Arrivò in anticipo di un quarto d’ora. La palestra era al piano terra di un palazzo di periferia. Sulle quattro vetrate si ripeteva una decalcomania inquietante: un essere umano attorcigliato in una contorsione innaturale.
“Sono ancora in tempo” pensò, “adesso vado via”.
Aveva appena ripreso in mano le chiavi dell’auto quando arrivò una tipa dall’aria sognante e con un pallino in fronte che le sorrise.
“Sei nuova, vero? Io mi chiamo Cecilia e sono l’insegnante di yoga. Vieni dentro che apriamo la palestra e ti mostro lo spogliatoio”.
Sospirò e si rassegnò, consolandosi al pensiero che in fondo era solo una lezione di prova.
La colpa era tutta di quella sua amica fanatica di discipline orientali: le aveva fatto una gran ramanzina ricordandole che a trentacinque anni una donna inizia ad invecchiare, che tutto il grasso accumulato non si elimina più e che l’equilibrio della mente e del corpo vanno di pari passo, blandendola infine con la promessa che un po’ di yoga le avrebbe fatto perdere i chili di troppo senza sudare.
Nel frattempo arrivavano gli altri allievi, perlopiù signore cinquantenni, un uomo dall’età indefinibile coi capelli bianchi ma l’aria giovanile, una ragazzina anoressica e poi, un tipo incredibilmente bello, con la faccia di Paul Newman e il fisico di Rudolph Nurejev, inguainato dentro una pantacalza-body aderentissima. Le parve dal modo in cui parlava che non fosse italiano.
L’insegnante le indicò lo spogliatoio femminile, dove le signore avevano iniziato a ciarlare mentre si svestivano.
Inorridì quando vide che tutte rimanevano a piedi nudi, ma fece finta di nulla e si tenne i calzini: dopo una giornata di lavoro i suoi piedi non erano certo fragranti.
Notò che le altre avevano body e tute aderenti. Lei invece aveva rispolverato una vecchia tuta a colori fluorescenti, con banda laterale sulle gambe e sulle braccia, comperata senza neanche provarla a una svendita di articoli sportivi; infatti era come minimo una taglia in più.
Intanto la palestra aveva preso vita.
Una musichetta di sottofondo sembrava prenderla in giro, con tamburelli e strumenti pizzicati, che evocavano leggerezza e agilità, cose che lei non possedeva nemmeno a sette anni.
Nurejev e gli altri erano già seduti a gambe incrociate sopra tappetini dall’aspetto gommoso e fissavano il vuoto davanti a loro.
Starnutì quattro volte di seguito a causa di un odore pungente che le ricordò le canne che si facevano i suoi compagni del liceo, quando vide che la maestra stava accendendo dei bastoncini di incenso negli angoli della stanza.
Qualcuno le disse di sedersi come gli altri.
“Togliti i calzini” le sibilò la sua vicina di posto, ma fece finta di non sentire. Aveva già difficoltà a incrociare le gambe senza sentire un dolore maledetto alle ginocchia.
“Ora, nella posizione del loto, come ringraziamento per quello che stiamo per fare, canteremo l’Om”, fece l’insegnante.
“Inspirate, poi espirate, e…. Oooooooooommmmmmmmm”.
Un coro di voci gravi, acute e stonate riempì la stanza.
Improvvisamente sentì un prurito pungerle la gola. Le capitava sempre così nelle situazioni che trovava ridicole: diventava paonazza finchè non scoppiava a ridere sguaiatamente.
L’insegnante prese il suo rossore per imbarazzo.
“Non devi vergognarti di cantare con noi, vedrai che dopo le prime volte ti verrà naturale. Senti l’energia che si sprigiona dalle nostre voci? La puoi percepire intorno a te!”
Tenendo gli occhi chiusi, mentre quel suono continuava, cercava di pensare a qualcosa di serio o di triste: le tasse, il giorno del funerale della nonna, la bocciatura in quarta ginnasio, i pantaloni taglia quarantotto che non si chiudevano più…
Poi tirò un gran sospiro e l’attacco di ridarella passò.
I primi venti minuti scivolarono via veloci, con una serie di respirazioni e movimenti rilassanti, e stava già esultando, convinta che lo yoga fosse proprio la disciplina che faceva per lei, quando i nodi vennero al pettine.
L’insegnante pronunciò un nome irripetibile, e tutti si capovolsero a testa in giù, con la fronte appoggiata sul pavimento e le gambe per aria. Alcuni lo facevano in mezzo alla stanza, altri appoggiati alla parete o appesi alle spalliere con delle cinghie, come grossi pipistrelli.
Lei rimase immobile, pensando a un modo per fuggire.
Sentì un tocco leggero sulle spalle.
“Adesso anche tu provi. Io aiuto te”.
Era Newman-Nurejiev, scultoreo nella sua pantacalza, che le sorrideva cameratesco. I suoi muscoli erano tonici, vedeva nitidamente i bicipiti che erano proprio all’altezza dei suoi occhi, e aveva un buon odore, forte e selvatico, che le ricordò il muschio.
“No grazie, è la prima volta per me e del resto io ho il terrore di stare a testa in giù, e questa poi è solo una lezione di prova….”
“Tu no avere paura, io tengo stretta, Cecilia fa sempre aiutare principianti perchè io più forza per tenere strette persone pesanti”.
“Non fa una piega” pensò “Mi ha appena dato dell’obesa”.
“Ora metti gomiti appoggiati a terra e fronte in mezzo a mani intrecciate. Io sollevo”.
Fece come le diceva e non ebbe il tempo di pensare che si sentì agguantare per le natiche e dopo un capogiro folle si rese conto di essere a testa in giù, con il nerboruto che la teneva per le gambe.
Le guance le bruciavano e sentiva chiaramente l’odore dei piedi di Nurejev, che le ricordarono immediatamente il provolone piccante; una fila di facce, quelle di tutti gli altri capovolti come lei, la fissava sorridendo.
Respirò, cercando punti di riferimento nello spazio sottosopra.
Poi, improvvisamente, la tragedia.
Il suo intestino, da trentasette anni abituato ad una sistemazione comoda e stabile all’interno di quella pancetta, ebbe forse paura di perdere il posto.
E infatti si ribellò, ribollì, cercò di lottare con la gravità, ma non ci fu nulla da fare, perchè quando lei si accorse di cosa stava per accadere era già troppo tardi.
Fu come un barrito, anzi un coro di barriti, il rumore dell’enorme peto che scaturì da quelle povere viscere capovolte.
Inutile dire che tutti ne furono attoniti, e più che imbarazzati stupiti, ma quello che accusò lo sgomento maggiore fu proprio Nurejiev, che dallo spavento fece un balzo indietro, dimenticando che la poveretta si reggeva dritta solo grazie al suo sostegno.
Un’altro capogiro e piombò sul pavimento battendo forte le ginocchia.
Pensò prima che avrebbe voluto morire, poi, dato che questa non era una possibilità concreta, decise di svenire. E non ci fu verso di farle aprire gli occhi.
Rimase impassibile agli schiaffetti, agli schiaffoni, alle spruzzatine e alle bicchierate d’acqua.
Alla fine chiamarono un’ambulanza.
La caricarono in barella che non dava segno di vita, e si guardava bene dal farlo.
Sentì le voci preoccupate di Nurejiev e della maestra che chiedevano ai barellieri le indicazioni per raggiungere l’ospedale, poi le portiere si chiusero e la sirena iniziò ad urlare.
***
Accese un bastoncino di incenso, tirò le tende per schermare il rosso violento del tramonto che invadeva la stanza da letto e si sistemò sulla stuoia nella posizione del loto.
C’era una calma perfetta. Bussarono piano.
“Non disturbo te se faccio yoga anch’io?”
Era vergognosamente bello anche in pantaloncini e canottiera, sensuale e selvaggio come quel primo giorno che l’aveva visto.
“Ma no Rudy, entra”.
Dopo un anno le era ancora difficile pensare senza imbarazzo a quell’incidente che aveva portato importanti novità nella sua vita.
Lo guardò mentre silenzioso come un felino, con pochi gesti aggraziati appoggiava la fronte sul pavimento e si capovolgeva nella posizione sulla testa. Ci sarebbe rimasto come minimo venti minuti.
Giunse le mani davanti al petto, chiuse gli occhi e assaporò il profumo della felicità, fatto di muschio selvatico, incenso e provolone piccante.
Racconto “La lezione di Yoga” scritto da Maria Giulia Benini
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I Lunedì di LuccAutori”
Opera pittorica – Lasciati andare, ridi – Davide Cocozza
Potete acquistare il volume dei racconti vincitori del Premio
“Racconti nella Rete 2016” edito da Nottetempo, a cura di Demetrio Brandi, in tutte le librerie a distribuzione nazionale oppure on line al link di seguito:
http://www.edizioninottetempo.it/it/prodotto/racconti-nella-rete-2016
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.