365 giorni, Libroarbitrio

RUMORI AL PIANO DI SOPRA – Gianluca Pavia

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Odio restare solo
con i miei pensieri,
non hanno un dolce suono
ma il cigolio sinistro
di associazioni mentali
a delinquere.
Il terapista dice
che dovrei amarmi
di più,
che tutto si basa
sull’amore,
quel fottuto latitante
senza identikit.
Bastarsi da solo
non è sufficiente
– dice –
cucinarsi
pagare le bollette
pulirsi il culo,
non è tutto.
Ognuno ha bisogno
di condividere
di sentimenti
ed emozioni
– dice –
altrimenti si uccide l’anima.
Un po’ come guardare la tv,
penso,
o sgranare rosari
o fare carriera.
Non ha tutti i torti,
forse,
e resto sveglio
a pensarci su
mentre al piano di sopra,
nella testa,
riparte il tramestio.

Gianluca Pavia
DuediRipicca
#JREA

365 giorni, Libroarbitrio

“Tarantula” Bob Dylan

Roma 3 aprile 2014

Bob Dylan

mi spieghi questo fatto, dott.
blorgus: il fatto è questo: bisogna
essere disposti a morire per
la libertà (fine del fatto) ora, quello
che voglio sapere  del fatto è questo: è possibile
che l’abbia detto hitler? de gaulle? pinocchio?
lincoln? agnes moorehead? goldwater?barbablù?
il pirata? robert e. lee? eisenhower?
groucho smith? teddy kennedy? il generale franco?
custer? è pensabile che sia stato jose melis
a dirlo? forse donald o’connor?
si dà il caso che io faccia il custode in biblioteca,
quindi la prego di delucidarmi un po’ sulla faccenda.
la ringrazio…a proposito, se non mi darà
risposta entro il prossimo martedì,
darò per certo che le suddette
persone siano in realtà tutte la
stessa persona…arrivederci, devo staccare
una foto di lady godiva perché gli
studenti psichiatrici tra un’ora verranno a fare
un giro turistico…

rispettosi saluti,
Braccio di Ferro l’Agitato

A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Dino Campana un destino particolare lungo un giorno

Roma 2 ottobre 2013

Dino Campana

Singolare destino, quello di Dino Campana.

In vita non ha ricevuto alcun riconoscimento, e oggi è uno dei poeti più amati.

Ignorato o tollerato da quasi tutti i critici da vivo, e ora considerato straordinariamente  moderno.

Reazioni forse comprensibili per un poeta che sfugge a ogni classificazione, ma che, se non appartenne alla sua epoca, non può interamente appartenere alla nostra.

Anche la ricostruzione dei reali eventi della sua vita presenta lacune, a volte colmate con dicerie, o tesi fantasiose, o peggio.

E’ il caso della biografia dello psichiatra  Carlo Pariani (pubblicata nel 1938), che fu suo medico nel manicomio di Castel Pulci.

A Sergio Zavoli (Campana, Oriani, Panzini, Serra, 1959) e a Sebastiano Vassalli (La notte della cometa, 1984) dobbiamo due importanti volumi che cercano di raccontare la verità.

Dino Campana nasce il 20 agosto 1885 a Marradi, in provincia di Firenze.

Il padre è maestro elementare, la madre casalinga.

Dopo il ginnasio, frequentato il collegio a Faenza, Dino torna in famiglia, ma la convivenza con la madre è fonte di continue tensioni.

Termina il liceo in un nuovo collegio, a Torino, si iscrive alla facoltà di Scienze dell’università di Bologna, e infine entra nell’Accademia militare di Modena.

L’esperienza militare dura soltanto dal 4 gennaio al 4 agosto 1904 perché non supera gli esami al grado di sergente.

Si trasferisce all’università di Firenze e si iscrive alla facoltà di Chimica farmaceutica.

Non riesce a studiare, torna a Marradi, di nuovo a Bologna e poi comincia a fuggire: in Italia, all’estero.

Il 7 agosto 1906 i gendarmi francesi lo riconsegnano a quelli italiani.

Il 5 settembre il pretore di Marradi, su richiesta del padre e di altri, ne ordina il ricovero nel manicomio di Imola.

Il padre ci ripensa: il 31 ottobre firma un atto di responsabilità e lo libera, ma ormai per tutti è “il matto”.

Ricomincia a vagare nelle campagne, si ferma dove capita, eccede nel bere.

I ricoveri in manicomio si alternano ai viaggi, ed è difficile seguire tutti i suoi spostamenti.

A Genova si imbarca per Buenos Aires.

Non si sa con certezza quanto tempo si fermi in Argentina.

Nell’estate 1910 è di nuovo a Marradi, riprende a vagabondare in Italia e all’estero.

Nel 1911 partecipa a un concorso per l’abilitazione all’insegnamento di una lingua straniera a Firenze, ma viene bocciato.

Si riscrive all’università, a Bologna.

Poi ricomincia la fuga: a Genova, a Bologna, a Berna, passando dall’essere imprigionato all’essere cacciato via.

In una lettera a Emilio Cecchi nel 1916 scrive : “Allora fuggii sui monti, sempre bestialmente perseguitato e insultato, e in qualche mese scrissi i Canti Orfici includendo cose già fatte. Doveva essere la giustificazione della mia vita, perché io ero fuori dalla legge”.

All’inizio di dicembre 1913 consegna a Papini il manoscritto Il più lungo giorno.

Papini  lo dà a Soffici per un parere. Soffici lo smarrisce: verrà ritrovato soltanto nel 1971.

Nel frattempo, dopo aver minacciato Papini di farsi giustizia “con un buon coltello” se non gli avesse restituito le sue poesie, Campana le riscrive , a memoria, le intitola nuovamente Canti Orfici e le stampa a proprie spese nel 1914.

Nell’estate  dell’anno successivo viene ricoverato  e curato per una nefrite, ma i sintomi sono quelli della sifilide, mai curata: una malattia che spiega la sua deriva fisica e mentale.

Tra il 1916 e il 1917 vive il suo primo e unico amore, con Sibilla Aleramo.

Un rapporto difficile e tormentato, e in seguito molto romanzato.

Il 12 gennaio 1918 è ricoverato per l’ultima volta: prima nel manicomio di San Salvi, poi nel cronicario di Castel Pulci, dove muore il 1° marzo 1932.

Nel 1916 aveva scritto a Cecchi: ” Se vivo o morto lei si occuperà ancora di me, la prego di non dimenticare le ultime parole The were all torn and cover’ d with the boy’s blood che sono le uniche importanti del libro”.

La citazione, da Whitman, è l’epigrafe dei Canti Orfici: “Essi erano tutti stracciati e coperti con il sangue del fanciullo”.

Un grido di verità, forse una richiesta di giustizia.

A domani

LL

 

Spunto di lettura:
Poesia,mensile internazionale di cultura poetica
Articolo scritto da Angela Urbano