“non temete il peccato degli uomini
amate l’uomo anche nel suo peccato
perché un tale amore
si avvicina all’amore di Dio”
Amen
365 giorni
Roma 10 gennaio 2013
La tavola delle Nazioni
Il capitolo 10 della genesi deve essere letto nella prospettiva narrativa e teologica dell’insieme, evitando di insinuare una lettura razzista o d’interpretare i dati presenti nel testo biblico in base a qualche parametro scientifico moderno, tra cui anche il problema linguistico. Anche qui storia e geografia assurgono a simbolo, per esprimere eziologicamente il pensiero teologico dell’autore:
Nella mappa geografica si hanno in totale 70 popoli suddivisi in 14 figli di Jafet, 30 figli di Cam e 26 figli di Sem. Questi 70 popoli sono dispersi sulla faccia della terra che si dirama in quattro direttrici da considerarsi :
a) la diversificazione etnica;
b) la diversificazione politica;
c) la differenziazione linguistica;
d) la distribuzione dei territori.
Quindi parliamo di una vera e propria scaletta dell’autore redatta per sorreggere la struttura del manoscritto ( Genesi ). Nonostante vi siano carenze, incongruenze, e persino alcune contraddizioni, la struttura dell’insieme induce a leggere positivamente la dispersione e la differenziazione: essa è necessaria e provvidenziale , perché esprime la multiforme ricchezza della benedizione divina che si espande sino agli estremi confine del mondo. il significato di tale mappa geografica è dunque soprattutto teologico, anche se la precisione geografica in parte è offuscata dalle aggiunte che si sono avute lungo le tradizioni che precedono l’autore finale, tuttavia, la totalità dei popoli ricordati è una lode all’azione creatrice di Dio e un riconoscimento al fatto che tutti gli uomini sono fratelli.
A domani.
LL
Roma 9 gennaio 2013
Gn 2,18
“Non è bene che l’uomo sia solo”
La seconda sezione di Gn 2, vuole esplorare la singolare comunione e incontro di nature tra l’uomo e la donna: la donna , e solo la donna, tra le creature è per l’uomo un alleato alla sua altezza, una compagnia che gli permette di uscire dalla solitudine. Prima di arrivare a tale esito, il narratore presenta un tentativo andato a vuoto :
“Dio, crea gli animali e li conduce all’uomo. Ma l’uomo non trova in essi un alleato degno di lui”
il bisogno di relazione dell’uomo non trova appagamento nel rapporto con gli animali, che pure hanno un alito di vita simile e sono stati formati dalla terra come l’uomo. Eppure essi mantengono un significato positivo per l’uomo, un significato che si manifesta nel dare loro un nome. L’uomo quindi è presentato come un saggio che, con un’attività squisitamente enciclopedica, dà il nome a tutti gli animali.
Nel racconto della creazione della donna, il colorito mitico è molto forte. Non si deve pensare ad ingenuità : con l’ allusione del simbolo, si vuole esprimere l’uguaglianza tra uomo e donna. Dio fa cadere sull’uomo un sonno che gli vieta di vedere il Creatore e di scorgere il segno divino mentre esso si compie. Poi gli estrae una “costola” : indizio prezioso per decifrare il collegamento culturale del nostro Autore. il perché sia stata scelta la costola va cercato infatti nella filologia e mitologia.
Risposta filologica di J.B. Pritchard: In sumerico il segno ideografico T, che originariamente era disegnato come una freccia, ha il valore semantico di “freccia, vivere, vita, vivente” e “costola”.
Tale risposta filologica è sostenuta anche dalla mitologia: il mito a cui siamo rimandati è Enki e Ninhursag, un mito del paradiso, come lo aveva intitolato S.N.Kramer nei suoi studi sull’argomento, la donna nella genesi prende il posto della dea Nin.Ti (Signora della vita) del mito mesopotamico.
La reazione dell’uomo di fronte alla nuova creatura è espressa da un breve componimento lirico. E’ la prima citazione diretta di una parola pronunciata dall’uomo ed è una parola poetica:
La poesia è davvero la lingua madre del genere umano
La prima parte ( ritmo 2 : 2 : 2 accenti), esplosiva come un grido, esprima la gioiosa sorpresa di aver trovato un’alleata all’altezza e una consanguinea; La seconda parte ( ritmo 3 : 3 accenti), con solennità ed armonia, conferisce alla nuova creatura il suo nome.
Quasi a voler creare le basi del primo scritto romantico. A domani.
LL
Roma 8 gennaio 2013
Gn 1,1
” In principio Dio creò il cielo e la terra”
Nell’inno del primo capitolo della Genesi, Dio è l’unico attore. Entra in scena senza bisogno di alcuna presentazione. Il lettore, o l’ascoltatore, ha già avuto modo di conoscerlo altrove. La sua parola è un comando potente ed efficace, che fa essere immediatamente quanto è detto:
” Dio disse: Sia luce!. E la luce fu”
Egli da nome al tempo, giorno e notte, e allo spazio, cielo, terra e mare. Ma la sua parola non ha interlocutori. E’ un grido che non ha risposta. Soltanto dopo la decisione di creare l’umanità “a sua immagine, a sua somiglianza” , Dio trova un interlocutore che possa ascoltarlo. Solo allora, e per la prima volta, il testo della Genesi esprime un complemento per il discorso:
” Dio disse loro”
La caratteristica singolare dell’uomo è infatti di essere uditore della parola divina. In altro linguaggio, potremmo dire che l’umanità si scopre simbolo aperto, capace di ascoltare e comprendere un dialogo già iniziato da Colui che l’ha chiamata all’esistenza. Il linguaggio della parola umana è il simbolo che permette di ascoltare, comprendere e rispondere alla parola divina, che rimarrebbe muta, indecifrabile e senza risposta.
Ora io mi permetto di prendere la distanza dal “divino” perché in definitiva come abbiamo già studiato per la letteratura giullaresca il concetto di parola detta e quindi parola ascoltata è lo stesso tra cantore e pubblico, qui, dunque, tra Dio e il “primo uomo” da Egli creato.
Quindi soltanto la parola umana può esprimere il senso dell’esistenza in quanto veicolo e mediazione nella comunicazione.
In copertina: ”Caos” di: Silvia Faieta -Contemporary art- 46x62cm penna biro su carta da acquerello-2006 www.silviafaieta.carbonmade.com
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