365 giorni, Libroarbitrio

Dino Campana un destino particolare lungo un giorno

Roma 2 ottobre 2013

Dino Campana

Singolare destino, quello di Dino Campana.

In vita non ha ricevuto alcun riconoscimento, e oggi è uno dei poeti più amati.

Ignorato o tollerato da quasi tutti i critici da vivo, e ora considerato straordinariamente  moderno.

Reazioni forse comprensibili per un poeta che sfugge a ogni classificazione, ma che, se non appartenne alla sua epoca, non può interamente appartenere alla nostra.

Anche la ricostruzione dei reali eventi della sua vita presenta lacune, a volte colmate con dicerie, o tesi fantasiose, o peggio.

E’ il caso della biografia dello psichiatra  Carlo Pariani (pubblicata nel 1938), che fu suo medico nel manicomio di Castel Pulci.

A Sergio Zavoli (Campana, Oriani, Panzini, Serra, 1959) e a Sebastiano Vassalli (La notte della cometa, 1984) dobbiamo due importanti volumi che cercano di raccontare la verità.

Dino Campana nasce il 20 agosto 1885 a Marradi, in provincia di Firenze.

Il padre è maestro elementare, la madre casalinga.

Dopo il ginnasio, frequentato il collegio a Faenza, Dino torna in famiglia, ma la convivenza con la madre è fonte di continue tensioni.

Termina il liceo in un nuovo collegio, a Torino, si iscrive alla facoltà di Scienze dell’università di Bologna, e infine entra nell’Accademia militare di Modena.

L’esperienza militare dura soltanto dal 4 gennaio al 4 agosto 1904 perché non supera gli esami al grado di sergente.

Si trasferisce all’università di Firenze e si iscrive alla facoltà di Chimica farmaceutica.

Non riesce a studiare, torna a Marradi, di nuovo a Bologna e poi comincia a fuggire: in Italia, all’estero.

Il 7 agosto 1906 i gendarmi francesi lo riconsegnano a quelli italiani.

Il 5 settembre il pretore di Marradi, su richiesta del padre e di altri, ne ordina il ricovero nel manicomio di Imola.

Il padre ci ripensa: il 31 ottobre firma un atto di responsabilità e lo libera, ma ormai per tutti è “il matto”.

Ricomincia a vagare nelle campagne, si ferma dove capita, eccede nel bere.

I ricoveri in manicomio si alternano ai viaggi, ed è difficile seguire tutti i suoi spostamenti.

A Genova si imbarca per Buenos Aires.

Non si sa con certezza quanto tempo si fermi in Argentina.

Nell’estate 1910 è di nuovo a Marradi, riprende a vagabondare in Italia e all’estero.

Nel 1911 partecipa a un concorso per l’abilitazione all’insegnamento di una lingua straniera a Firenze, ma viene bocciato.

Si riscrive all’università, a Bologna.

Poi ricomincia la fuga: a Genova, a Bologna, a Berna, passando dall’essere imprigionato all’essere cacciato via.

In una lettera a Emilio Cecchi nel 1916 scrive : “Allora fuggii sui monti, sempre bestialmente perseguitato e insultato, e in qualche mese scrissi i Canti Orfici includendo cose già fatte. Doveva essere la giustificazione della mia vita, perché io ero fuori dalla legge”.

All’inizio di dicembre 1913 consegna a Papini il manoscritto Il più lungo giorno.

Papini  lo dà a Soffici per un parere. Soffici lo smarrisce: verrà ritrovato soltanto nel 1971.

Nel frattempo, dopo aver minacciato Papini di farsi giustizia “con un buon coltello” se non gli avesse restituito le sue poesie, Campana le riscrive , a memoria, le intitola nuovamente Canti Orfici e le stampa a proprie spese nel 1914.

Nell’estate  dell’anno successivo viene ricoverato  e curato per una nefrite, ma i sintomi sono quelli della sifilide, mai curata: una malattia che spiega la sua deriva fisica e mentale.

Tra il 1916 e il 1917 vive il suo primo e unico amore, con Sibilla Aleramo.

Un rapporto difficile e tormentato, e in seguito molto romanzato.

Il 12 gennaio 1918 è ricoverato per l’ultima volta: prima nel manicomio di San Salvi, poi nel cronicario di Castel Pulci, dove muore il 1° marzo 1932.

Nel 1916 aveva scritto a Cecchi: ” Se vivo o morto lei si occuperà ancora di me, la prego di non dimenticare le ultime parole The were all torn and cover’ d with the boy’s blood che sono le uniche importanti del libro”.

La citazione, da Whitman, è l’epigrafe dei Canti Orfici: “Essi erano tutti stracciati e coperti con il sangue del fanciullo”.

Un grido di verità, forse una richiesta di giustizia.

A domani

LL

 

Spunto di lettura:
Poesia,mensile internazionale di cultura poetica
Articolo scritto da Angela Urbano