Ma la notte ad Amore mi dedico e ad altre cure:
resto a metà col sapere, ma doppio è il piacere.
Forse non è scienza spiare le forme del caro seno
e portar la mano giù lungo i fianchi?
Solo allora capisco;
vedo con occhio che sente, sento con mano che vede.
Tag: Germania
“Di vetro son fatti” Giovanni Boccaccio
William Turner – Sunset over a lake
Vetro son fatti i fiumi, e i ruscelli
gli serra di fuor ora la freddura;
vestiti son i monti e la pianura
di bianca neve e nudi gli arbuscelli,
l’erbette morte, e non cantan gli uccelli
per la stagion contraria a lor natura;
Borea soffia, ed ogni creatura
sta chiusa per lo freddo ne’ sua ostelli.
Ed io, dolente, solo ardo ed incendo
in tanto foco, che quel di Vulcano
a rispetto non è una favilla;
e giorno e notte chiero, a giunta mano,
alquanto d’acqua al mio Signor, piangendo,
né ne posso impetrar sol una stilla.
“Il tamburo di latta” Gunter Grass
Si può iniziare una storia nel bel mezzo e procedendo arditamente avanti e indietro impiantare un grandissimo casino.
Si può ostentare modernità, depennare tempi e distanze e a cose fatte proclamare che finalmente e all’ultima ora il problema spazio-tempo è stato risolto. Si può anche affermare, proprio in incipit, che oggi giorno è impossibile scrivere un romanzo, ma dopo, per così dire alle proprie spalle, scaricare un bestseller bello grosso e ritrovarsi eletto ad ultimo romanziere possibile. Inoltre ho sentito dire che brilla per modestia chi all’inizio pretende: che non esistono più gli eroi da romanzo, perché gli individualisti non esistono più, perché l’individualità ci è scappata di mano, perché l’uomo è solo, ogni uomo solo allo stesso modo, senza alcun diritto alla solitudine individuale, e costituisce una massa solitaria senza nomi e senza eroi. Sarà così e sarà giusto così. Tuttavia per me, Oskar, e per il mio infermiere Bruno vorrei constatare che: noi due siamo eroi, eroi radicalmente diversi, lui dietro lo spioncino, io davanti allo spioncino; e quando lui apre la porta noi due, con tutta l’amicizia e la solitudine, siamo ancora ben altro che un’anonima massa senza eroi.
“Qualcosa di infantile, ma naturale” Samuel Taylor Coleridge
23 aprile 1799
(Scritto in Germania)
Se avessi solo due piccole ali
e fossi un piccolo uccello piumato,
da te volerei, mia cara!
Ma pensieri come questi sono cose vuote,
ed io rimango qui.
Ma nel mio sonno da te volo:
sono sempre con te nel mio sonno!
Il mondo è tutto proprio.
Ma poi ci si sveglia, e dove sono?
Tutto, tutto solo.
Il sonno non rimane, nonostante le offerte di un monarca :
allora amo risvegliare qui il rompere del giorno:
perché nonostante il mio sonno sia andato,
eppure mentre è buio, si chiudono i coperchi
e si continua a sognare.
Johannes Bobrowski “Luce d’inverno”
Roma 18 dicembre 2013
In questa notte
sto ad ascoltarvi, fiumi lontani,
il vostro primo ghiaccio,
a lungo. Quella sottile
nota di giunchi io sento; il villaggio
dorme.
Infanzia, bruna, una fredda
acqua di pozzo, sabbiosa –
Sempre oscillava il secchio di legno
giù verso il fondo. Chi veniva
lo scioglieva dalla catena di ruggine?
Ah, chi beveva?
Delle nostre capanne, oscura,
parlante bontà, il loro soave
verbo è coperto di neve,
bisbiglio di comari e richiami di bimbi –
Tempo di colori lillà
un giorno, lì nel cielo migrante
sospesi uccelli, in dileguante
chiarore: il cielo
si fermava,
ristava sul tetto del fienile, più spesse
in silenzio captava dentro le ombre.
Inverno si faceva sempre.
Con ali di colomba calava
più fonda l’azzurrità, un pendulo
tetto, baluginando tacita
sopra il mondo.
E il grido del cacciatore
per il declivio balzava, contro la neve
silente. O profonda
nerezza! Il tuo cuore
pieno di luce!
Noto e celebrato in Germania finché l’assegnazione del premio “Gruppo 47” nel 1962 estende la sua fama a livello internazionale.
La capacità di usare nello stesso contesto naturalezza e artificio conferisce a Bobroswski un posto particolare nella poesia tedesca del dopoguerra, e lo pone al di fuori e al di sopra della polemica tra conservazione e avanguardia.
A domani
Lié Larousse
Georg Trakl “Canto della sera”
Roma 8 novembre 2013
A sera, andando per sentieri bui,
le nostre scialbe immagini ci appaiono.
Quando ci coglie sete
beviamo l’acqua chiara dello stagno,
dolcezza della nostra triste infanzia.
Morti sostiamo sotto il cespuglio di sambuco,
scrutiamo i grigi gabbiani.
Nubi di primavera sovrastano la cupa città
che tace età più nobili di monaci.
Quanto è passato
da quanto presi le tue mani gracili
e alzasti gli occhi tondi, dolcemente.
Ma se cupa armonia penetra l’anima, tu appari,
chiara nel paesaggio d’autunno dell’amico.
Da Georg Trakl, Le più belle poesie, a cura di Giorgio Luzzi, Crocetti, Milano 1993
A domani
Lié Larousse
Robert Musil : il disordine come principio ordinatore
Roma 28 agosto 2013
Robert Musil nacque a Klagenfurt (Austria) nel 1880 da una famiglia borghese benestante.
Il padre, docente al Politecnico di Brunn (oggi Brno), lo fece educare in un severo collegio militare, poi Robert ottenne di iscriversi al Politecnico dove si laureò in ingegneria.
Tra il 1902 e il 1903 fu assistente all’università di Stoccarda ; resosi conto del suo calo d’interesse nei confronti del mestiere di ingegnere , incominciò a scrivere.
Si trasferì a Berlino per intraprendere studi di psicologia e, nel 1908, prese la seconda laurea; da due anni era stato pubblicato con successo il suo primo romanzo.
Deciso a fare della letteratura la sua unica attività, dopo aver lavorato come bibliotecario, come pubblicista e, dopo la fine della prima guerra mondiale, come archivista presso il Ministero degli esteri, nel 1923 cominciò a dedicarsi esclusivamente al suo romanzo più importante, L’uomo senza qualità, vivendo grazie agli anticipi dell’editore e alle sovvenzioni degli amici.
Con l’avvento del nazismo abbondò la Germania con la moglie Martha, che era ebrea, e si stabilì prima a Vienna e poi in Svizzera, dove continuò a scrivere in povertà fino alla morte, avvenuta a Ginevra nel 1942.
L’opera di Musil segna un passo importante sulla strada del romanzo moderno.
Egli attua il superamento di due strutture narrative tradizionali che erano state i cardini del romanzo realista e naturalista dell’Ottocento: l’intreccio e il tempo cronologico.
La sequenza degli avvenimenti si riduce al minimo, la riflessione prevale sulla narrazione, al punto che il romanzo diventa un romanzo-saggio, con una forte prevalenza di interventi del narratore.
Alla trama viene a mancare il filo conduttore e non si stabiliscono più i legami di tipo causale o temporale.
Tutto appare ordinato e finalizzato solo in apparenza: in verità niente porta a niente e il caos in cui è immersa la realtà viene imitato nella disgregazione delle strutture narrative.
Nel romanzo i personaggi sono rappresentati dalla vecchia società austroungarica in pieno disfacimento alla vigilia della prima guerra mondiale , ma ancora legati ai tradizionali valori di patria e dovere.
Essi perciò si muovono all’interno di schemi noti ma ormai vani e si agitano a vuoto senza perseguire alcun obiettivo, senza individuare alcuna meta possibile.
Da questa contraddizione nasce l’ironia, che finisce col travolgere anche la figura del narratore ormai privato della sua tradizionale onniscenza, in un mondo dominato dal caos, che rende relativa e provvisoria ogni certezza.
A domani
LL
Stefan George e il “culto estetizzante della bellezza efebica”
Roma 7 agosto 2013
Ora d’azzurro
a Reinhold e Sabine Lepsius
Guarda quest’ora d’azzurro, che là
oltre il velario del giardino inciela!
Lei recava ogni raggiante scoperta,
ricompensa alle pallide sorelle.
Palpitante e grande e serena, accorre
infine con le sue nuvole – guarda!
offerta lei d’avvampanti relitti.
Cosa concede dice quand’è inerte.
E ch’esse sì velocemente immote
meditiamo – solo a lei consacrati-
ormai allo stesso modo gli archi tende
caligine d’opulento festino.
Come un accordo di profonda musica
che senza fine paradisa e plora
nel nuovo empireo maggiormente adesca
e più avviva se più si va spegnendo.
Stefan George
Addentrarsi nelle spinose questioni che riguardano la vita di Stefan George è un’impresa rischiosa, e forse il poeta stesso non lo considererebbe un contributo alla sua gloria.
Nato nel 1868 a Budesheim, nel Palatinato assiano-renano, George iniziò presto a viaggiare in Europa seguendo itinerari poetici: poco più che ventenne frequentò a Parigi il cenacolo simbolista, accolto da Mallarmé e Verlaine con ammirazione e stupore per il suo precoce talento poetico, mentre in Inghilterra conobbe, restandone affascinato, Swinburne e i pittori preraffaelliti.
Furono, queste, esperienze determinanti per la sua personalità artistica, influssi che concorsero in modo decisivo alla formazione di quella immagine di “poeta numinoso”, poeta vate, che contraddistinguerà poi tutta la vita di George.
In questi anni si viene formando la sua concezione della letteratura come un evento aristocratico, elitario: la poesia deve essere pura e depurata da residui di contingenza, pervasa da una tensione metafisica che trabocca spesso nel linguaggio vaticinante dell’esperienza mistica.
La lingua tedesca si modella a un’estenuante perfezione formale, messa in rilievo anche da un’attenzione scrupolosa alla squisita presentazione tipografica dei testi, intesa come funzione stilistica.
Al lettore italiano sarà qui risuonato in mente sempre più chiaro il nome di Gabriele d’Annunzio, e infatti il parallelismo tra i due poeti offre moltissimi riscontri, nell’arte come nella vita.
Ma la missione di poeta – vate, tradotta nella realtà biografica, assume caratteristiche alquanto ambigue e inquietanti.
Nel 1890 Stefan George crea un proprio circolo attorno alla rivista “Blatter fur die Kunst”, (“Fogli per l’arte”).
Qui il maestro si contorna di giovani discepoli, da lui accuratamente selezionati secondo criteri semplici e precisi: maschi, belli, efebici, spesso adolescenti, non di rado ancora bambini.
Un’élite di adepti sui quali il poeta esercita un potere assoluto, invasivo e senza scrupoli.
Soggiogati dal carisma del vate, ma anche vincolati dal suo imperioso e capriccioso volere, i giovani si consacrano a lui, si sottopongono a umilianti rituali di adorazione, si votano a una dedizione assoluta, che contempla persino la rinuncia al matrimonio, pena l’esclusione dal circolo degli eletti.
Tutto ciò in nome dell’Arte e dell’Estetica.
Quello che finora nella storia della letteratura era definito come “culto estetizzante della bellezza efebica”, o “trasfigurazione poetica dell’ideale apollineo”, in una recente, ponderosa biografia curata da Thomas Karlauf viene rinominato altrimenti, in una sola parola: pedofilia.
Di fatto, sul versante poetico, tra le più belle liriche di Stefan George si annoverano senz’altro le “Canzoni” dedicate all’efebo Massimino, raccolte in Der Stern des Bundes (La stella del patto, 1914).
Ma indagare soltanto su questa componente della vita del poeta sarebbe miope e riduttivo.
Al di là dell’indiscusso valore dell’opera poetica, la storia di Stefan Geroge e del suo circolo è anche la storia della Germania del Terzo Reich: entrambe sono vicende di sottomissione e di culto dell’autorità, di fanatismo ma anche di grande coraggio.
Uno dei discepoli di George fu infatti quel colonnello Cluas von Stauffenberg, che il 20 luglio 1944 colpì un fallito attentato contro Hitler, collocando una bomba nella baracca del Fuhrer durante una riunione di alti ufficiali nazisti.
Nel 1933, disgustato per l’uso propagandistico che il regime andava facendo delle sue poesie, Stefan George si trasferì in Svizzera, a Minusio, nel Canton Ticino, dove morì quello stesso anno.
A domani
LL
Testo di studio:
Poesia, Speciale 25 anni, Vite di poeta
Donata Berra
Editore Fondazione Poesia Onlus
Johann Wolfgang Goethe maestro di vita
Roma 4 luglio 2013
Maestro di vita del suo popolo e cosmopolitismo culturale, Goethe cantò la moderna inquietudine sentimentale in forme d’arte di rara bellezza ed equilibrio armonico.
Genio precoce, iniziò dalla prima giovinezza la sua produzione letteraria con poesie e testi teatrali, ma divenne famoso, nel 1774, con il romanzo d’amore e morte I dolori del giovane Werther.
Altri romanzi furono La missione teatrale di Wilhelm Meister, Gli anni di noviziato di Wilhelm Meister e Le affinità elettive.
Un autentico capolavoro fu il Faust, mito tragico dell’uomo moderno, costretto dal suo istinto di realizzazione a infrangere continuamente le leggi e le convenzioni della società tradizionale.
Importante è l’ampia raccolta di Ballate, originale rielaborazione di una materia popolare:
Mignon
Conosci la terra dove il limon fiorisce,
arance d’oro splendono tra scure foglie,
dal cielo azzurro soffia un mite vento,
quieto sta il mirto e superbo l’alloro,
la conosci tu forse?
Laggiù, laggiù
vorrei tornar con te, amato mio!
La ballata Mignon, inserita da Goethe nel romanzo La missione teatrale di Wilhelm Meister, ebbe un grande successo tra i suoi contemporanei, per il suggestivo tema romantico della nostalgia.
Mignon era una povera fanciulla, che, rapita in Italia da una compagnia di girovaghi e portata in Germania, veniva poi liberata e protetta da un attore di nome Wilhelm.
La ballata fu musicata da Beethoven, Liszt, Schubert, Schumann e molti altri musicisti romantici.
A domani
LL
La poesia nel XIX secolo: Goethe,Keats, Coleridge, Baratynskij (seconda parte)
Roma 10 giugno 2013
Come abbiamo letto ieri la poesia romantica si sviluppò, durante l’Ottocento, in tutta l’Europa:
In Germania: il secolo si aprì con l’opera di Goethe, grande metafora dell’esistenza, grande sintesi delle sollecitazioni spirituali e degli impulsi più vitali del tempo. Classicista, razionalista, illuminista e romantico insieme, Goethe insegnò come nella poesia fosse fondamentale l’intima connessione tra vita e arte, tra realtà e trasfigurazione metaforica della scrittura. Dopo Goethe i temi prediletti dei romantici tedeschi furono il mito del Medioevo, la fiaba popolare, il mondo del mistero e della magia, il regno dell’ombra come fuga dalla realtà e rifiuto della razionalità.
In Inghilterra: i poeti romantici riscoprirono l’immaginazione, gli istinti, l’emotività e il subconscio. Formularono una nuova concezione della poesia come spontaneo fluire dei sentimenti, espressi con un linguaggio aderente alla realtà quotidiana. La poesia non doveva essere imitazione della natura, ma mediazione tra l’uomo e la natura, secondo proprie leggi e una propria verità. L’idealismo platonico di Shelley, il gusto per il soprannaturale di Coleridge, il senso della natura di Wordsworth, il medievalismo di Keats, l’ironia di Byron,ispirano tutta la poesia del secolo.
In Russia: dominata dal desiderio di un ritorno al patrimonio tradizionale e ai generi alti del poema epico e della tragedia, nell’interno civile di far compiere al proprio paese un passo avanti sulla strada della libertà e del progresso sociale, la poesia russa dell’Ottocento, benché frustata e spesso ridotta al silenzio dalle repressioni dello zar Nicola I, espresse alcuni tra i più importanti poeti di tutta la sua storia: Aleksandr Puskin, il massimo cantore dell’animo umano con i toni di un disincantato gioco intellettuale, Evgenij Baratynskij, definito il Leopardi russo per le sue elegie meditative, Michail Lermontov con i suoi accenti sinceri e sofferti.
A domani
LL
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