365 giorni, Libroarbitrio

“Dittico testamentario” di Lorenzo Migliorini & Lorenzo Farfarelli

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Quanno moro

 Quanno moro, vojo

esse seppellito in riva

ar mare,

vicino a no scojo,

pe famme consumà

la carne dar vento e dar sale.

Roso da li vermini

ne la terra nuda,

ignudo come quanno

so’ sortito dar ventre de mi madre.

Da vivo c’è sempre quarcuno

che te dice cosa fare,

da morto fateme fà

come me pare.

di Lorenzo Migliorini

antonio-mora- uomini
Er testamento de Lollo

Quanno che me moro fateme er favore,

tumulateme ‘n campagna, ar paese mio

lontano da Roma, lontano dar rumore

e teneteme a distanza pure da dio:

che mentre ‘sto lì inerme a fermentare

nun c’ho voja de sentì er prete fa la messa:

so’ ateo, nun ce credo a quer piagnucolare

la mia storia ‘n paradiso è compromessa.

Vojo ‘na funzione semplice e veloce

vojo li Black Sabbath a palla: Electric Funeral

e bira a galloni e canti viva voce

‘na cagnara da sentisse insino er Nepal.

E nun vojo musi lunghi o piagnistei,

che la morte è solo na’ trasformazione

che si ce pensate bene amici miei,

è l’antra faccia dell’umana condizione…

A trovamme ar cimitero nun venite ,

lasciateme ‘no spazio ner vostro core

e ner mentre che bevete l’acquavite

brinderete a Lollo vostro con amore.

Ricordateve ‘nfine n’urtima lezione,

che la morte nun è dura pe’ chi è morto

perché dell’uman dolore è l’estinzione:

è pe’ chi resta che è dolor e sconforto.

Io ner mentre scoprirò er grande mistero,

cor soriso j’andrò ‘ncontro serenamente,

spero solo, ovunque vada su ner cielo

che ce sarà  bira, vino e uischi sufficiente.

Er tempo ‘ntanto m’avrà mutato,

e io sarò arbero, sarò erba, sarò ‘n fiore,

sarò ‘n lago, sarò der lupo l’ululato

sarò er silenzio fra ‘n battito de core.

di Lorenzo Farfarelli 

365 giorni, Libroarbitrio, Pubblicazioni

ROVESCIO Street Fest – Estate Urbana – Street Art Poetry Music

Rovescio locandina

​ROVESCIO Street Fest
04.07.2015
Estate Urbana

dal 05.07.2015 al 02.08.2015

Scoprire. Appassionare. Sperimentare. Approfondire.
La street art tra Garbatella, Ostiense e Testaccio

Perché la metafisica dello scorrere del tempo nelle mani della Street art cessa di seguire le regole della storiografia attraverso i colori che intarsia nella creazione di forme e ferme immagini, così la Street poetry col potere trasfigurante della parola trascina quest’opera monumentale in un eterno presente con l’incontro poetico ritrattistico del linguaggio evocativo, di storie e personaggi, dando voce ai Murales in un’atmosfera sospesa tra il reale complesso delle relazioni umane e le ipocrisie della vita quotidiana, il tutto perché nulla svanisca nel domani.
L.L.

Nell’ambito dell’ESTATE ROMANA 2015, Rovescio propone la manifestazione Estate Urbana, un’occasione di approfondimento sulle arti urbane della capitale che si protrarrà per tutto luglio e i primi giorni di agosto. 5 domeniche, 5 tour speciali, 5 momenti in cui le guide esperte dell’associazione accompagneranno curiosi e appassionati tra le opere di street art di Garbatella, Ostiense e Testaccio. Ad aprire la rassegna la giornata evento del ROVESCIO Street Fest, un viaggio originale tra le diverse declinazioni dell’arte di strada: musica, street art, recitazione e poesia. Saranno presenti in questa occasione artisti affermati ed emergenti tra cui la brass band dei Pink Puffers e gli street artist Diamond e Solo. Inserita nella programmazione dell’ESTATE ROMANA 2015, la manifestazione Estate Urbana è realizzata con il sostegno di Roma Capitale in collaborazione con la Siae.

L’iniziativa avrà inizio con la giornata evento ROVESCIO Street Fest il giorno 4 luglio 2015 e continuerà nelle settimane successive con degli street art tour speciali dell’Estate Urbana previsti per le domeniche dal 5 luglio al 2 agosto 2015.

ROVESCIO Street Fest

Per lo Street Fest di apertura che si svolgerà il 4 luglio 2015, Rovescio ha ideato un’originale parata gratuita che coinvolgerà alcune delle aree più prolifiche e ancora poco valorizzate in ambito di street art. Appuntamento alle 16:30 nel parcheggio nei pressi della stazione metro Garbatella che costeggia il ponte Settimia Spizzichino: il corteo si snoderà attraverso le strade del quartiere post-industriale Ostiense fino al raggiungimento del rione Testaccio, presso la CAE – Città dell’Altra Economia, per dare ai partecipanti la possibilità, durante il percorso, di ammirare e stabilire un primo contatto diretto con la street art.

L’insolita passeggiata sarà accompagnata da guide d’eccezione, i giovani performer del Duodepassaggio, che suggeriranno un’interpretazione unica di alcune delle opere incontrate nell’itinerario: tramite lo spettacolo della recitazione di alcuni pezzi di street poetry sarà possibile apprezzare con occhi diversi la ricchezza dell’arte urbana capitolina. I versi sono stati scritti appositamente dai poeti Gianluca Pavia, Lollo, Loris Giorgi e il giovane Flavio Mattei.

In testa al corteo i Pink Puffers, una banda itinerante di ottoni, saranno protagonisti musicali in alcuni dei tratti del percorso. Questa street band, composta da giovani artisti romani, renderà il corteo una vera e propria parata, capace di richiamare l’attenzione dei passanti e riempire di colori sinfonici anche i momenti di passaggio tra un’opera e l’altra.

La parata si concluderà all’interno del complesso della Città dell’Altra Economia di Testaccio, in cui avrà luogo la parte dell’evento dedicata alla scoperta del processo di realizzazione di un’opera e alla sperimentazione in prima persona. Per questo saranno allestiti diverse tipologie di spazi, riservati a distinte attività. In una di queste zone si affiancheranno alcuni artisti impegnati in una performance di live painting ciascuno su un’istallazione dedicata. Protagonisti di questo momento saranno gli street artist Diamond e Solo. Un altro spazio, invece, sarà destinato a un laboratorio per il pubblico che, guidato da un esperto, il pittore Alessandro Calizza, potrà sperimentare i materiali e le tecniche propri della street art.

Estate Urbana

Il ROVESCIO Street Fest spalancherà le porte ad un sussegursi di appuntamenti domenicali, l’Estate Urbana vera e propria, nei quali sarà possibile effettuare dei tour speciali, con percorsi diversi da quelli ordinariamente realizzati dalle guide dell’associazione. Questi tour a piedi partiranno dal ponte Settimia Spizzichino di Garbatella e si concentrano nelle zone di Testaccio e Ostiense, con una durata di circa 2 ore.

Quelli attenti lo avevano intuito.
Sta per succedere.
Tu che fai non vieni?
Guarda l’orologio, manca poco ma non sei in ritardo!

http://www.rovescio.org
Percorsi contemporanei
Forme d’arte nuove ed originali a Roma
Street Art Tour

365 giorni, Libroarbitrio

“Er puggile sonato” Lollo

Giovanni-Segantini-L-ultima-fatica-del-giorno

Era stato a’n pugno esatto dalla gloria

a solo ‘n passo dar diventà er campione:

co’ l’avversario ormai ito ‘n confusione

sur ring danzava già gustanno la vittoria.

Ma quanno che c’hai troppa confidenza

è lì ch’er diavolo t’aspetta come n’amante:

er rivale che partì disperato co’n montante

e pe’ culo je corpì er mento de potenza.

Fu cappaò brutto, cadde a terra come morto

e quer botto je segnò pe’ sempre la cariera,

nun s’ariprese più: nun ce fu modo né maniera

se diede ar clandestino: de sordi stava a corto.

Quante botte prese: troppe, pe’ ‘n’unico marpione,

insino a che divenne mezzo sciroccato

fu chiamato lo scemo der rione: lo sbroccato,

e nessuno più s’aricordò de quer campione.

E borbottando pe’ li vicoli, solitario s’aggirava

perso ner passato come ‘na mosca nella giada

li rigazzini  lo piaveno a serciate pe’ la strada,

ma lui nun li sentiva: in se stesso camminava.

Lavorava come ‘n pazzo come manovale,

senza fa ‘n fiato: ‘n culo come ‘n secchio

a sera ‘n casa faceva er vuoto fronte specchio

sognandose quer ring, co’n fottuttissimo rivale.

Fu ‘na vorta ‘n strada: s’allenava a dà cazzotti

che se dimenticò der monno e venne circondato

da ‘n gruppo de coatti, branco losco e malandato:

tutti contro uno, quei balordi così s’erano ridotti.

“Ah ecco er puggile sonato!!” urlavano sguaiati

tutt’intorno a quer poraccio ridendo come pazzi,

lui sei li guardava: nun capiva quei schiamazzi,

poi un coatto uscì dar cerchio: de quelli palestrati.

Se mise ‘n guardia cor soriso fra li denti

grosso come n’cristo gustanno già er pestaggio,

er puggile sonato se squadrava quer servaggio

insino che ‘ntese ‘n gong che lo mise sull’attenti!

Era stato uno dei coatti a corpì er palo della luce

pe fa’ lo scherzo come de n’inizio de n’incontro

nun sapeva d’avè dato er via a quello scontro

riportanno quer diavolo ar passato: quello truce.

Er pubblico all’intorno, er sono de campana:

er mec era iniziato, se fece serio, concentrato

nun avrebbe perso n’antra vorta, assicurato,

già studiava er suo rivale co’ carma disumana.

Er coatto se fece avanti senza n’attenzione,

pensando de combatte con misero micetto,

nun aveva ancora afferato quer concetto:

che avevan tramutato er micio in un leone.

Tranquillo er coatto partì de dritto, senza slancio

er pugile sonato già lo vide ‘n lontananza:

uscì da quell’attacco con massima eleganza

tronco verso er basso, ‘ncrociò partì de gancio.

Fu na bomba in piena faccia: ‘na mina…

se sentì ‘no schiocco de mascella

er coatto se sciolse come ‘na frittella,

e cadde a terra, stecchito dalla crina.

Er coattume, basito più nun se moveva

er puggile cadde in ginocchio braccia ar celo

aveva vinto quell’incontro co’n gran zelo

rimasero in silenzio, nessuno più rideva.

Ar processo ar poro puggile je diedero ‘na venti

ma lui manco ce badava: oramai era partito

la fece franca ‘nvece er gruppo de coatti inebedito

e furon dichiarati tutti  innocenti…

…che in questo monno Giustizia è rara mercanzia

e purtroppo esse ‘n gruppo de dementi nun è reato

nun se po’ giudica  er tasso de idiozia

antrimenti mezzo monno anderebbe carcerato.

365 giorni, Libroarbitrio

“Domenica de derby” di Lollo

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Davanti ‘no specchio: sguardo cattivo,

e muscolo scorpito: mejo de’n divo

corpo tatuato senza arcuna eleganza,

riccontavano la storia della sua militanza.

e ‘n testa la scena de Robert De Niro:

You Talking To Me?, Maledetto bastardo?

te levo dar monno te torgo er respiro!”

sera de derby e de botte: senza riguardo.

De fronte lo stadio coi fratelli tifosi,

torvi come li corvi, brutti e astiosi,

canne rollate e bira a secchiate

sputi pe’ tera e spranghe ‘mbertate.

E drento lo stadio la squadra tifava

co’ n’unica voce er coro s’arzava,

e mentre a quer flusso se univa ‘nvasato

se sentiva più vivo se sentiva rinato!

Armeno quer giorno era lui er cattivo,

e nun penzava più alla sua vita spezzata,

alla moje arcolista e alla fija malata,

ar lavoro perso senza ‘n vero motivo,

alla fine der mese sempre rosso sparato,

allo strozzino cor quale s’era già ‘ndebitato:

c’erano solo la squadra er coro ancestrale

e de fronte l’opposta fazione: er vero rivale.

Ma odio e rabbia so come foco cor vento:

fu un rigore avversario a decretare er momento

ce fu granne silenzio dopo quer goal rigalato:

tutto lo stadio guardava, trannenennose er fiato.

Ma fu solo un seconno de energia trattenuta,

poi er boato avversario esplose esartato,

er tifoso, ‘n mezzo ai fratelli, urlava ‘ncazzato:

Maledetti bastardi ‘sta partita è vennuta!”

E da perdente se trasformò in condottiero,

indicò gli avversari che urlavano ‘nsurti

caricò come si fosse n’antico gueriero

dietro de lui i fratelli tifosi, tra grida e sussurti.

e se ‘ncotrorno ‘n mezzo li sparti, in un botto:

le opposte fazioni co li vorti de odio distorti,

carci, pugnii e testate: quarche naso fu rotto

e poi spuntaron cortelli: a sfidare le sorti.

Ar tifoso nell’occhio, ‘n velo roscio era sceso

sbuffava, lottava e quarche grugno spaccava

senza più squadre, senza più santi menava

e stava da iddio: bene come mai s’era ‘nteso.

Fu ‘na sensazione de gelo a spezzà quell’incanto

n dolore sordo e ‘mprovviso, mai prima sentito

se mise le mano sur ventre restanno basito

le vide de rosso macchiate, cristo iddio santo.

S’aritrovò ‘n gionocchio: sguardo de dolore velato,

n mezzo a ‘na battajia che già lo aveva scordato

bocca spalancata, un grido perso in quer fragore

cadde de fianco, artijo proteso verso er Creatore.

E cominciò piano a fluttuare verso l’arto,

vedennose steso ‘n posizzione fetale

e er sangue suo che scoreva sullo sparto

je sembrava come ‘n cordone ombelicale

che lo aveva nutrito de odio e frustazione

rendenno er tifo pe’ ‘na squadra religgione,

ebbe appena er tempo pe’ rammaricasse,

d’avè buttato la vita pe’ quei fottui fuoriclasse.

E continuava a salire verso l’arto, leggero,

insino a che l’ommini diventorno sassolini

li vedeva movese, scontrasse: come boccini

e nun ne capiva più er senso in su ner cielo.

E salendo ner buio frale stelle, ammirato se sorprese:

dallo spazio se spizzava i continenti, er blu der mare

se sentiva leggero in questo suo trasumanare

cor penziero se congedò dalla famiglia e infin s’arese.

S’aritrovò ner voto dello spazio siderale,

er terore fu l’urtimo umano sentimento,

nun c’era nulla: manco er nulla ad aiutare

e poi divenne solo ‘na scintilla ‘n movimento.

 

365 giorni, Libroarbitrio

“Er Natale de un Babbo” scritto da Lollo & illustrato da Enrico Riposati

 

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Er ventiquattro, ‘na città piena de luci

tratteneva er fiato aspettanno er redentore,

regazzini a festa pieni de gioia e de fervore

pe’ na serata de magnate e piatti truci.

 

Se svejò de botto in un brutto vicoletto,

n’occhio nero er sangue sur petto,

no strano alone sur cavallo dei carzoni

pure ‘n sorcio lo guardava da ‘n cantone

co’ n’aria schifata, de disapprovazione…

 

Arzasse ‘n piedi fu un tripudio de dolori,

finta barba de lato e beretto rosso rincarcato,

e strambi ricordi: de fumo e bicchierate de liquori,

nun je riccontavano dove diavolo era stato,

solo i carci ricordava, de’ n’infame buttafori.
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Se fece forza butannose pe’ strada,

a vedè l’ora fra poco doveva riattacare,

arrivò davanti ar centro commerciale

pieno de festoni e famije alla sfilata:

 

er principale l’aspettava lì all’entrata,

quanno lo vide co’ n’arai assai schifata

je fece “Fatte ‘na doccia e cambiete er costume,

che puzzi e fai schifo sei pieno de lordume!”
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S’aritrovò da Babbo Natale arivestito,

su un trono, circondato da balocchi

na torma urlante in fila de marmocchi

e un mar de cranio a dir poco inferocito.

 

E mentre li regazzini accontentava

pensava alla paga della sera,

mezza fella per quer tipo de cariera:

l’unica cosa che su quer trono l’incollava

 

Era solo, senza nisuno: peggio de ‘n cane

ad aspettallo nessun cardo focolare,

solo du’ cartoni in croce e un freddo vento

a ricordaje ‘na bastarda vita in fallimento.

 

Così staccanno chiamò sora Carmela,

trent’anno d’onorata professione:

Posso venì? C’ho sordi e abnegazione!”

Je disse senza ombra de cautela.
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Carmela, la sera de Natale era da sola

arispose: “Vieni pure raggiugime ora!”

E s’incontrorno du anime rejette e sole

e fecero l’amore in silenzio, senza parole

come solo du pazzi disperati sanno fare,

che danno e prendono senza manco ringraziare

 

Babbo cadde poi addormentato,

dall’arcol, dalle botte e da troppo amore frastornato

russava come ‘n treno alla stazione,

solo je mancava lo sbruffo de vapore…

 

Carmela invece arimase aggrapata a quella panza,

come ‘na naufraga sur legno, in cerca de speranza,

che la solitudine è ‘na bestia brutta, de più a Natale

anche un po’ d’amore inaspettato può bastare.

 

Stette immobile quasi senza respirare,

speranno de dilatà quer momento all’infinito,

e in quer silenzio interiore, ancestrale,

 

se godeva l’attimo de pace conquistato

sapenno che quell’istante così ambito,

nun sarebbe più de tanto mai durato.

 

La vigilia der Natale era finita

na città stanca dai bagordi s’era assopita,

la luna irradiava un ber lucore,

e io nun ve so dì, se in quella sera tanto ambita,

ce sia stata più gioia….o più dolore.

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365 giorni, Libroarbitrio

“Er Canaro” Lollo

Ezechiele 7:8
Ora, tra breve, io spanderò su di te il mio furore,
sfogherò su di te la mia ira,
ti giudicherò secondo la tua condotta,
ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
Venere

Je disse d’entrà ner negozio e de sbrigasse
tempo nun c’era: da fasse cotta e magnata
si voleva li sordi e la coca toccava arangiasse:
nella gabbia der cane che j’aveva acchitata
fu facile ‘nfilaccelo drento: che ora pagasse.

Mo se lo spizzava, dopo avello ‘ngabbiato
nun je faceva più paura Giancarlo
Pietro tirò tre strisce de coca ‘nvasato
co’ ‘n testa da faje der male l’unico tarlo:

giorno de sangue quer diciotto febbraio
ner quale ‘n conto sarebbe stato sardato,
‘n quer negozio sarebbe esploso ‘n carnaio
covato ner tempo, studiato e  pensato
da ‘n poro cristiano: da vittima a macellaio:

Pietro De Negri detto er Canaro, brava persona,
facile confonne la dorcezza pe’ debolezza,
in quella fottuta Magliana abusiva e accattona,
Giancarlo era er sovrano: e Pietro monnezza.

Er cristo ‘na vorta oppressore, ora strillava
er Canaro rabbioso arzò lo stereo a palla
alle grida de rabbia la musica se mescolava
e mentre er piano scattava senza ‘na falla,
a Pietro De Negri ‘na furia omicida montava.

Fece svenì quell’infame co’ benza e tortore
lo legò come se faceva co’ ‘n cane rabbioso,
quante vorte chissà aveva sognato l’orrore:
nessun indugio per quer lavoro mostruoso.

Dieci, dieci mesi de galera senza avè parlato
pe’ la rapina cui lo aveva costretto Giancarlo:
aspettando de uscire  pe’ esse accettato,
spartisse er bottino e poi ‘nfine abbracciarlo,
mette punto a ‘na storia che lo aveva sfiancato.

Invece finita la pena la moje se n’era già annata,
da Giancarlo arimediò antra violenza e disprezzo:
lo aveva pure pistato davanti sua figlia adorata,
se fissava allo specchio provanno ribrezzo:

Ogn’uomo c’ha ‘n limite che nun se deve  varcare
e ormai er Canaro aveva superato quer segno
troppi soprusi aveva subito senza  fiatare,
ma ora Giancarlo avrebbe pagato quer pegno:
nun ci aveva più gnente ormai da potè barattare.

E mo’ j’aspettava ‘n lavoro de cortello e de foco
a pezzi a Giancarlo voleva smontare
pe’ fasse giustizia e porre fine ar quer gioco,
fa’ l’omo e fatte ‘na vorta pe’ tutte  rispettare.

Giancarlo, ‘ncatenato, dar dolore arinvenne,
senza più dita: j’erano state de netto tranciate,
er Canaro le ordinava sur banco solenne
e ner mentre che ‘ntanto lo scherniva a risate
la vittima implorava: pe’ sarvasse le penne.

“Chi è mo l’omo brutto bastardo?” je urlava
su e giù per locale, totarmente ‘navasato
lo fece de novo svenire e mentre pippava
je tajò la lingua e pezzi de faccia infuriato.

Poi guardò l’orologgio: ora d’uscita de scola
chiuse bottega come si fosse tutto normale
prese la moto pe’ annà prenne l’amata figliola
nessun segno sur viso de quella furia animale
solo ‘na calma glaciale: nessun antra parola.

Giancarlo ‘ntanto aspettava ner tormento e terore
e ner buio de quell’inferno come ‘na foja tremava
chi era quell’omo che je stava a da’ quer dolore?
nun sapeva più gnente, solo frignava e  pregava.

Quando la porta s’aprì, rivide er suo vorto
e Giancarlo capì che er demonio era tornato
cominciò a singhiozzare totarmente sconvorto:
ma stava sognando oppure s’era svegliato?
nun lo sapeva, er dolore lo aveva stravolto.

Er Canaro inveendoje contro prese ‘n cortello
je calò le braghe con sguardo folle, scocciato
tajò er cazzo e le palle e cauterizzò quer macello
e poi je ‘nfilò ‘n bocca quer trancio ‘nsanguinato.

De Giancarlo quelli furon gli ultimi istanti de vita,
ma er Canaro continuava a sfogà la sua pazzia,
prese li moncherini che j’aveva tajato dalle dita
glieli ‘nfilò nell’occhi e ner culo: ‘n preda alla follia.
Poi se placò: come ‘na tempesta l’ira era svanita.

Allora spense lo stereo e calò ‘n silenzio tombale,
er Canaro cor fiatone fissava la follia della scena:
provava grande stanchezza dopo la furia animale
mai però avrebbe provato ‘n’ accenno de pena.

Trovarono er corpo de Giancarlo s’un prato
fu facile pe’ le guardie risalire ar corpevole
Pietro nun chiese sconti de pena carcerato
se dichiarò sempre dell’omicidio consapevole:
fosse ritornato lì lo scempio avrebbe reiterato.

L’animo umano è luogo inospitale, concetto inesplorato:
Bene o Male categorie ‘nvetate pe’ consolazione
fora de galera er Canaro volle esse dimenticato:
che nulla c’è, né Dio né Demoni: nun c’è redenzione
semo esseri soli, circondati da n’ Abisso scellerato.

365 giorni, Libroarbitrio

“La matrona caparbia” Lollo

 film halloween (18)

C’era na vorta ‘na matrona che nun ce stava,

settant’anno pe’ gamba e nun sentilli

che la natura ‘nfame contrastava

co’ botuli, plastiche e atri gingilli.

 

Ma la morte che orchestra er gran finale

vide che era giunta alla fine della vita,

prese i suoi  strumenti e partì pe’ lavorare,

vedenno che drentro era marcita

pe’ quanto fora ‘sta matrona era gioviale.

 

Je se presentò in tenuta, come da prassi,

cor teschio de nero incappucciato,

la farce de lato, er passo strascicato;

vista così spaventava pure i sassi!

 

“Mori!” esclamò la morte e schioccò le dita,

la matrona, ‘nvece, arispose inacidita:

“Mori te vecchia n’famona, io nun ce penso!

Sai quanti sordi ho ‘nvestito a fondo perso?

 

“Guardame teschiaccio, so ‘na pischella

bisturi e silicone m’hanno reso troppo bella!”

“Mucchio de ossa mica me spaventi,

la vita mia, io me la strigno fra li denti!”

 

L’oscura mietitrice rimase esterrefatta:

nessuno mai  avresse detto sino ad ora

che ‘n cristiano de qualunque schiatta

potesse da resiste ar richiam della Signora.

 

Così rimase  a guardasse quella matta,

senza parole, sconvorta e stupefatta,

scosse er capo e tentò ‘n’antra gufata

ma la matrona restava lì, tutta sfrontata…

 

E comme succede a chi fa la voce grossa,

che quanno trova quello che nun abbozza,

fa pippa e tela ar posto de scavaje ‘na fossa,

così, dalla matrona, la morte scappò scossa.

 

La vecchia soddisfatta fece un gran sospiro

“Come sto bene!” pensò “Sto tutta in tiro!”.

E decise de uscire e annare a festeggiare,

ostriche, sciampagne e un pischello da baciare!

 

Ma pe quanto la tenacia sia cura alle cose della vita,

la natura nun se sfida,

e come dice er saggio sulla rassegnazzione:

c’è quarcosa d’eroico ad accettà la situazione!

 

‘Nvece la matrona piano piano,

aretta solo da ‘na folle volontà

ignara e putrefatta se ne annava a festeggià…

nun s’accorgeva pora vecchia pazza

che la gente scappava dalla piazza.

Ar suo passo strascicato,

pure er cattivo se scostava de lato.

 

La matrona  arancava e nun capiva,

perchè la gente urlava e scappava

mentre ‘no sciame de mosche ‘ntorno je ronzava.

Scosse er capo costernata,

“Guarda quanta fretta” esclamò…avariata…

 

e mentre l’acconciatura se aggiustava

la mano fra i capelli je restava,

“Oddio” urlò sconvorta, “la mano mia è ita!”

e mentre urlava pure na gamba era partita.

 

Cadde a terra co’ na piroetta,

e mentre che girava, n’anca se sbiellava,

‘na vecchia marcia e  abietta

che dio solo sa come a campare continuava

e ner mentre…je volò puro ‘na tetta….

 

Insino che arimasero solo due occhioni disperati,

all’interno de un teschio ‘ncastonati,

che fissaveno ‘na scena immobbile e sbiadita

e in  quella triste sorta de non vita,

all’interno de quer cranio  putrefatto,

solo un pensiero rimaneva, nascoto in un anfratto:

“Per dinci! er corpo mio…

con tutto quello che c’ho speso, sant’iddio….”