“Cos’è quel rumore?”
Il vento sotto la porta.
“E ora cos’è quel rumore? Che sta facendo il vento?”
Niente ancora niente.
E non sai “Niente? Non vedi niente? Non ricordi Niente?”
Ricordo Quelle sono le perle che furono i suoi occhi. “Sei vivo, o no? Non hai niente nella testa?”
Ma 0 0 0 0 that Shakespeherian Rag… Così elegante Così intelligente “Che farò ora? Che farò? Uscirò fuori così come sono, camminerò per la strada Coi miei capelli sciolti, così. Cosa faremo domani? Cosa faremo mai?” L’acqua calda alle dieci. E se piove, un’automobile chiusa alle quattro. E giocheremo una partita a scacchi, Premendoci gli occhi senza palpebre, in attesa che bussino alla porta.
Lié Larousse nasce in un circo itinerante tra stoffe di taffetà ruvida seta in baco e carta straccia. Non sa che giorno fosse né l’anno né la direzione che prese il treno, forse spinto sulle rotaie dal canto stridulo di ogni palpitante sterzata o forse dalle urla del parto di un’ipotetica madre immaginata sotto ogni forma. Quel che è certo, è che, quell’ammasso di ferro legna e carne in transito era vivo, colmo di saltimbanchi, clown, bestie, lustrini e paillette.
– Lié faceva caldo, quello, si me lo ricordo, ma fuori di qui cara, un freddo, quello anche mi ricordo, e poi non insistere con me, chiedi a Mr Freak ti saprà dire di più – .
Mr Freak, bellissimo, alto l’inimmaginabile irremovibile dal suo sgabello con la fisarmonica in grembo e l’armonica alla bocca, appena la vedeva sbucare dal nulla la spostava di lato col bastone argenteo imperando -Fsthgrfth!- .
Lié continuò a chiedere.
Chiese a tutti, ai giocolieri con le clave, a Sir Amour il clown così tanto triste d’esser meravigliosamente felice, al mangia fuoco Evviva con la tutina gialla aderente e le polpette puzzose di petrolio, alla signorina Edena la donna più bella dell’universo con tre capezzoli, ai due antichi teatranti Ostilis, a Cano lo straordinario pianofortista quadrupede, al triste Robért col trucco sempre al contrario e il diario nascosto che solo lei sapeva dove trovare.
Nulla.
Nebbia .
Ombre.
Ogni risposta una chiusura di porte senza maniglie.
Inerme ad ogni ingresso riappariva lui, bellissimo, ad attenderla sempre, l’incomprensibile Mr Freak.
Ma si narra che fu all’imbrunire di un tempo senz’etere, che un uomo, con la mascella serrata e gli occhi di sangue, vestito di cicatrici d’acciaio salì sulla carrozza 17 di quel malridotto treno. Stese una coltre di cellulosa ricoprendo l’intera cabina che iniziò a riempirsi d’acqua di mare e le sue mani elettrizzate dalle correnti vorticarono una tempesta di dipinte parole e pesci mille colori nuotavano balzando di vagone in vagone e sabbia dorata ondeggiava nella forma dei desideri e zampilli d’acqua cristallina si infrangevano contro lamiere e corpi componendo musica di tutte le note. Gli abitanti del treno si precipitarono ad ammirare la magia, e tra chi applaudiva entusiasmato e chi vociferava pettegolezzi la voce dell’incomprensibile Mr Freak, bellissimo, alto l’immaginabile irremovibile dal suo sgabello con la fisarmonica in grembo e l’armonica alla bocca, mise tutto a tacere imperando: – Lié, lui è il Guerriero Poeta. Tuo Fratello! –
Così oggi, ad un età inconsapevole, con i capelli spagliati di un colore incolore, vi presento storie di genti del mondo, com’erano e in astratte forme come saranno, qui, dietro le quinte di questo palcoscenico fluttuante leggerete l’idillio della vita degli esseri quali siamo dove conduce. Col mio unico ricordo. Vero. Solo mio. Che d’improvviso di giorno o in sogno m’appare, col profumo caldo di neve silenziosa e sale marino.
Come è nel vostro verbo sarò acqua liscia e trasparente fluirò via mescolerò cammini e gradino dopo gradino scoprirò chi sono creando già da ora il mio oggidomani grazie Guerriero Poeta. Lié
Non ce la fanno i belli muoiono tra le fiamme:
sonniferi, veleno per i topi, corda, qualunque cosa.
Si strappano le braccia,
si buttano dalla finestra,
si cavano gli occhi dalle orbite,
respingono l’amore
respingono l’odio
respingono, respingono.
Non ce la fanno i belli non resistono,
sono le farfalle,
sono le colombe,
sono i passeri, non ce la fanno.
Una lunga fiammata mentre i vecchi giocano a dama nel parco.
Una fiammata,
una bella fiammata mentre i vecchi giocano a dama nel parco, al sole.
I belli si trovano all’angolo di una stanza
accartocciati tra ragni e siringhe,
nel silenzio,
e non sapremo mai perché se ne sono andati,
erano tanto belli.
Non ce la fanno i belli muoiono giovani e lasciano i brutti alla loro brutta vita.
Amabili e vivaci: vita e suicidio e morte mentre i vecchi giocano a dama sotto il sole nel parco.
Quando siamo all’osteria
di questa terra non ci importa più,
ma giochiamo in allegria
e non la smettiamo più.
Quel che si fa in un’osteria,
dove il denaro in vino si butta via
è giusto che voi sappiate,
dunque ciò che vi dirò ascoltate.
C’è chi gioca, c’è chi beve,
c’è chi malamente vive.
Chi nel gioco si accanisce
tutto nudo poi finisce.
Ma c’è pur chi si riveste
e chi di sacchi si fa una veste.
Qui nessuno teme la morte,
ma per il vino si gioca la sorte.
Prima un brindisi per la vincita nel gioco,
i viziosi iniziano così,
poi per i prigionieri e per i vivi bevono ancora un poco,
poi per tutti i cristiani e per chi non è più qui,
la sesta bevuta per le suore vanitose,
la settima per i cavalieri di lande selvose.
L’ottava per i frati perversi,
la nona per i monaci dispersi,
la decima per tutti i naviganti,
l’undicesima per tutti i litiganti
la dodicesima per ogni penitente,
la tredicesima per chi è itinerante
sia per il papa che per il re di questo regno
bevono tutti senza ritegno.
Beve la dama e beve il signore,
beve il cavaliere e il monsignore,
beve questo e beve quella,
beve il servo con l’ancella,
beve il vispo e beve lo stanco,
beve il nero e beve il bianco,
beve il deciso e l’incostante,
bevono il dotto e l’ignorante,
bevono il povero e l’ammalato,
bevono l’esule e lo sconosciuto,
beve il giovane, beve l’anziano,
bevono il vescovo, e il decano,
beve il fratello, beve la sorella,
beve la madre, beve la zitella,
beve questa, beve quello,
bevono cento, bevono mille.
Sei denari durano niente,
quando si beve senza misura,
benché sia serena la mente.
Il disprezzo è cosa sicura
verso di noi tutta la gente
che nulla offre alla nostra arsura.
Chi ci denigra sia dunque castigato
e fra gli onesti non sia annoverato.
Che cosa determina la psicologia degli esseri umani?
Nel complesso di Edipo, di certo la più popolare fra le dottrine psicoanalitiche, Freud sintetizza la sua rivoluzionaria visione dell’infanzia.
Il bambino non è quell’essere puro e asessuato descritto dalla tradizione; se pur del tutto inconsciamente anche il fanciullo, come l’adulto, è dominato dall’istinto sessuale.
Anzi, più precisamente, il bambino vive una sessualità “perversa”, ossia egocentrica, fissata negli oggetti d’amore e totalmente “desiderante”, ossia indifferente al principio di realtà.
L’oggetto dell’amore infantile è in particolare la madre, l’oggetto della sua gelosia il padre, il cui posto egli vorrebbe occupare.
Freud scorse nell’antica tragedia di Edipo un mito fortemente rivelatore dei meccanismi dell’inconscio: nella storia di Edipo, che sposa senza saperlo la madre dopo aver ucciso il padre, anche in questo caso senza piena consapevolezza del proprio atto, è contenuta una fantasia inconscia attraverso cui ogni bambino è destinato a passare.
Dice Freud:
“Come Edipo, viviamo inconsapevoli dei desideri, offensivi per la morale, che ci sono stati imposti dalla natura, e dopo la loro rivelazione noi tutti vorremmo distogliere lo sguardo dalle scene della nostra infanzia”.
La categoria della prosa d’arte è stata catalogata come mezzo di riferimento per intendere e distinguere alcuni autori del Seicento. Fra tutti i maggiori esponenti di questa corrente sono Francesco Fulvio Frugoni, Giovanni Agostino Lengueglia e Daniello Bartoli, consacrato come stilista in senso negativo e in senso positivo da una secolare ammirazione.
Sono scrittori per i quali la tecnica letteraria a un valore preminente e sollecita un impegno particolarmente acuto. Il gusto e il gioco delle metafore può distendersi, moderarsi e risolversi in un trasporto di simboli nel Bartoli, ma non mancare del tutto in nessuno.
Dal rapporto diversamente calcolato tra descrizione e metafora deriva la caratteristica di questo stile e insieme la differenza fra l’uno e l’altro scrittore. I temi e la direzione intellettuale o ideologica del Bartoli e del Frugoni li avvicinano alla prosa saggistica e di fantasia morale che in Europa dava prova di sé nei grandi esempi da Montaigne e Quevedo.
Ma questi scrittori italiani si impongono per brani e per frammenti, avvicinando alcuni scritti, come quello del Bartoli, alla prosa scientifica e a Galilei.
Gli aspetti contraddittori della società italiana si possono conoscere nella differenza che corre tra il movimento della prosa galileiana, che contempla e cerca la novità come verità e non come bizzarria e meraviglia, e il gioco di eleganti ed immobili specchi della prosa d’arte.
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