365 giorni, Libroarbitrio

COME DUE GIRASOLI IN UNA BIRRA – inedito di GIANLUCA PAVIA

come due girasoli in una birra poesia Pavia.jpg

Se solo riuscissimo
a stringerla tra le mani
tutta questa paura
e strozzarla quanto lei ci soffoca,
appallottolarla e mettercela in tasca
tra spicci, cuffiette e briciole di tabacco,
potemmo magari, un giorno, scagliarla
via, lontano,
come un sasso sul pelo dell’acqua
e contare quanti salti fa
prima di affondare quanto lei
ci trascina giù
dove è sempre buio, e freddo
da penetrare le ossa
e sbranarle dall’interno.
Se solo potessimo
guardarci con occhi sinceri,
come quelli dei bambini,
e scordarci
di quando eravamo bambini,
dei pomeriggi soli nei cortili
e fare a botte con gli altri
solo per sentirci vivi
– naso rotto, nocche spaccate –
ma con una lastra al petto
sarebbe fin troppo facile
capire dove fa veramente male.
Se davvero fossi in grado
ti darei i miei, di occhi
per vederti come io ti vedo
e io con i tuoi
vedermi come tu mi vedi
allora, forse sì, lo capiremmo
d’essere belli
come rugiada su una rosa
dal cemento di un carcere.
E scassinarla questa gabbia
toracica,
prendere fiato e urlarcelo
d’essere belli
come due girasoli in una bottiglia di birra,
scegliere le parole giuste
poche e chirurgiche
e scrivercelo con le nuvole
AMAMI AMATI AMIAMOCI
e fanculo la paura.

di Gianluca Pavia
in attesa di #WHISKEYESODACAUSTICA in uscita a Febbraio 2020, già a lavoro per la raccolta del 2021
PH: Sara Teodori
Birra come sempre 100% Eternalcity Brewing – ECB
Lié Larousse DuediRipicca 

365 giorni, Libroarbitrio

I Lunedì di LuccAutori -La nostra rosa – Enrico Valdès

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Fu il suo regalo per il compleanno della madre, quando lui aveva vent’anni, un vaso fiorito di rose gialle, bordate di scuro e profumate.
Luca abitava con la famiglia in un appartamento in città, poco adatto però alle esigenze di aria e sole della piccola pianta.
Sua madre la curava con sollecitudine e la teneva nella stanza più luminosa, le attenzioni erano tante, ma la piantina non cresceva, le foglie si raggrinzivano e cadevano. Era destinata a seccarsi.
In giugno la famiglia si trasferì nella casa al mare e, con loro, si spostò anche quel vaso con i suoi deboli rametti spinosi.
In un angolo del giardino la rosa venne messa in piena terra, era l’ultimo tentativo per farla sopravvivere.
Ogni mattina la madre la scrutava ansiosa, sperando che la linfa vitale non si fosse esaurita, e in luglio, come per miracolo, la piantina riprese forza, spuntarono nuove gemme, foglie e fiori profumati.
“Vedi, – disse la madre a Luca – la rosa non si è arresa.”
Passarono le stagioni, la piantina divenne pianta, il giardiniere la potava e diventò forte, con spine acuminate e fioriture esuberanti.
Faceva parte oramai del giardino, era come se da sempre fosse esistita là, ed era lei la preferita della madre, che l’aveva salvata con le sue cure.
Con la rosa lei e Luca avevano un legame speciale, un vincolo non detto tra madre e figlio.
Molti anni, boccioli, petali e profumo.
Ogni volta che Luca entrava nel giardino il suo sguardo correva alla rosa e al ricordo dei suoi vent’anni. Con la madre passavano là davanti e si fermavano, felici o tristi, parlavano o tacevano.
Luca diventò adulto e la madre anziana, indebolita dalle malattie, camminava con difficoltà ma, quando il figlio le era accanto, si sentiva forte e non si lamentava di alcuna sofferenza.
Gli ultimi anni li trascorse tra poltrona e letto, senza mai abbandonare il suo sguardo coraggioso e dolce.
L’ultima sua estate, dal letto chiese a Luca di sollevarla, di metterla seduta.
“Cosa vuoi fare?” lui le domandò.
“Vorrei vedere la nostra rosa.”
Era la prima volta che la chiamava “la nostra”, e lui ne fu colpito, si commosse, i suoi occhi divennero lucidi.
Lei osservò a lungo la rosa da lontano. Era fiorita.
“Vorrei sentirne il profumo.” gli disse.
Luca l’accontentò e, tra le sue mani dalla pelle sottile, ne mise un bocciolo.
Lei l’aspirò,“Che bel profumo, – disse – senti.” e Luca si avvicinò, le trattenne le mani tra le sue e respirò l’aroma del “loro” fiore.
Erano passati dieci anni da quando la madre se ne era andata, portando via con sé quel suo speciale sorriso, e tutto cambiò.
Cambiò anche il giardino della casa al mare, con nuovi alberi, nuovi cespugli e nuovi rampicanti.
La terra venne smossa, rivoltata attorno alla rosa, che soffrì e divenne spoglia.
Giunse l’estate, il sole prosciugò le zolle, della pianta rimasero tre soli rami nudi, e il giardiniere disse che, forse, non si sarebbe ripresa.
Vicino a essa un prato verde, piante e fiori rigogliosi, solo la rosa era inerte, come senza vita, ma l’acqua tornò a dissetare il terreno e le sue radici.
Luca ogni giorno la guardava con speranza, e infine spuntò un germoglio, poi ne vennero altri, e ancora giovani foglie. Comparve per ultimo un bocciolo come quello che sua madre tenne un giorno tra le mani, con lo stesso profumo, e Luca risentì la voce di lei.

Aiutami, – mi chiese –
sollevami dal letto,
voglio veder la rosa
che un giorno mi donasti.”

Crebbe laggiù la pianta,
con spine e verdi foglie,
con boccioli e con petali,
gialli e di scuro orlati.

Rinascono ogni anno,
e ancora qua profumano.
Era la nostra rosa,
ricordo di mia madre.

Racconto “La nostra rosa”  scritto da Enrico Valdès
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I lunedì di LuccAutori”

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“Racconti nella Rete 2016”
edito da Nottetempo, a cura di Demetrio Brandi,
in tutte le librerie a distribuzione nazionale
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365 giorni, Libroarbitrio

“Le Lettere” Sharon Olds

incastrata nella tela del ragno

La macchina entrò nel vialetto al crepuscolo e si fermò.
La donna scese sotto i giganteschi alberi neri,
andò in giardino e sentì che c’era qualcuno,
qualcuno furioso. Gli alberi erano inzuppati di oscurità
e i germogli cacciavano fuori i loro coltelli.

Rimase fuori del suo giardino
e vide come i fusti flettevano i loro muscoli
e tutto l’appezzamento sembrava una tomba
dalla quale qualcuno stava  tentando di uscire.

All’improvviso
sentì alzarsi un’ombra enorme
e correre via – la sua mano andò al collo
bianca come una radice.

Lei fu casa, poi.
Questo era il suo luogo, quello fra tutti gli altri
dove aveva paura di camminare, dove c’era sempre qualcuno
arrivato prima, che lo occupava contro di lei
ad ogni costo.

365 giorni, Libroarbitrio

” Tu la notte io il giorno” Antonia Pozzi

1991

 

(ritrovare un giorno luminoso a nove anni )

Tu la notte io il giorno
così distanti e immutevoli
nel tempo
così vicini come due alberi
posti uno di fronte all`altro
a creare lo stesso giardino
ma senza possibilità di
toccarsi
se non con i pensieri
Tu la notte io il giorno
tu con le tue stelle e la luna
silenziosa
io con le mie nuvole ed il
sole abbagliante
tu che conosci la brezza
della sera
ed io che rincorro il vento
caldo
fino a quando giunge il
tramonto
nella completezza della luce
fioca
ondeggiante come la marea
in eterna corsa

365 giorni, Libroarbitrio

1989

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Credo nel Signore
creatore del Cielo e della Terra
da far vibrare l’anima mia libera
di non dovere nulla all’uomo.

Questa mattina durante la ricreazione Laila è scomparsa.
L’ho cercata ovunque. In fondo la classe. Nell’armadio dei giochi. Ai cappotti. Dal bidello. Nei bagni. Ho guardato fuori dal finestrone che da sul cortile. Ho corso in fondo in fondo, proprio giù dove quasi finisce la scuola spiando in tutte le classi. Mi sono affacciata sul giardino. Nella palestra.
E’ andata via?
Poi.
La maestra mi ha preso per un braccio e arrabbiatissima ha detto che tutti mi cercavano. Io fissavo i suoi occhi zitta. Credo che odora di mamma. Le mamme forse profumano tutte uguali?.
Poi ha pure detto che la ricreazione era finita da un bel pezzo e siamo rientrate in fretta in classe.
Mi sono seduta al banco. Dalla cartella ho preso il mio quaderno preferito con tutti i disegni di insetti che volano. Ma una mano piccola l’ha acciuffato prima di me.
Laila!
Come se nulla fosse. Come se io non la stavo cercando da un sacco di tempo eccola qui col suo sorrisetto.
Ma dove eri? Avrei voluto chiederle. Ma ho fatto un sorriso grande anche io e non le ho detto nulla.
L’ho lasciata in pace.

L.L.