365 giorni, Libroarbitrio

DISCORSO SULLA SERVITU’ VOLONTARIA – Etienne de la Boétie – Prima parte

Opere-di- Rene Magritte

Perché oggi?

Che un testo del Cinquecento ci aiuti a pensare il presente non deve stupire, un classico è tale perché parla travalicando le epoche.
La critica della tirannia formulata mezzo millennio fa si dimostra viatico straordinario per pensare la servitù volontaria nelle odierne democrazie.

Chi ci toglie libertà e potere ha solo due occhi,
due mani, un corpo,

non ha niente di diverso
eccetto il vantaggio che voi gli fornite per distruggervi.
Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia
se voi non glieli forniste?
Come farebbe ad avere tante mani per colpirvi,
se non le prendesse da voi?
Ha forse un potere su di voi che non sia il vostro?

 

Il consenso, perciò: la volontà e la voluttà di servire. La servitù volontaria.
Non indaghiamo in queste pagine il potere a partire dai meccanismi che lo spiegano e giustificano, visto che l’asimmetria di libertà è ingiustificabile e assurda. Ma proveremo a capire e a capirne il mistero a partire dalla <<malattia mortale>> di chi tale asimmetria consente.

I potenti, se non gli si obbedisce affatto, senza combattere, senza colpirli, ecco che restano nudi e sconfitti, non sono più nulla, per cui potete liberarvi senza neanche provare a farlo ma solo provando a volerlo. E allora, cerchiamo per congettura in che modo si sia radicata così profondamente questa testarda volontà di servire.
Non le alabarde, gli squadroni a cavallo, le armi, ma l’abitudine, l’ignoranza, la religione: questi i principali indiziati!

Domani inizieremo il primo capitolo e parleremo
de “la costume” cioè dell’abitudine

 

Lié Larousse

 

Discorso con Lié Larousse

 

365 giorni, Libroarbitrio

Per Roma ad occhi chiusi – Maurizio Canforini

Roma

Ogni pomeriggio al tramonto passeggio per Roma.
Mi basta chiudere gli occhi.
Oggi me ne sono andato a viale del Belvedere, l’intera città sotto ai miei piedi.
Ho visto l’arancia del Sole tramontare tra San Pietro e Monte Mario.
Fa sempre così quando si avvicina l’equinozio di primavera.
Ed oggi era già primavera.
Poi sono sceso su Viale della Trinità dei Monti, con lo sguardo rivolto alla mia destra, ad ammirare la quiete dei palazzi di Via Margutta.
La scalinata lo scesa lentamente, mani in tasca, fischiettando.
A metà strada già ho cominciato a sentire il sommesso gorgoglio della Barcaccia.
L’ho raggiunta e c’ho girato intorno.
Forse solo la risacca del mare riesce a rilassarmi più del gorgoglio di una fontana romana. A quel punto mi sono lanciato a girare a zonzo, calibrando ogni singolo passo, gustandomi ogni singolo scorcio. A via della Scrofa mi è venuta sete e così mi sono divertito a far zampillare la fontanella che sta all’angolo con via dei Portoghesi: è una di quelle col getto più potente, arriva fin quasi al marciapiede opposto.
Ho bevuto come da bambino dopo tre ore passate a giocare a pallone sotto casa.
Viso bagnato e sguardo sorridente, ho proseguito verso Piazza San Luigi dei Francesi, quindi ho svoltato a destra e meno di tre minuti dopo mi sono ritrovato a Piazza Navona. Arrivarci mentre fa scuro è come essere alla Scala di Milano dieci secondi prima del buio in sala: elettrizzante.
Soddisfatto, mi sono sdraiato sulla panchina che si trova esattamente tra la chiesa di Sant’Agnese in Agone e la Fontana dei Quattro Fiumi.
A quel punto, se qualcuno avesse scattato una foto dall’alto, avrebbe visto il ritratto di un uomo libero e felice.


“Per Roma ad occhi chiusi”

breve racconto di un sogno pindarico in quarantena
di Maurizio Canforini,
scrittore, attore e autore teatrale