365 giorni, Libroarbitrio

Giovanni Pascoli e il suo approccio fantastico con la realtà

Roma 7 settembre 2013

Giovanni Pascoli

Giovanni Pascoli nacque nel 1855 a San Mauro di Romagna, paese in cui trascorse l’infanzia.

All’età di sette anni entrò con due fratelli nel collegio dei Padri Scolopi di Urbino.

cinque anni dopo perdette il padre, assassinato da sicari rimasti ignoti, e nell’arco di pochi anni morirono anche la madre, la sorella maggiore e due fratelli.

Questi eventi tragici segnarono profondamente la sua sensibilità e furono presenti, in modo ossessivo, in tutta la sua produzione poetica.

Ottenuta la maturità liceale a Cesena, si iscrisse alla facoltà di lettere e filosofia a Bologna, dove ebbe come professore Giosuè Carducci.

Nel periodo universitario maturarono le sue idee politiche: conobbe Andrea Costa, fondatore del Partito socialista rivoluzionario di Romagna, e con lui militò nell’Internazionale socialista, collaborò al giornale rivoluzionario “Il Martello”, finì in prigione per aver partecipato a una manifestazione di protesta  a sostegno di un anarchico.

Nel 1882 si laureò in letteratura greca, con una tesi sul poeta Alceo, e iniziò l’attività di docente prima nei licei di Matera, Massa, Livorno e poi presso le università di Messina, Pisa e Bologna.

Visse gli ultimi anni della sua vita con la sorella Maria, a Castelvecchio in provincia di Lucca.

Come emerge dal testo in prosa Il fanciullino, per Pascoli la poesia è la disposizione infantile a stupirsi, la capacità di intuire le emozioni e i sentimenti riposti nelle pieghe più intime dell’io, di cantare il mistero delle piccole cose, di inventare un approccio fantastico con la realtà.

L’opera in versi del poeta comprende le raccolte Myricae, sulla pace della vita agreste, Primi poemetti, su momenti, fasi, aspetti della vita contadina, Canti di Castelvecchio, sull’autobiografismo più inquieto, Poemi conviviali, sui suoi rapporti con la classicità, Odi e inni su temi politici, sociali e civili.

A domani

LL

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Giosue Carducci: l’Anafora

Roma 26 giugno 2013

Carducci studiò e si laureò in lettere a Pisa, sviluppando la sua formazione umanistica e un’avversione antiromantica nei confronti di Manzoni. Sul piano politico, dopo gli entusiasmi rivoluzionari della gioventù, aderì al progetto monarchico-costituzionale del nuovo Stato Italiano. Nel panorama letterario del secondo Ottocento, Carducci fu isolato cantore dei valori ideali ed estetici della classicità. Nel 1907 ottenne il premio Nobel per la letteratura. L’uso dell’Anafora nelle poesie del Carducci è molto ricorrente, di seguito nella poesia Nevicata il poeta, ai versi 3 e 4, con la ripetizione della negazione “non”, insiste sulla sensazione del silenzio nella città sotto la neve.

Nevicata

Lenta fiocca la neve pe ‘l cielo cinereo: gridi,

suoni di vita più non salgono da la città,

non d’erbaiola il grido o corrente rumore di carro,

non d’amor la canzone ilare e di gioventù.

Da la torre di piazza roche per l’aere le ore

gemon, come sospir d’un mondo lungi dal dì.

Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati; gli amici

spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.

In breve, o cari, in breve – tu calmati, indomito cuore –

giù al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò.

 

In un’altra sua poesia molto famosa, Pianto antico, le due martellanti anafore dell’ultima strofa esprimono la tragica consapevolezza della morte del figlio:

sei nella terra fredda,

sei nella terra negra;

né il sol più ti rallegra

né ti risveglia amor.