365 giorni, Libroarbitrio

Credere o no nel Sogno Premonitore – EDERA e KISSOS passeggiando in città

Pareri discordanti leggiamo negli studi dei due massimi esponenti della neurologia e della psicologia di metà Ottocento: Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. 
Per il neurologo i sogni premonitori non esistono, l’inconscio predominante dell’essere umano mette quest’ultimo nella posizione di credere che un sogno possa diventare realtà, ma per Freud è solo una coincidenza, per lo psichiatra Jung invece esistono dei sogni in cui si viene a contatto con energie primordiali che portano l’uomo a collegarsi con l’universo e quest’ultimo a rivelarsi ai suoi occhi, pertanto al risveglio ricordiamo di aver visto o previsto attraverso il sogno eventi futuri possibili.

Ovviamente un tema di tale importanza non può essere espletato con queste poche righe, e non può essere riconducibile solo a due studiosi, seppur importanti, del sogno. Il mio lavoro sui sogni è iniziato in un’età in cui ero cosciente ma non consapevole di tale manifestazione. Ad oggi l’unica cosa che posso dire con fermezza è che il sogno premonitore porta ad una trasformazione del nostro io, ma anche del nostro cuore e della nostra anima. Per spiegarvi meglio questo concetto ho scelto di portarvi ai tempi dei Greci, io mi lascio ispirare e guidare da ciò che accade nella mia vita, il più delle volte cercando una spiegazione per ogni avvenimento, ma sto imparando che è importante anche solo vivere quello che ci accade senza giudicare gli eventi, senza capirne il significato, così come, forse, bisognerebbe fare con i sogni.

Tuttavia questa mattina ho incontrato il figlio di Dioniso: Kissòs.

.Kissòs. Fotografia di Lié Larousse

Vi lascio questo interessante estratto di Walter Friedrich Otto dal libro “Dioniso – Mito e culto” per trovare il nesso tra sogno, mito e magia, oppure no!

«La vite e l’edera sono sorelle, che pur essendosi sviluppate in direzioni opposte, non possono celare la loro parentela. Entrambe portano a termine una meravigliosa metamorfosi. Nella stagione fredda la vite giace come morta e nella sua rigidità somiglia a un inutile tronco fino a quando, sotto il rinnovato calore del sole, sprigiona un rigoglioso verdeggiare e un incomparabile succo infuocato. Non meno sorprendente è quanto accade all’edera: la sua crescita mostra un dualismo che può benissimo ricordare la doppia natura di Dioniso. Dapprima essa produce i cosiddetti germogli ombrosi, i tralci rampicanti con le ben note foglie lobate. Più tardi però appaiono i germogli luminosi che crescono diritti, le cui foglie hanno una forma affatto diversa, e a questo punto la pianta produce anche fiori e frutti. Si potrebbe definirla, al pari di Dioniso, “la nata due volte”. Il suo fiorire e il suo ricoprirsi di frutti stanno peraltro in un singolare rapporto di corrispondenza e di opposizione rispetto alla vite. L’edera fiorisce infatti in autunno, quando per la vite è tempo di vendemmia, e produce frutti in primavera. Tra i suoi fiori e i suoi frutti sta il tempo dell’epifania dionisiaca nei mesi invernali. Così in un certo qual modo l’edera rende omaggio al dio delle inebrianti feste invernali dopo che i suoi germogli si sono spinti in alto nell’aria, quasi fosse trasformata da una nuova primavera. Ma anche senza tale trasformazione essa è un ornamento dell’inverno. Mentre la vite dionisiaca necessita il più possibile della luce e del calore solare, l’edera dionisiaca ha un bisogno sorprendentemente limitato di luce e di calore, e fa germogliare la sua freschissima verzura anche all’ombra e al freddo. Nel bel mezzo dell’inverno, quando si celebrano trepidanti feste, essa si allarga baldanzosa con le foglie frastagliate sul terreno dei boschi, o si arrampica sui tronchi quasi volesse, al pari delle Menadi, salutare il dio e circondarlo nella danza. La si è paragonata al serpente, e nella natura fredda attribuita a entrambi si è trovato il motivo per cui essi appartengono a Dioniso».

.Edera. Fotografia di Lié Larousse


Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Buon Primo Giorno del Nuovo Anno – PROFEZIA

.Ingresso al Monte. Fotografia di Lié Larousse

Carissimi Lettori Buon Anno!
Nell’augurarvi di riscoprirvi ogni giorno vivi e grati, condividerò con voi da oggi gli studi che sto facendo per la stesura del mio terzo romanzo.
Il tema principale è il Sogno, ma per arrivare a lui dobbiamo partire da molto molto lontano, perchè è vero che nell’ultimo secolo e mezzo abbiamo fatto passi d gigante con la sua ricerca, eppure io sento che dobbiamo fare un salto temporale che è un vero e proprio salto nel buio, un viaggio nel tempo ed iniziare parlando di PROFEZIA.

“Sei stata destinata alla preveggenza, principessa Cassandra, hai davanti a te una vita di solitudine ed incomprensione. Sarai sola quando riceverai i presagi, sarai sola quando racconterai ciò che hai sentito, quando riferirai ciò che le bestie ti diranno, quando verrai additata come portatrice di sventura. In realtà, principessa, chi ti allontanerà perché avrà paura dei tuoi vaticini sarà più solo di te, perché saprà che la verità risiede nelle tue parole, ma non avrà abbastanza coraggio per accettarla. Sarai sola quando dovrai invocare gli dèi, sarai sola quando persino chi ti ama non ti comprenderà”

(Estratto da CASSANDRA di Cinzia Giorgio
Newton Compton Editori
)

.Carrareccia. Fotografia di Lié Larousse

Avete mai sentito parlare di sogni premonitori?

Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Ad ognuno di voi 112.688 GRAZIE!

E intanto che la poesia continua a farsi leggere e scrivere,
e intanto che l’arte dona ogni giorno nuove sfumature di colore alle nostre mani e ai nostri occhi,
e intanto che noi impegniamo le nostre menti e i nostri cuori a servizio della cultura
e di una più straordinaria e sempre più stravagante fantasia,
VOI ,
voi ci accompagnate in questa vita di belle e magiche parole,

di belle e magiche opere d’arte,
per scoprire che NOI siamo VOI,
che questa nostra vita d’essere blogger, scrittori, lettori, ricercatori, followers, è di tutti,
e a tutti VOI va la nostra gratitudine!

Ad ogni 112.688 di voi
vi diciamo

frasi-grazie-ringraziare

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Paradiso – Er Pinto

 

Bosch-Giardino della delizia

Quanto è lontano da qui il paradiso?
Sembra vicino, lo sembra alle volte
Quando spiragli ci sfiorano il viso
Nei smarrimenti di notti sconvolte

Forse la vita è soltanto una scala
Ed ogni giorno soltanto un gradino
Verso qualcosa che infine regala
La pace ed il senso del mero destino

Son contenitori di sogni e energie
I nostri corpi, che ne misurano il viaggio
Per accettarlo scrivo poesie
Le mie fantasie mi rendono omaggio

Non c’è nessun Dio che ci dà la forza
Niente è infinito così è la natura
Che così bella ci incanta e si sforza
Di farci coraggio se abbiamo paura

La sensazione di essere vivo
Che provi se guardi un cielo stellato
È il vero segnale, il gesto incisivo
Che il dono prezioso è l’essere nato

Salgo le scale sudandone il prezzo
Non c’è l’inferno, non c’è il paradiso
Ogni scalino che salgo la apprezzo
La vita ti ha dato, la stessa ti ha ucciso

Se fosse freddo come d’inverno
L’inferno che invece pensiamo di fuoco
Se fosse vivere e pensare in eterno
Il vero finale, la beffa del gioco

Se fosse calda come l’estate
La lacrima che ti solletica il viso
Se fosse l’occhio nelle passeggiate
La porta segreta che è già il paradiso

Er Pinto

Opera pittorica
Il giardino delle delizie
di Hieronymus Bosch

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SEI TU – Paulo Coelho

L'attesa L.L.

Mi spingi oltre i miei limiti
in te ho incontrato me stesso
e ho guardato oltre,
oltre ogni inimmaginabile.
Ho guardato nel profondo dei tuoi occhi
cercando di comprenderti
ma, ho visto tutto quello che di me
mai avrei voluto vedere.
Ho visto la mia fragilità
la mia insicurezza
i miei sensi di colpa
le mie paure
la mia insofferenza
ho visto le mie tenebre e i miei demoni
allora, ho guardato ancora oltre
e nel profondo del mio cuore,
un mare in tempesta,
un oceano immenso dove tuffarsi e perdersi
e lì
nel profondo della mia anima
ho compreso
ho provato piacere
orgoglio
nel capire quello che provo
nel sapere e adesso so
che amo le cose belle
e so che una di quelle
sei tu…

365 giorni, Libroarbitrio

“La paura dell’inverno” Vicenc Llorca

Treccia Lié per E.G.

No, non dire alla foglia che si fermi:
deve venire l’inverno.
Ammucchia la legna, mangia e aspetta,
aspetta l’ora della neve.
Patire il freddo ti condurrà alla casa dell’anima,
ti farà ricordare
il calore di un corpo in un altro corpo,
e il valore della resurrezione.
Forse non credi che dietro l’onda
che muore contro lo scoglio
sta nascendo la forma di una spiaggia,
una baia, un porto?
Quel che rende così duro il morire
è ignorare per sempre la vita,
come un pianeta
traccia l’ellisse di una luce più grande.
Che temi? Forse il non avere occhi,
che ti sfugga l’intenzione
di possedere le cose,
smettere di creare nella creazione?
Allora, come un aedo,
recita il tempo
nel tempo delle sillabe e dei fatti.

tratto da Canto d’autunno
tradotto da Emilio Cocco

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“Libero arbitrio” di Gianluca Pavia

Stelle felici su un mare disteso Salvatore Graf

Opera pittorica “Stelle felici su un mare disteso” di Salvatore Graf

Scegliere di vivere
alzarsi la mattina
e pagare le bollette,
essere puntuale
e fare il tuo lavoro,
non uccidere nessuno
e mantenere il decoro,
non sono la stessa cosa.
Abbandonarsi e morire
e assaporare un fiore,
danzare sul tintinnio
fuori la finestra
o magari ascoltare
cosa il silenzio ha da dire
non sono la stessa cosa.
Il confine è sottile,
il capello di una donna tra le dita,
il click prima dello sparo,
il bip dell’emergenza,
lo chiamano libero arbitrio
ma è solo una stronzata,
alza il culo
e vai fuori a vivere
oppure
cambia canale
sarai più fortunato.
Forse.

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“Insediare l’uomo” Antonin Artaud

by Nadezhda Illarionova

Nel 1920 scrivevo poesie,
anche nel 1913,
ciò che non mi è mai riuscito,
quelle poesie erano odiose,
odiose per tutta la mia vita, così trascorsa fianco a fianco con la poesia.
La senti, la vivi, la soffri soprattutto, ah come la soffri e come brucia quando non è là, la poesia.
E tuttavia lei non è là – la soffri e lei non è là.
E’ così che, mentre volevo scrivere poesie che fossero là,
sono passato a fianco della poesia, ma soprattutto a fianco di me
– e non ho cominciato a sentire qualcosa, e me stesso a sentirmi là,
che a partire dal giorno che mi sono ostinato, accanito, aggiogato,
fissato nel dire che non c’era mai stato niente né nessuno,
che il presente era un abisso, un vampiro,
e l’avvenire un presente mai presente.
Cosa fare quando si cerca una poesia?
Dei capezzoli affilati che si muovono al respiro di tutto il corpo
e non soltanto del polmone che dorme.
Vecchio affare di scorbuto, di sifilide, di peste, vecchia talea di cefalgia,
ignobile bagno di giorno la notte,
quando la pipì fuoriesce dall’inchiostro e frigge.
Mai un poeta finora ha detto quello che aveva iniziato a cuocere,
a scaldare nel suo forno interiore quando brancolava nel suo scritto,
brancolando nel non-scritto a margine di tutti gli scritti.
Quando lo dirà?
Quando tutto lo scritto sarà andato.
Quando si metteranno i poeti morti in gabbia,
quando si sarà terminato di soffocare le larve che rivendicano la poesia.
Perché nessun poeta è mai stato capace di apprendere da un poeta altro che sé stesso.
Bisogna fare il vuoto quando si scrive.
E questo spiega perché sono riuscito a scrivere a partire dal giorno in cui ho deciso di non scrivere,
per dire che non potevo penetrare lo scritto.
I veri poeti sono quelli che si sono  sempre sentiti malati e morti
mentre consumavano il loro essere,
i fasulli quelli che hanno sempre voluto essere in buona
salute e vivi quando soggiogano l’essere altrui.
E morti dai secoli dei secoli, morti, essi continuano a voler imporre la loro abbietta paccottiglia
a quei morti che soffrono in piedi davanti alla poesia da quattro soldi
che non contiene che i loro lamenti,
perché se nel 1913 non sapevo per quale ragione non potessi mai scrivere
ora so che è per una semplice,
semplicissima storia di vampiri che si andava forse a vedere al cinema
ma non pensate di inseguirli come uomini, per esempio, in piazza d’Alésia.
Perché è nei vivi che soggiornano queste corti di morti impuniti
e un poeta geloso morto da cinquanta secoli
non è più adesso che un re dei fissi in vita
che, nel vuoto degli scorbuti, delle pesti, delle sifilidi provenienti dalle mie viscere,
sputa dicendo che è finita,
che la mia poesia è finita
e non so più quello che scrivo.