365 giorni, Libroarbitrio

“NOI, GENTE CHE SPERA” articolo di Claudia Massotti

Nel 2002 J-AX, al tempo cantante degli Articolo 31, cantava “gente che spera”, all’interno dell’album “Domani smetto”. Ma chi è questo “Noi, gente che spera”?
Nel marzo del 2021, al primo compleanno della crisi pandemica, credo che la gente che spera sia difficile da individuare. In particolare, dove sono i giovani che sperano?
Nella società odierna, sempre più divisa tra una crisi economica, una crisi sanitaria e una crisi di governo, che futuro si prospetta per chi ancora nutre una speranza nel Bel Paese?
Non si può negare che i giovani italiani siano stati al centro delle discussioni che hanno caratterizzato il 2020; d’altronde è risaputo che ad ogni difficoltà corrisponde un capro espiatorio, ma allo stesso tempo non si può negare che la maggior parte dei capi espiatori diventino poi alcune delle principali vittime dei problemi che sorgono. Non è forse vero che noi giovani, sempre più accusati di mancanza di responsabilità, presunti “untori” di un male ancora non decifrato, abbiamo subito un grandissimo impatto da una pandemia che ha stravolto le carte in tavola anche per quanto riguarda il nostro futuro?
Per molto tempo sono risuonate parole apprensive verso le fasce più giovani, come i bambini frequentanti la scuola elementare; un tema di discussione facilmente riscontrabile in qualsiasi talk show pomeridiano della televisione italiana, nel quale opinionisti vari esprimevano la preoccupazione per il gap di istruzione, ed il conseguente “ritardo educativo” che questi bambini subiranno in futuro, ma per chi si trova adesso a dover fare i conti con il proprio destino, ha forse qualche speranza? Per chi ha fame di vita, arde di sogni e ambizioni, c’è forse un futuro? Ad oggi l’ipotesi più rosea sembra risolversi nel passaggio da una videochiamata con un professore ad una videochiamata con dei colleghi d’ufficio, nell’utopistica possibilità in cui si riesca ad ottenere un colloquio e si venga selezionati per un posto vacante.

Che cosa è rimasto ai giovani che ricoprono quella fascia che va dai 20 ai 30 anni se non un debito pubblico da dover portare sulle proprie spalle, una pensione sempre più lontana, così come la possibilità di trovare un lavoro dignitoso che gli permetta di costruire la propria vita?
Ci hanno lasciato chiusi nel cassetto più difettoso dell’intero comodino, dimenticandosi delle nostre lauree, dei nostri titoli, degli stessi curriculum che altro non sono più che fogli per disegnare. Tuttavia, non si sono dimenticati delle nostre tasse universitarie, dell’alto costo dei corsi di formazione, di quel “cerchiamo giovani da formare con esperienza”. Come possiamo dimostrare di che pasta siamo fatti, noi giovani italiani, se non riceviamo il minimo supporto neanche dall’assistenza della rete wi-fi che non funziona più? Cosa è rimasto a noi giovani italiani, che indossiamo sempre la mascherina, igienizziamo le mani, manteniamo le distanze, e passiamo gli ultimi anni di gioventù a cercare di preservare quelle poche certezze verso il nostro futuro che abbiamo faticosamente conquistato? Si è parlato a lungo della “fuga di cervelli”, ovviamente venuta meno ma non totalmente scomparsa in questo periodo di pandemia, tuttavia ciò che ancora non è chiaro è quale sia l’intenzione del paese per far sì che ciò non avvenga. Aspettiamo con trepidante ansia il momento in cui venga riconosciuta la presenza di una popolazione giovane che un domani, più o meno vicino, si troverà a tener in mano le redini di un paese che chissà in quali condizioni ci verrà consegnato. Sempre più ragazzi rinunciano alla vita tra questi nostri confini perché non sono in grado di realizzarvi le loro ambizioni, non lasciamo che i pochi “fedeli” cambino idea fino a che la nazione non si troverà popolata (e decimata) da persone over 65.

Ridateci la voglia di sognare.
Ridateci la speranza che tutta la fatica fatta fino ad ora sia poi ricompensata, che i nostri meriti vengano riconosciuti.
Ridateci le opportunità, le attenzioni, anche solo quella lieve diceria che fossimo il futuro del paese, e non solo versatori di contributi e tasse.
Ridateci la possibilità di fare la nostra parte per aiutare a risollevare la nostra Terra da qualsiasi problema possa affliggerla.
Ridate la speranza a noi, gente che spera.

Articolo di Claudia Massotti

365 giorni, Libroarbitrio

In anteprima la copertina del nuovo libro di Lié Larousse: .la vita comunque. -Bestseller Books Edizioni

copertina libro .la vita comunque. di Lié Larousse.jpg

🔥ECCO LA COPERTINA DEL NUOVO LIBRO di Lié Larousse .la vita comunque. 🔥
In uscita a febbraio 2020, edito dalla casa editrice americana BestsellerBooks & Co.
Del libro ne scrive la prefazione il poeta Er Pinto:
#LiéLarousse inizia i suoi versi mettendo un punto, non a caso sembra che in alcuni momenti questo punto è quello che vorrebbe saper mettere in alcune situazioni della vita, ma che non vuole o non riesce a mettere mai veramente. La vita va avanti, sia per noi senza gli altri, che per gli altri senza di noi. Un egocentrismo altruista. Una generosità egoista. Lasciare qualcosa, lasciarsi qualcosa, invece di lasciarsi scivolare la vita addosso, anche quando non ci si sente poi troppo importanti, e quindi valorizzare ciò che ci circonda: le persone, le cose, la natura. Cogliendo l’attimo, perché è la somma degli attimi che crea il tempo della vita.
La vita è importante.
Viverla soprattutto.
La vita comunque. “

365 giorni, Libroarbitrio

i giorni senza – Lié Larousse

joel-rea-high-velocity
.sospesa in aria
prima di cadere
sfracellandomi come
uno sputo sull’asfalto, so che
brillerò della tua saliva
ridendo di quanto velocemente m’allontano
lasciandoti tutto avanti agli occhi
mentre io vedrò andar via
la tua faccia, le botte
e i giorni senza
giocattoli né baci
né poesie per i poeti.

Lié Larousse
DuediRipicca
#JoelRea

365 giorni, Libroarbitrio

L’Io segreto – Anais Nin

 

Lié Larousse  '00

C’è qualcosa che non va in me.
Voglio soltanto vivere con l’intimo io del prossimo.
Di esso solo mi curo.
Odio vedere la quotidianità della gente,
le loro maschere, le loro falsità,
la loro resa al mondo,
la loro somiglianza agli altri.
A me importa solo l’io segreto.
Cerco soltanto il sogno e l’isolamento.
Guardo la gente che cammina per la strada,
che cammina e nient’altro, ed è questo che sento:
camminano, ma vengono anche trascinati via.
Sono parte di una corrente.
E ho paura che l’amore muoia in un istante.
A.N.

365 giorni, Libroarbitrio

OTTUNDIMENTO – Lindze

 Henry Bowers

Sono le nove del mattino.

Fuori il tempo fa quello che vuole,

fra pioggia e freddo improvviso.

Lui tenta di far finta di nulla.

E’ il suo giorno di riposo

così, solo, stappa una bionda.

Gira per casa come un cane

alla corda, ogni tanto

scarabocchia due righe

su un foglio.

Rolla una sigaretta,

la fuma

la bottiglia di birra finisce.

Scrive altre righe e tenta

di far rientrare in sé

quel maledetto senso

di solitudine,

di non pensare

all’autunno che assedia

la sua stanza.

Si gira una canna.

Cucina qualcosa,

tanto per fare.

Un uovo al tegame

e una bottiglia di rosso.

Mentre beve si gode

il dolce naufragio

verso il mare

mai burrascoso

dell’ottundimento,

si gode lo stordimento

che smussa il dolore.

Poi siede sul divano

con la bottiglia di vino,

di lato il foglio,

continua a scrivere,

la canna

accompagna il suo bere.

E mentre scrive pensa

che sarebbe bello

vedere gente

se solo gente ci fosse,

sarebbe bello

amare

se solo ancora l’amore si trovasse.

E continua a stordirsi.

Un bicchiere di Whisky

mezzo pieno che Lui

percepisce mezzo vuoto.

Guarda fuori,

dalla finestra

una pioggia feroce

si scaglia contro il vetro.

Qui il posacenere poggiato sul davanzale

e la canna

e il suo fumo è un esile filo grigio

che lotta per non scomparire nell’aria,

per mantenere una qualche coerenza.

Pensa seriamente

a come faccia la gente

a restare lucida

e mentre vi riflette

si scola l’ultimo

goccio di Whisky.

Guarda ancora

quel tenue

filamento grigio

che sinuoso

proviene dallo spinello,

e sa

che la sua vita

non è poi così diversa

da quello sfumare nel nulla.

365 giorni, Libroarbitrio

“Rida pure la gente di me” Luis de Gongora

Loveland

Trattino gli altri del governo
del mondo e delle sue monarchie,
io voglio le mie giornate allietate
da freschi burrini e tenere pagnotte,
e nelle mattine d’inverno
succo d’arance ed acquavite,
faccia pure la gente le sue risate.

Quando copre le montagne
di bianca neve il mese di gennaio,
che il mio braciere sia pieno
di bacche e di castagne,
e ci sia chi mi racconti
le dolci storielle del re che si arrabbiò
rida la gente, me ne infischierò.

Cerchi pure  in tempo utile
il mercante nuovi giorni,
io conchiglie e lumache
nella sabbia fina fina,
ascoltando Filomena
sopra il pioppo della fonte,
rida pure tutta la gente.

Poiché Amore è così crudele
che a Piramo e alla sua amata
dona il talamo di una spada,
per tenerli l’un l’altra vicino,
sia la mia Tisbe un pasticcino
e la spada sia il mio dente,
e poi rida pure tutta la gente.

365 giorni, Libroarbitrio

“Follow the sun” Spettacolo di Circoteatro

Un’idea da mettere in movimento

realizzare questo spettacolo

potrebbe diventare qualcosa d’importante

il nuovo circo a Roma negli ultimi dieci anni

è stato portato avanti soprattutto dalla condivisione

e dalla partecipazione dei suoi appassionati

si è evoluto lentamente

con grande sforzo

ottenendo ogni successo

sempre solo con le sue forze

e in questi ultimi tempi

si stanno realizzando i frutti di quegli anni

da Roma

dalle sue strade

e da tutti i suoi posti ho imparato tantissimo

e ora è il momento di restituire quello che ho preso

con gli interessi

realizzando qualcosa che abbia un valore

durante tutto il processo creativo

e che continui a coinvolgere nuove persone lungo la sua strada

e quindi sono andato a dare un’occhiata fuori

per poter essere in grado anch’io

di poter dare un piccolo contributo

a quel che sarà

il seguito della storia

il circo esisterà finché ci sarà un attore

disposto a rischiare fino all’orlo del baratro

e delle persone attorno a lui che lo sostengono

il premio alla fine di tutto

è poter godere insieme dell’impresa riuscita

portando il circo nel teatro si creano delle storie incredibili

per qualche manciata di minuti

tutto diventa possibile

Follow the Sun

Seguire il Sole

non per scappare lontano

ma per far fiorire

quel che si ha intorno

e condividere il suo calore con chi è sulla strada con te

seguire il sole e la VITA

nel loro fluire

cercando di scivolarci dentro

andando a loro stesso ritmo

creando tu

qualcosa di bello

Leonardo Varriale

“Se si insegnasse la bellezza alla gente
la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione
la paura e l’omertà
E’ per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza:
perché in uomini e donne non si insinui più
l’abitudine e la rassegnazione
ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”

Peppino Impastato

SOSTIENI ANCHE TU IL PROGETTO!

Ringrazio in anticipo tutti VOI miei lettori
Lié Larousse

CLICCATE IL LINK DI SEGUITO!

https://www.produzionidalbasso.com/pdb_3715.html

365 giorni, Libroarbitrio

Derrière le faisceau sombre L.L

Roma 2 gennaio 2014

Altalena

Giorni. Probabilmente mesi. Anni. Sì. Sicuramente anni ho passato rincorrendo il volto della gente nel loro via vai sui marciapiedi. Incespicando col respiro, strattonando caviglie e ginocchia ho corso dalla biblioteca comunale priva di libri al campo verde da gioco assente di bambini ostinandomi di vedere, di strappare e tenere per me una parvenza umana labile.
Labile. Labile come il mio immaginario d’essere. Labile come la figura di un ragazzo, giovane uomo, nel momento ideale del suo vivere, in quel frangente quando il sole volta il suo sguardo imporporandogli le gote, l’iride, il naso, il mento, il petto sotto il disegno in bianco e nero della t-shirt, e in me sboccia, seppur per pochi ticchettii d’orologio, il puro fiore, frutto spontaneo neonato dell’ incolto prato, intarsiato con lama d’acciaio, innocente amore. Inquieto giovane uomo pervaso di un animo irrequieto.
Irrequieta. L’osservo delicato intreccio d’ossa e carne, sorrido e serro le mie labbra trattenendo quell’unica figura nei miei occhi, palpandolo socratico in una stretta avida da poterlo frantumare se solo io lo stringessi di più, più forte. E  nelle catene intrecciate di una qui apparsa altalena mi specchio efebica bellezza, demone che sprigiona una melodia lenta e spigolosa, il male, la sua malattia, io la sua insana portatrice, e lui.
Lui. Lui acqua della sete. Un sorso dalle sue labbra per salvarmi dall’annaspare e fermare il tempo in un tocco di pelle. Ma chi scorda? Ma chi dimentica veramente?
La memoria è la padrona di alcune fragili menti. E’ anch’essa acqua, ma di quella che non si necessità mai, tuttavia lei ti abbevera lo stesso, e io annego dal troppo berla. E allora ricordo quanto del mio vivere sia stato già sperperato, imbrattata banconota, insozzata dal passaggio di mani e nasi sudici. E’ stato preso, suddiviso, sezionato, regalato, gettato, derubato. Abbattuto. Nere lacerazioni. Ciò che fu versato era sangue non acqua. Era sangue non acqua. – Ehi tu! lo vedi questo è sangue non acqua!-.C’è gente che conosce l’amore. Quella strana gente lo sa riconoscere. – Al primo sguardo, un colpo di fulmine è stato amica mia! – . – L’ho riconosciuto tra mille!-. Allora è cosa semplice. Non c’è bisogno di combattere contro  il nostro io che scalpita per amare, per innamorarsi, lascio che sia semplice, seppur solo per questa mezza giornata, giusto il tempo di dondolarmi su questa altalena, magari per un giorno intero, se il piacere che mi reca è così provocatoriamente intenso allora facciamo due giorni. Se questo giovane uomo è riuscito a squarciare il cuore mio in una voragine con la sola presenza, ora, adesso, in quest’attimo di cielo e raggi di sole perfetti, donandomi l’amore mai provato senza ch’egli se ne sia nemmeno accorto, di quell’amore che neanche le braccia materne sono state capaci di trasmettere, allora posso essere la madre di me stessa. Amandoti posso prendermi cura di me. Dimostrare che potrei anche farcela ad essere io stessa madre. Si voglio essere madre, voglio essere mia madre, madre amore, di quello delle pubblicità degli anni cinquanta, e indossare il gonnellino a cerchio corto sulle cosce con le mille pieghe di tulle e il grembiule lindo attorno la vita, la torta profumata adagiata su un delicato piatto croccante di detersivo, un sorriso smagliante, ginocchia ben salde e caviglie a punta.
Perfetto.
Semplicemente perfetto.
Eccolo il miracolo dell’amore cosa fa! Trasforma. Rinasci. M
agia.
Bibbidi bobbidi bu!
Opero me per una ligia guarigione, ho stoffa e forbice tra le mani.
Ho stoffa e forbice tra le mani, ma non so cucire. E mi ritrovo a rimboccare il letto in una stanza ammoniacata d’ospedale, ingurgito pasticche per la mia sana salvezza, sorpasso il ciglio di ogni porta, e con il camice bianco balsamo tossici con il loro stesso veleno così presto torneranno in forma. Ed io con loro. E vivremo tutti felici e contenti punto
Basta. Ora basta. Il confine è andato. Sono stremata, offesa, umiliata. Basta. Confusa, scompigliata, disordinata. Basta- Anche i miei capelli hanno cambiato colore e forma. Sono gretti, raccolti in ciocche come stick. Stick per cani. Dodici Stick per cani. Dodici stick per cani resi tali dall’uncinetto. Uncinetto. Un piccolo arnese, una ferraglia, che innesta filo  per filo, annoda, arruffa, strappa ed innesta ancora filo per filo. I miei capelli sono  rami d’albero, con essi disegno un veliero che getto in questa pozzanghera, qui sotto i miei occhi, ai piedi di questa altalena, astratta e profonda pozzanghera come mare. E io sono una nave in balia delle onde, con botti di vino acido nel ventre e nelle cervella, e sono obbligata ad ascoltare il loro scontrarsi quando il vento stropiccia anime soffiandole via, e loro rotolano rotolano rotolano.
Sono carcassa di legno marcio e putrescente, e se non farà attenzione, questo giovane uomo,  a non avvicinarsi troppo a questa altalena lo diverrà  anch’esso. – Allontanati!-. Ma lui non ode la mia voce, perché muta irragionevole è la mia vita, e imperterrito s’avvicina alla seduta mia affianco, c’è un posto libero. – Non salire. Fuggi. Scappa. Non ci salire. Quest’altalena è maledetta, chi ci sale non scende più!-.
Guardami giovane uomo, mi vedi, io sono la paranoia che ha costruito queste catene, la psicosi che le ha giunte una ad una in esse e ha creato questa corda di metallo. Io sono il mostro che scalfirà le tue speranze e ti trascinerò in me. Ti sei palesato in questo parco privo di gente, e mio eroe ti ho trasformato , mentre nessuno si accingeva a mostrarsi, ma ora che rinsavisco t’imploro che devi andartene, mi senti. – Salvati. Vattene!-.
Pertanto hai le caviglie già sporche di sangue e sabbia. Nel tempo in cui il vento ti spinge alto ti doni l’illusione di poter toccare il tuo cielo, seduto su questa altalena, tu con il volto marchiato di luce. Nel tempo in cui ritorni alla terra sfiorando con la punta delle  dita piccole dei piedi trascinato indietro, con un colpo delle reni ti ridai lo slancio per tornare a sfiorarti. Ma Dio ti colpisce. Ti colpisce forte e tu resti a mezz’aria. Per sempre. In un limbo di cui io sono il necroforo che assiste, e la tua mente come la tua pelle inizia a sbiadire, vorrei tu non fossi così fragile da perderti nel dolore. Vorrei io non essere così fragile da perdermi nel dolore. E vedo le sofferenze tue Bambino tatuarsi sul tuo volto, giovane uomo, e capisco perché sei arrivato fin qui, perché non avevi scelta, e sei salito su questa altalena. Ed appena tutto comprendo, ogni cosa capisco, tu cessi d’esistere.
E io sono di nuovo sola. In questo verde parco giochi senza bambini con cui giocare, in biblioteca senza libri da leggere. Ma vedo tutto.
Vedo tutto. Vedo tutti loro assopirsi, in punto di morte mormorare colpevoli il mio nome che ho voluto cancellare, sfregando ogni lettera contro il palato in un ultimo sospiro velenoso. E il mio di respiro si dimena. E i loro aliti ingurgito, assaporandone ogni fragranza, una macchia di vernice acida si espande nel mio petto, pesce crudo, alcool dolciastro, carne livida, caramella alla fragola, acqua stantia in vasi da fiore, lo scotto del sesso, dilanio del suo desiderarlo. Desiderio.
E nonostante tutto desidero sempre. Desiderio della loro morte che assaporo avida. Desiderio della mia morte che bramo, studio, pianifico ogni giorno. Perché nonostante tutto ambisco al piacere maledetta me. Nulla di personale. Nessuna battaglia da combattere. E’ proprio per il suo contrario.
Al contrario. Al contrario dondolo, a volte m’illudo di poterlo accarezzare il cielo, torno al punto di partenza, sfioro con la punta delle dita piccole dei piedi da Bambina la terra, il punto di ritorno, mi slancio indietro con un colpo delle reni. Mi colpisco. E il sapore della morte sul mio respiro è così dolce, sa di pane appena sfornato, burro e miele caldi, e in questa passione mi avviluppo, mi stringo forte attorno a questo metallo di corda e prego per la mia trasformazione, per la magia che tu Dio ti prego devi far avverare, prima che puoi, prima ch’io m’accorga della tua vana esistenza, perché se io ti vedessi qui dinnanzi a me non ti crederei di certo, ma non ti vedo e quindi ti prego incessantemente.

Et quand nous étions enfants,
nous étions toujours en train de rire et couriret
la beauté de cette histoire sans tête ou quoi
mais qui se soucie de toute cette merde!
Et ce n’est pas un mot francais!

Lié Larousse

 

365 giorni, Libroarbitrio

Aldo Palazzeschi “Chi sono?”

Roma 5 ottobre 2013

Aldo Palazzeschi

Sono forse un poeta?

No, certo.

Non scrive che una parola, ben strana,

la penna dell’anima mia:

“follia”.

Son dunque un pittore?

Neanche.

Non ha che un colore

la tavolozza dell’anima mia:

“malinconia”.

Un musico, allora?

Nemmeno.

Non c’è che una nota

nella tastiera dell’anima mia:

“nostalgia”.

Son dunque …che cosa?

Io metto una lente

davanti al mio cuore

per farlo vedere alla gente.

Chi sono?

Il saltimbanco dell’anima mia.

A domani

LL