365 giorni, Libroarbitrio

Michail Bulgakov “Satana rende giustizia ai deboli”

Roma 11 novembre 2013

Michail Bulgakov

Nato a Kiev nel 1891, Michail Bulgakov si laureò in medicina   successivamente, dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, andò a vivere a Mosca.

Non esercitò mai la professione  medica: fin dai primi anni venti iniziò un attivo lavoro di giornalista, scrittore e critico teatrale.

Nel 1925 uscì il suo primo romanzo, La guardia bianca, che fu pubblicato a puntate su una rivista sospesa successivamente dalla censura.

Del 1925 furono anche i suoi tre romanzi satirici, Le uova fatali, Diavoleide Cuore di cane.

Anche i lavori teatrali incontrarono censure e critiche, perché il regime al governo in Unione Sovietica non gravida la sua vena satirica, nella quale era riconoscibile l’ironia verso la burocrazia del potere.

Nel 1928 Bulgakov, che si trovava ormai in condizione di non poter più lavorare liberamente, iniziò la stesura del suo capolavoro, Il maestro e Margherita.

In questo testo Bulgakov, attraverso la fantastica narrazione della comparsa di Satana a Mosca, rifletteva sul bene e sul male, sull’arte e sulla funzione, sulla corruzione del potere.

Il romanzo, rimasto incompiuto, proprio per la sua caratteristica di critica al conformismo, non poté essere pubblicato ed uscì solo nel 1967, molti anni dopo la morte di Bulgakov, avvenuta a Mosca nel 1940.

” Il maestro e Margherita
Mosca, anni venti: nella città fa la sua improvvisa comparsa nientemeno che Satana, incarnato nel misterioso Wolland che, aiutato da due “infernali” assistenti, il gatto parlante Behemoth e il buffissimo Fagotto, colpisce con tremenda crudeltà i personaggi più corrotti e meschini del mondo letterario: direttori di teatro assetati di potere, critici letterari incapaci e boriosi, scrittori mediocri e tronfi di superbia.
Tuttavia Satana, nella sua azione, sembra colpire proprio i peggiori, mentre i suoi poteri magici vanno in soccorso  del debole maestro, uno scrittore infelice, colpito dalla censura del regime e perseguitato dai critici proprio mentre sta scrivendo il suo capolavoro, un romanzo su Ponzio Pilato.
Il maestro che nelle sue disavventure  finisce in manicomio, ha una tenera storia con Margherita, una ragazza dolcissima, pronta ad aiutarlo in ogni occasione, anche quando lui, preso dalla disperazione, brucia il manoscritto della suo grande romanzo.
Saranno proprio l’amore di Margherita e l’intervento di Satana-Wolland a salvare lo scrittore. Il suo romanzo sarà addirittura recuperato dalle ceneri, ma Margherita, avendo usufruito dell’aiuto di Satana, si trasformerà a sua volta in una strega.”

A domani

Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Robert Walser: ironico dalla piccola prosa in poesia

Roma 11 ottobre 2013

Robert Walser

Pioggia  leggera

Cadeva la pioggia, leggera, leggera

(in una maniera,

che con tutta la mia buona volontà

non riuscirò a dirvi)

su quel grand’uomo dignitoso e pacato,

di genio illuminato,

di fama incoronato,

che stava lì serio e sovrano

tenendo(…) in mano.

Mentre la sua consorte il caffè beve

sui monti c’era, eterna, la neve,

la vedevano chiaramente.

Lui la guardava crudelmente,

freddo ed elegante,

giovane e vecchio, affascinante.

Il grand’uomo mise le mani nelle tasche

e poi gettò uno sguardo fugace

sulla propria attività fino a quel giorno,

al sanatorio c’erano betulle tutt’intorno

e frusciavano.

“Contemplazione”

I libri eran già stati tutti scritti,

ogni azione sembrava già compiuta.

Ogni cosa dai suoi begli occhi veduta

nasceva da fatiche precedenti.

Le case, i ponti e la ferrovia

eran certo notevoli scoperte.

Lui pensava all’impavido Laerte,

a Lohengrin e al suo cigno così mite,

ed ogni cosa grande era ormai fatta,

nata in un lontanissimo passato.

Fu visto cavalcare a perdifiato.

La vita stava a riva come una chiatta

che non sa più cullarsi, scivolare.

Da “Poesia”, n.50, aprile 1992, traduzione di Renata Buzzo Màgari

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

La poesia nel XIX secolo: Goethe,Keats, Coleridge, Baratynskij (seconda parte)

Roma 10 giugno 2013

Come abbiamo letto ieri la poesia romantica si sviluppò, durante l’Ottocento, in tutta l’Europa:

In Germania: il secolo si aprì con l’opera di Goethe, grande metafora dell’esistenza, grande sintesi delle sollecitazioni spirituali e degli impulsi più vitali del tempo. Classicista, razionalista, illuminista e romantico insieme, Goethe insegnò come nella poesia fosse fondamentale l’intima connessione tra vita e arte, tra realtà e trasfigurazione metaforica della scrittura. Dopo Goethe i temi prediletti dei romantici tedeschi furono il mito del Medioevo, la fiaba popolare, il mondo del mistero e della magia, il regno dell’ombra come fuga dalla realtà e rifiuto della razionalità.

In Inghilterra: i poeti romantici riscoprirono l’immaginazione, gli istinti, l’emotività e il subconscio. Formularono una nuova concezione della poesia come spontaneo fluire dei sentimenti, espressi con un linguaggio aderente alla realtà quotidiana. La poesia non doveva essere imitazione della natura, ma mediazione tra l’uomo e la natura, secondo proprie leggi e una propria verità. L’idealismo platonico di Shelley, il gusto per il soprannaturale di Coleridge, il senso della natura di Wordsworth, il medievalismo di Keats, l’ironia di Byron,ispirano tutta la poesia del secolo.

In Russia: dominata dal desiderio di un ritorno al patrimonio tradizionale e ai generi alti del poema epico e della tragedia, nell’interno civile di far compiere al proprio paese un passo avanti sulla strada della libertà e del progresso sociale, la poesia russa dell’Ottocento, benché frustata e spesso ridotta al silenzio dalle repressioni dello zar Nicola I, espresse alcuni tra i più importanti poeti di tutta la sua storia: Aleksandr Puskin, il massimo cantore dell’animo umano con i toni di un disincantato gioco intellettuale, Evgenij Baratynskij,  definito il Leopardi russo per le sue elegie meditative, Michail Lermontov con i suoi accenti sinceri e sofferti.

A domani

LL

 

 

365 giorni, Libroarbitrio

La poesia eroicomica

Roma 13 aprile 2013

Arsero polemiche e si trascinarono a lungo discussioni sulla priorità della presunta invenzione del genere eroicomico. “Lo scherno degli dei” di Francesco Bracciolini fu pubblicato nel 1618, e “La secchia rapita” del Tassoni nel 1622, ma la prima stesura di essa in dieci canti  era già terminata nel 1615 e, manoscritta, era diffusa fra i letterati italiani. Il problema non ha oggi interesse tanto più è diversa la composizione e lo stesso dosaggio di eroico  e di comico nelle due opere.

MA il Bracciolini, a differenza del Tassoni, si cimentò ampiamente nell’uno e nell’altro genere, anzi, quasi disingannato, fece seguire al suo primo poema eroico, quello burlesco.

Nato a Pistoia nel 1566 fu segretario di due delle maggiori personalità ecclesiastiche dell’epoca, dal 1595 al 1602 del cardinal Federico Borromeo a Milano e a Roma del cardinal Maffeo Barberini, che seguì fino a Parigi. Tornato in patria nel 1605, vi rimase finché non credette opportuno tornare dall’antico suo protettore diventato papa nel 1623, per il quale scrisse il poema “Elezione di Urbano VIII”(1628) .

Riassunto pienamente nell’orbita barberiniana, tanto da ottenere di aggiungere al suo nome l’appellativo “dell’Api” e da essere fatto segretario del cardinale Antonio, fratello del pontefice, rimase a roma fino alla scomparsa di Urbano VIII. Morì in patria un anno dopo nel 1645.

Dal 1611, data della pubblicazione del primo poema del Bracciolini “La Croce racquistata”, al 1618 anno di stampa della prima stesura in dodici canti dello “Scherno degli dei” si va configurando nello scrittore, non tanto una crisi morale quanto un dispetto letterario.

Talvolta il linguaggio e persino certi episodi minori e amorosi si corrispondono dall’uno all’altro poema. Legato ad una tradizione toscana sospettosa della novità linguistica, già esperto nel superare difficoltà letterarie, come ha dimostrato nella pastorale “Amoroso sdegno” dove aveva usato undici metri diversi, egli cerca nel suo poetare piuttosto un fluido chiarimento e commento non solo alle vicende narrate ma alle stesse immagini che adopera.

A domani

LL

 

365 giorni, Libroarbitrio

L’importanza dell’ironia

Roma 25 febbraio 2013

Unicità stilistica

Continuo a prendere in considerazione l’opera del Boccaccio il Decameron perché è in essa un’importante lucidità narrativa e un gran rispetto per il lettore ovvero la rinuncia ad ogni sollecitazione emotiva da parte del narratore non è disposizione al realistico nel senso più consueto, ossia tendenza a prendere le distanze dal reale per presentarlo il più possibile nei cosiddetti tratti obiettivi o per far risaltare il senso riposto che è nelle cose, nella storia. Un’eloquente elaborazione letteraria caratterizza innanzi tutto il Decameron; in vista di essa i momenti più drammatici si smorzano in discorsi e in diluite descrizioni e l’elemento emotivo viene assorbito  e come dissolto nelle lucide motivazioni esplicative. Su quell’eloquenza si fonda una peculiare ironia che dissolve la tragicità in favola, ossia in racconto e fa risaltare i tratti comici maliziosi e talora spregiudicati e scabrosi senza caricarli particolarmente. La cura stilistica  risulta così principio di unificazione nella varietà tematica delle novelle, garantisce ad ogni tema il suo sviluppo coerente, all’interno di una prospettiva che è però essenzialmente artistica, di un’arte che mira a rappresentare il vario spettacolo della vita.

A domani

LL