
“Quanto a baciare, come diceva?, «con ardore», come diavolo si faceva? Ricordava di aver baciato pochissime volte Dolores Encarnación del Santísimo Sacramento Estupiñán Otavalo. Forse in alcune rarissime occasioni lo aveva fatto così, con ardore, come il Paul del romanzo, ma senza saperlo.”
(Luis Sepúlveda, “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”)
Il 16 aprile 2020 ci lasciava il meraviglioso Luis Sepúlveda (1949-2020), imprimendo una tristezza indelebile nel cuore di tutti noi. Definendosi sempre “cittadino prima che scrittore” ha speso la sua vita a “dar voce a chi non ha voce”, fino all’ultimo istante, fino all’ultimo, doloroso, addio. Il coronavirus è riuscito a sradicare un uomo che non si era fermato neanche davanti alla dittatura di Pinochet, e a noi oggi non resta che portare avanti le sue idee riguardo alla democrazia, al rispetto per l’ambiente, all’amore e al rifiuto di qualsiasi forma di razzismo, attraverso la lettura della sua magnifica penna.
Lucho, come lo chiamavano affettuosamente gli amici e l’amata moglie Carmen, non fu solo un grande paroliere, ma anche un’attivista politico, un giornalista, un migrante ed un convinto ecologista. Grazie alla sua opera è possibile interfacciarsi con la storia del Novecento in tutte le sue sfumature con un fondo di ottimismo per un mondo migliore, che Luis, senza dubbio ha contribuito e contribuirà a costruire.
Proprio come il poeta Nâzım Hikmet (1902-1963), l’esperienza del carcere, seppur tremenda, non riesce a scalfire la vitalità interna dell’autore, che infatti riuscirà a scrivere opere di grande bellezza e profondità come “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, favola che tutti i grandi dovrebbero non solo raccontare ai bambini ma leggere e rileggere per ricordarsi che spesso nella vita bisognerebbe imparare ad essere come il gatto Zorba e la piccola Fortunata.
Il libro di cui voglio palarvi, però, è “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, apparso in Italia nel 1993. Questo romanzo, o “favola ecologica”, parla soprattutto d’amore: non solo quello che “il vecchio” cerca avidamente nei libri, ma anche e soprattutto quello per la lettura in sé e per la natura, grande protagonista di tutta la storia. La vicenda è ambientata a El Idilio, villaggio immerso nel Sud America, dove Antonio José Bolívar Proaño, il “vecchio”, appunto, dimora da moltissimi anni. Per un periodo decide di stare in mezzo agli shuar, indios che gli insegnano a vivere con la foresta, seguendone rispettosamente i ritmi e le leggi. Gli shuar lo trattano come fosse uno di loro, rivelandogli i segreti e le meraviglie del “grande verde”, insegandogli il linguaggio delle piante e degli animali, facendolo a poco a poco allontanare dalla sua mentalità violenta di colono bianco, o gringo. Un episodio particolare costringe il Vecchio a lasciare la comunità degli shuar per stabilirsi in una capanna presso El Idilio dove grazie alle sue conoscenze riesce a risolvere questioni spinose, come quella in cui saranno coinvolti un gringo ammazzato ed un fiero tigrillo che il Vecchio si vede costretto, a malincuore, a cacciare. Proprio quest’ultima faccenda costituisce la vera e propria storia del romanzo, attorno alla quale ruotano personaggi, ricordi e mondi che si incontrano-scontrano.
Antonio conduce una vita abbastanza solitaria e non vede di buon occhio gli uomini che provano continuamente a violentare la natura per i loro sporchi guadagni, costruendo “il capolavoro dell’uomo civilizzato: il deserto”. L’amore per la natura si alterna a quello per la lettura: il nostro Antonio, infatti, fa una scoperta strepitosa: sa leggere. Pensava di essersene dimenticato dopo tanto tempo nella foresta, ma invece, grazie alle elezioni del paese, scopre di esserne ancora capace. Da allora, non farà altro che questo: leggere e ancora leggere rigorosamente romanzi d’amore, “riempiendosi al tempo stesso di dubbi e di risposte”. Non possedendo alcun libro, però, è sempre costretto a farseli prestare da tutte quelle persone che hanno la possibilità di andare periodicamente in città. Le scene in cui vengono descritte le impressioni di Antonio riguardo ai libri, i pensieri che scaturiscono dalle letture, e lo struggimento per i personaggi che via via incontra, sono di una dolcezza che commuoverebbe anche i cuori più duri.
In poco più di 130 pagine, Lucho, riesce a creare nel lettore le emozioni di un’intera saga, ci si ritrova su un’altalena emotiva dalla quale dispiace dover scendere a fine libro, viene voglia di “pagare un altro giro” e poi un altro ancora, fino a saziarsi di dolori e gioie, lacrime e sorrisi. In poco tempo si è costretti a fare i conti con la violenza di alcuni esseri umani ma anche con la bellezza disarmante di altri, per non parlare delle riflessioni che siamo chiamati a fare rispetto al trattamento che stiamo riservando all’ambiente, grande malato dei nostri tempi. Penso che le ultime righe del romanzo siano le migliori per concludere anche questo articolo la cui autrice, a modo suo, continua a credere e a battersi per un mondo migliore:
“…si avviò verso El Idilio, verso la sua capanna, e verso i suoi romanzi, che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana”.
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