inedia,
mi convinco che
Dio è un umorista, non un esteta.
E quando rido, la casa ride
dieci volte più forte
e continua a lungo dopo che io ho smesso.
Sei proprio una canaglia, Dio.
Rimani quello che sei.
“Molti passi” Tomas Transtromer
Si posero le icone nella terra rivolte in su
e la terra fu calpestata
da ruote e scarpe, da mille passi,
dai passi pesanti di diecimila scettici.
In sogno scesi in un fosforescente bacino sotterraneo,
una messa fluttuante.
Che forte nostalgia! Che speranza idiota!
E su di me il calpestio di milioni di scettici.
tratto da “Poesia del Silenzio”
dell’oratore
“Il Sogno” Emilio Zola
La via dormiva ancora, impigrita dalla festa del giorno innanzi. Rintoccarono le sei. Nelle tenebre inazzurrate dal lento e ostinato cadere dei fiocchi, non c’era altro di vivo che una forma indistinta: una fanciulletta di nove anni, che rifugiatasi nella strombatura del portale, vi aveva trascorso la notte a tremare dal freddo, riparandosi alla meno peggio. Era vestita di stracci, con la testa avvolta in un lembo di scialle e i piedini ignudi dentro un grosso paio di scarpe da uomo. Indubbiamente, si era fermata in quel posto solo dopo aver vagato a lungo per la città, che vi era caduta stremata dalla stanchezza. Aveva la sensazione di essere giunta in capo al mondo: più nessuno e più nulla, l’estremo abbandono, la fame che rode, il freddo che uccide; e nella sua debolezza, soffocata dal greve fondo del cuore, ella desisteva da ogni lotta; non le rimaneva che la repulsa fisica, l’istinto di mutar di posto, di rannicchiarsi tra quelle vecchie pietre ogniqualvolta una nuova raffica faceva vorticare la neve.
Una dietro l’altra le ore passavano.
Per un pezzo la bimba era rimasta appoggiata, tra il doppio battente dei due vani gemelli, contro la spalletta, il cui pilastro regge una statua di sant’Agnese, la martire tredicenne, bimba al pari di lei, con un ramo di palma in mano e un agnello ai piedi . E nel timpano, sopra l’architrave, si svolge in altorilievo, con candida fede, tutta la leggenda della vergine fanciulla, fidanzata di Gesù: la volta che i capelli le si allungarono e la rivestirono tutta, quando il governatore, di cui ella rifiutava il figlio, la mandò ignuda in una casa infame; e quando le fiamme del rogo, scostandosi dalle membra di lei, arsero i carnefici non appena ebbero appiccato il fuoco alla legna.(…)
A sommo il timpano, poi, in una apoteosi, Agnese viene finalmente accolta in cielo, dove il suo fidanzato Gesù la sposa, giovane e piccina com’è, dandole il bacio delle eterne delizie.
“Impermeabile ed indelebile ’15” L.L.
Pur oggi
per quanto io voglia regalarti rabbia
ho impiastricciato le mie mani
per donarti la più buona delle torte
così che il tuo altezzoso cuore possa
per il tempo di un morso addolcirsi
e far apparire un incredulo sorriso
sul tuo volto costantemente oscuro.
So che il mio amarti
t’è impermeabile
come questo lunedì
che presto scivolerà nella sera
e sarà buio
e subito notte
e già domani.
So che il tuo amarmi
m’è indelebile
ricercarlo nel ricordo
che è lo scorso di lunedì
martedì l’altro
il mercoledì prima
giovedì venerdì sabato di musiche psichedeliche sparate acide nel cervello e tu a guardarmi da sotto
e la domenica senza Signore e poi di nuovo lunedì come questo da rivivere
in un passato che mi catapulta in questo presente che non so vivere
perché non lo conosco
perché non so neanche come i miei piedi mi ci abbiano portata fin qui
in questa casa
in questa vita
con questi capelli e occhi
tuttavia il ricordo
torta
candeline
un nebuloso sorriso
che resterà in questo mio mondo
chiunque io sia pur provando a non essere
chiunque io faccia finta di essere
chiunque io voglia essere
e alla fine di questa maledetta corsa incappare in una me identica a te
con la stessa rabbia nel cuore
la stessa ferocia nelle mani applaudenti
e tu resterai sempre tu
ne sono certa
pur oggi
che desidero plasmarmi diversa da te
e invece sono tua copia imperfetta
con la più illusoria dell’idea di cosa sia l’amore
e allora dirò incessantemente sì
sì ancora
alle mia speranza
pur oggi
più vana di ieri.
Auguri Padre.
L.L.
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