365 giorni, Libroarbitrio

L’ipotesi del classicismo

Roma 8 aprile 2013

Il Foscolo, il Leopardi e il Carducci in una tradizione che è insieme riflessione e coscienza di tecnica letteraria e di interesse di poeti e scrittori, videro il Chiabrera e il Testi come creatori di quelle novità di stile, di linguaggio e di forme metriche  che la letteratura italiana doveva continuare nel Settecento e, in un certo modo, sino alla loro poesia stessa.

Il classicismo, il nome cioè e la categoria sotto la quale si raccolgono questi due autori, è stato una ricerca, più inquieta nelle forme che non nello spirito, di strutture nuove e corrispondentemente di temi, se non sempre di sentimenti e di contenuti nuovi.

Il Chiabrera, ammirato dal Marino, viene ricordato con riconoscente esaltazione dal Testi nell’avvertenza alle sue poesie come “il primo a correre questo arringo della pindarica imitazione, riportandone plauso sempre grandissimo, ma non mai maggiore del merito”.

La posizione di questi due scrittori  rispetto al mondo classico, pur diversa dal Marino, non è più quella umanistica né quella rinascimentale: le grandi letterature moderne  si equiparano  a quelle classiche  e quella italiana si colloca in una rete di relazioni e di sollecitazioni con gli stranieri contemporanei  e con gli antichi.

A domani

LL

 

Testo di lettura
La letteratura italiana, Il Seicento
Editore: Iniziative Speciali De Agostini

365 giorni, Libroarbitrio

La lirica concettistica

Roma 4 aprile 2013

Il Costanzo e il Tansillo vanno formando una nuova tendenza, a metà Cinquecento, rompendo l’ordine dell’esemplare autobiografia platonizzante, e il Tasso con consapevolezza pratica rifiuta il petrarchismo non più perseguibile come un modello  uguale e continuo per ogni autore, ciò significa che il linguaggio usato non scompare del tutto ma viene diffuso prendendo le distanze come solo stile utile.

La lunga tradizione del teatro pastorale, conclusasi in due opere affini ed entrambe tipiche e stimolanti, l’Aminta e il Pastor fido,  e il diffondersi contemporaneo dei versi per musica entrano non solo direttamente, ma anche indirettamente nella poesia.

La lirica del Seicento non si muove perciò dal Petrarca o dai petrarchisti , ma dalla mediazione del Tasso e della pastorale.

Alcuni scrittori, invece,  convergono nella linea di svolgimento indipendente del Marino, come per esempio Cesare Rinaldi. L’impeto del suo sonetto che si muove verso una conclusione più che non verso un culmine ingegnoso e improvviso lo trattiene al di fuori di una vera e propria scelta concettistica .

Altro esempio è Guido Casoni che con la sua opera “Il teatro poetico” merita le lodi dal Marino. La sua poesia sfrutta, per ottenere effetti musicali, il congegnato intreccio delle antitesi che si svolgono una dall’altra e giustificano e animano il ritmo enumerativo.

Il Marino interviene con la sua soluzione personale per incalzare e risolvere in una forma di sapiente e fluida letteratura quelle che sono le istanze di una cultura che raffina su se stessa, che moltiplica le forme, fiera di una tecnica che si trova in essa e si manifesta.

Tuttavia il legame che coinvolge il Tasso e il Marino porterà ad incontri benevoli instaurando  rapporti artistico sociali costruttivi e positivi solo apparentemente.

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

Giovan Battista Marino

Roma 2 aprile 2013

“Cominciarono le mie sventure quasi nel principio della mia vita da colui che m’aveva data la vita, ch’in ciò solo il riconobbi per padre: mi disgraziò, mi discacciò, mi perseguitò”

Giovan Battista Marino nasce a Napoli nel 1569.

Fin dalla tenera età si senti oppresso e perseguitato dal volere del padre che lo avviò ben presto agli studi di legge sperando nell’abbandono delle sue “inclinazioni letterarie”.

Dal 1596 entrò come segretario al servizio di Don Matteo di Capua, principe di Conca. Qui trova la prima misura della sua possibilità di inserirsi con un margine di estro calcolato nella vita sociale.

Dal 1602 al 1606 visse a Roma al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di clemente VIII. La fama di letterato abile e virtuoso nel maneggio di una penna che poteva e voleva assecondare i gusti dei protettori, lo accompagnava sin dalla sua giovinezza.

A Napoli e soprattutto a Roma frequentava gli artisti , ammirava quadri e statue, vagheggiava già una grande sua collezione e sempre più si abituava a sentire l’arte come un aspetto e un mezzo di prestigio e di potenza.

Dal 1608 al 1615 visse a torino, presso la corte di Carlo Emanuele I di Savoia. Fu un periodo di lotte, tribolazioni,  di polemiche e di successi. Durante questo soggiorno il Marino aspirò al posto di segretario del duca, inoltre,  si poneva in un rapporto disinvolto e in qualche modo personale con l’ambiente aristocratico e di corte. La sua devozione e la sua servitù volevano essere quelle di un suddito ma  la sua indipendenza di parole, se non di fatti, la propensione alla beffa insospettirono il duca che lo tenne in prigione per più di un anno.

Nel 1615, accettando l’invito di Maria de’ Medici, vedova di Enrico IV, come tanti altri Italiani andò a Parigi. Qui fu onorato, pagato e stimato.

La corte si configura sempre più nettamente per il Marino come un’occasione di fortuna e di avventura, quasi una riserva di prestigio e insieme uno spazio per l’arte.

Il problema e il tema del potere che caratterizza molte opere seicentesche non interessano né turbano la vita intellettuale del Marino.

Pubblicò La Galeria, La Sampogna, e proprio a Parigi nel 1623 L’Adone. Quest’ultima opera subì forti opposizioni soprattutto in ambiente ecclesiastico.

Nel 1625 muore a Napoli sfiancato dalle polemiche contro la sua poesia.

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

Poesia Seicentesca

Roma 1 aprile 2013

Le categorie assolute che interpretano tutto il presunto spirito di un’epoca sono sempre ingannevoli e, nella migliore delle ipotesi, possono tutt’al più definire e descrivere soltanto alcune forme di linguaggio, non la concreta opera né la singola personalità e nemmeno le precise tendenze storiche. Per la lirica, cioè per quel genere nel quale le forme letterarie hanno avuto un valore in un certo modo preminente e autonomo, spesso astratto se non vuoto, occorre precisare e stabilire alcune caratteristiche comuni di linguaggio. La linea che passa, pur modificandosi, attraverso il primo ed il secondo Seicento e attraverso la stessa contrapposizione di marinismo e di antimarinismo è quella del  concettismo, cioè di un sistema, di una combinazione, di un metodo di rapporti metaforici.

Non tutti gli scrittori del Seicento la seguono, ma tutti, e in particolar modo quelli che scrivono in versi, si pongono dinnanzi a questo problema.

Il concettismo è certo una componente nella quale non si risolve  tutta la lirica del Seicento e nondimeno questo riferimento, piuttosto che non un’analogia di valori culturali e morali, può, se non unire, avvicinare alcuni autori pure distinti come il Marino  e il Chiabrera.

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

Moderno o Classico?

Roma 6 marzo 2013

Tassoni e la critica antipetrarchistica

In Italia a partire dal secolo XVI iniziano a svilupparsi movimenti letterari con la questione aperta sulla validità di un proseguimento letterario basato sulla modernità o sulla classicità. Dopo le esperienze letterarie di Bembo e Castiglione, nel 1542 Speroni pubblica il  Dialogo delle lingue, in cui esalta la forza della lingua volgare rispetto al latino, a seguire nel 1620  Alessandro Tassoni scrive il  Paragone degli ingegni antichi e moderni, una minuziosa opera di indagine comparativa in ogni campo dell’arte  e del sapere. Tuttavia il Tassoni si dedicherà alla revisione del culto rinascimentale del Petrarca.

Le tassoniane  Considerazioni del Petrarca sono non solo un commento al Canzoniere  e ai Trionfi ma un’opera anch’essa di a spiegare le novità del suo atteggiamento polemico verso il poeta trecentesco con la singolarità delle circostanze che il suo lavoro hanno accompagnato.

Le Considerazioni sono una netta presa di posizione per un ridimensionamento della poesia del passato, un esercizio critico ma insieme una polemica di gusto. Non è un’interpretazione a posteriori, nata dagli elogi degli innovatori, per primo il Marino, che utilizzano la critica tassoniana per la loro battaglia in favore della poesia nuova; è interpretazione presente nel Tassoni stesso, anzi subito esibita nella prefazione : egli nel condurre spregiudicatamente la sua critica ai difetti del Poeta di Laura, vuole combattere

una stitichezza, per così dire, d’una mano do 

zucche secche e che non voglion che sia lecito dir

cosa non detta da lui, né diversamente da quello

ch’egli disse, né che pur fra tante sue rime,

alcuna ve n’abbia che si possa dir meglio. Come

se gli umani ingegni, in cambio di andar

perfezionando e loro stessi e le cose trovate, ogni

di più si annebbiassero e fosse da seguitare la

sacciutezza di certi barbassori che, auggiando gli

usi moderni, vestono tuttavia colle berrette a taglia

e le falde del saio fino al ginocchio.

A domani

LL