365 giorni, Libroarbitrio

I Lunedì di LuccAutori – Si fa presto a dire chiodi – Giulio Artom

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Maria lo aveva pregato di essere gentile, almeno per una sera.
“Luigi, è la prima volta che invitiamo a cena i Colombo, sono i nostri nuovi vicini di casa, evita di metterli in imbarazzo”.
“Non capisco che bisogno ci sia di invitarli, non abbiamo nulla da dirci e organizzare cene ti crea inutili ansie.”
In realtà la serata era iniziata bene, Maria aveva offerto l’aperitivo, una cena di quattro portate, il caffè e il liquore distillato in casa con i cioccolatini. Il Luigi all’inizio aveva perfino parlato un po’ con il Signor Colombo degli imminenti lavori di manutenzione straordinaria nel condominio spiegandogli che secondo lui il geometra era un incompetente e il progetto per l’impermeabilizzazione del tetto era pieno di errori. Poi, dopo la macedonia, si era chiuso nel suo mutismo, con lo sguardo fisso nel vuoto e gli sbadigli mal trattenuti. A nulla erano valse le occhiatacce di Maria, finché, alle dieci e mezza, con la conversazione che languiva nonostante gli sforzi della padrona di casa, il Luigi proclamò:
“Maria andiamo a letto, che i signori vogliono andare a casa.”
A nulla erano valse le scuse di Maria per quella uscita inopportuna e le sue richieste agli ospiti di rimanere ancora un po’. Dopo di che i Colombo salutarono e lasciarono frettolosamente casa Recalcati.
Maria avrebbe voluto fargli la solita scena madre, ma sapeva che tanto non sarebbe servito a nulla. Per il Luigi a quell’ora si andava a letto. Così come al cinema quando il film giallo si prolungava e lui lasciava la sala prima della fine senza preoccuparsi di conoscere il finale. Al ristorante invece si alzava annunciando ai commensali: “Ho finito, andiamo”, senza curarsi che tutti avessero terminato.
Coricarsi alle dieci e mezza era una delle tante regole che scandivano la sua giornata, come i due caffè doppi senza zucchero in tazza grande e con latte freddo a parte, uno la mattina al bar dell’angolo e l’altro a casa dopo pranzo e la sequenza di lettura delle pagine del Corriere della Sera: dapprima i necrologi, poi lo sport, quindi la cronaca cittadina e via via tutte le restanti notizie. Con un altro ordine invece Luigi Recalcati risolveva i giochi della Settimana Enigmistica che acquistava ogni sabato mattina alla stessa edicola. Quanto ai libri Luigi ne leggeva molti, ma tutti dello stesso autore, anzi autrice, Corin Tellado, una delle più prolifiche di tutta la storia della letteratura. Era abitudinario anche nell’alimentazione, fatta solo di pesce d’acqua dolce, carni bianche e verdure a vapore, e nella gestione del suo guardaroba che a ogni stagione si arricchiva di un completo grigio a un petto, tre camicie millerighe celesti con collo alla francese e due cravatte regimental.
Ma era nel suo negozio di ferramenta che il Luigi Recalcati dava il meglio di sé stesso, soprattutto quando un cliente aveva bisogno di qualche chiodo per appendere dei quadri.
“Lei la fa facile, si fa presto a dire chiodi. Come li vuole? A testa piana, bombata, fresata, a gruppino? In ferro lucido, ottonato, nichelato, zincato? E lo spessore? la lunghezza?
“Ma non saprei, pensavo a quei chiodi curvi, per i quadri…”
“Caro il mio Signore, i chiodi si curvano solo quando si picchiano col martello in modo sbagliato. Probabilmente Lei si riferisce ai cancani, ma questa è tutta un’altra storia. Ci sono cancani quadri a punta, tondi, striati, a vite, tipo volo, neri, lucidi, cancanetti zincati, ottonati… La scena si risolveva sempre nello stesso modo, fin quando il cliente, stremato, finiva col far venire il Luigi a casa per un sopralluogo a pagamento al fine verificare che razza di chiodo sarebbe servito.
Una sera, prima della chiusura, un uomo si presentò in negozio:
“Buonasera, vorrei cinque anelli per ancoraggi in acciaio con occhio saldato a passo mordente da dodici millimetri”
“Bene! quando una persona è preparata tutto è più veloce”, esclamò il Luigi voltandosi a cercare gli anelli.
“Certo, vedrà che stasera facciamo proprio in fretta” disse tranquillo l’uomo puntandogli la rivoltella alla schiena. Ammutolito e tremante il Luigi gli consegnò senza fiatare l’incasso della giornata.
“Ha visto come ci siamo sbrigati, a proposito, sa che ora è?”
Guardando l’orologio d’oro che teneva al polso il Luigi si accorse che l’altro lo fissava facendo cenno di sì con la testa. Senza dire altro si slacciò il Rolex e lo porse tremante all’uomo, che se ne uscì in fretta dal negozio scomparendo veloce nel buio della sera.

Racconto “Si fa presto a dire chiodi”  scritto da Giulio Artom
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I Lunedì di LuccAutori”

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