365 giorni, Libroarbitrio

La poesia giocosa e il ditirambo II parte

Roma 23 aprile 2013

D’ogni intorno era giorno, adorno e chiaro

di qua e di là nella città di Piero,

e s’udia per la via “tocca cocchiero”

e dicea “calde cialde” il ciambellaro.

Come abbiamo letto nel post precedente il Leporeo fa’ della sua ricerca il suo studio, egli oscilla fra paesaggi realistici, riflessioni morali, indagini, e confessioni autobiografiche. Ma a tanta fatica di escogitazioni metriche e verbali non corrisponde nessuna profonda novità. Il gusto dell’oscuro, del difficile e del raro alimenta anche, accanto alla poesia ionadattica , in una specie di esoterismo burlesco e conviviale, quella enigmistica per la quale fu famoso a Firenze Antonio Malatesti.

A firenze alcuni scrittori con la forza della loro personalità e nello sfondo e nel quadro del pubblico delle accademie, riprendono i modelli di tutto un genere letterario e li consacrano con celebri e significativi esempi.

Un aspetto e una cadenza particolare del giocoso segna il Bacco in Toscana di Francesco Redi, come ditirambo esso ha immediati antecedenti nel tema e nella struttura di polimetro. L’ondeggiare di metri, il piglio talvolta estroso, i giochi fonici si ripercuotono in lui da pagina a pagina, dall’alternanza di quaternari e ottonari di

Damigella / tutta bella

sino all’estrema saturazione di parole composte del Ditiramb all’uso de’greci:

Ecco l’alme reali,

non mai disattristate,

curvaccigliata ambizion disbrana;

e le dimesse menti ognor tormenta

la corinfestatrice povertate:

l’arcier di Citerea

disviscera ad ognor la giovinezza.

A domani

LL