Quando una storia è verità,
lodiamo in coro la sua onestà.
Il fatto è quello e non può mutare,
c’è poco da dire e poco da fare.
Quando una storia diventa leggenda,
è qui che comincia ad esser stupenda.
C’era una volta o forse non c’era,
un piccolo borgo senza bandiera.
Non è che mancasse la stoffa per farla,
ma non si sapeva come chiamarla.
Il borgo, infatti, un nome non aveva,
e il motivo di ciò nessuno sapeva.
Era piccolo, situato ai piedi dell’omonimo monte;
ma omonimo significa: stesso nome, quindi era solo il monte di fronte.
C’erano case antiche in pietra bianca, lungo i vicoli stretti, stretti,
incorniciate da vecchie scale che portavano fino ai tetti.
Sui davanzali delle finestre, vasi sporgenti colmi di fiori:
ortensie, gerani, primule, violette, naturalmente di svariati colori;
e le piante aromatiche coltivate in giardino,
diffondevano il profumo dalla sera al mattino.
Oltre alla stazione, c’era un’ospitale piazzetta,
con molte panchine e una chiesetta.
C’era una fontana, ma senz’acqua, completamente asciutta,
forse qualcuno l’aveva bevuta tutta.
Da questo luogo così ordinato,
inizia la storia di chi ci ha abitato.
Come chiamare gli abitanti di un borgo senza nome?
Se lo chiedevano in tanti ed io non saprei davvero come.
Nonostante questo, ognuno aveva il suo da fare,
che andava a braccetto col borbottare.
Il vigile urbano andava sempre di corsa,
tenendo con cura il cronometro in borsa.
“Vorrei del tempo per parlare con la gente!”
Invece correva dappertutto alla ricerca di un ingorgo inesistente.
Il panettiere sfornava pane ogni minuto,
si vantava di essere molto astuto.
“Lo porterei a chi ne ha bisogno, se avessi tempo, almeno un’ora!”
Ma a fine giornata andava tutto in malora.
Il barista pensava agli affari
e con i conti mettersi in pari.
“Appena avrò tempo, offrirò da bere ai mendicanti!”
Ma da quando lo aveva promesso, ne aveva visti passare tanti.
La sarta nella sua bottega, tra ricami e una richiesta,
aveva un chiodo, anzi un bottone fisso in testa.
“Devo trovare del tempo, per cucire calzoni ai bambini poveri e soli!”
Poi perdeva il filo del discorso e per ritrovarlo chiamava i figlioli.
Così anche il falegname, il calzolaio e il salumiere,
cercavano tutti del tempo, come si cerca l’oro in un forziere.
In questo luogo così lamentoso,
accadde qualcosa di molto curioso.
Forse un po’ ti stupirai
ma andiamo avanti e poi mi dirai.
Lo sai che il tempo è un viaggiatore?
Arriva ovunque, ma non conta le ore.
In una notte fredda ma riscaldata dall’emozione,
il Sindaco senza bandiera, radunò i cittadini alla stazione.
Con i riccioli in testa e il viso baffuto,
era sempre pronto a dare il suo aiuto.
Fascia al petto senza lo stemma ufficiale,
per darsi un tono da cittadino speciale.
In lontananza un treno stava per arrivare,
i presenti erano pronti a brindare,
il Sindaco schiarì la voce e iniziò a contare:
“10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1…
Benvenuto nuovo anno!” Esclamò senza esitare.
In quell’istante, tutto era cambiato,
con movimento lesto e sincronizzato.
L’anno nuovo, scendeva dal treno, con un salto da campione;
l’anno vecchio, saliva sul treno, a piccoli passi con un bastone.
Con l’argento tra i capelli e quasi senza fiato,
il treno ovviamente non si era neanche fermato,
lo portò via silenziosamente,
il treno del tempo passa inesorabilmente.
Questo luogo sorprendente,
molte cose aveva in mente.
Pensieri ingombranti
tra loro distanti,
veloci e sfuggenti
da sembrare assenti.
La folla ormai era in subbuglio,
c’è chi si nascondeva dietro un cespuglio.
Correvano incontro al nuovo anno,
dimenticando ogni malanno.
Pronto per l’annata in giacca e cravatta,
con guanti bianchi di morbida ovatta,
un cappello a cilindro di seta nera,
teneva sotto braccio una specchiera.
Con sguardo fiero drizzò il collo,
si sentiva un eroe, quasi un Apollo,
finalmente era arrivato il suo momento,
fatto di gloria, successo, un vero portento;
ma ad un passo da lui inaspettatamente,
la folla lo evitò speditamente.
Il nuovo anno rimase di stucco,
pensò a qualcosa di sbagliato nel trucco;
ma voltandosi indietro la folla acclamava,
il giorno in più che lui stesso portava.
Su questo luogo al chiar di luna,
si era abbattuta una gran fortuna.
Poter ospitare il 29 febbraio,
a volte assente nel calendario.
Dagli abitanti ben accolto,
perché ogni cosa avrebbe risolto.
L’anno nuovo con gli occhi accigliati,
subiva l’affronto esclamando: “Ingrati!”
Gonfio d’orgoglio ma senza far danno,
dopotutto era la prima festa dell’anno.
Per le vie del borgo, nei giorni seguenti,
il 29 febbraio segnava appuntamenti.
Veniva scrutato con attenzione,
nessuno voleva perdere l’occasione.
Quante cose da realizzare
e quel giorno in più poteva bastare.
Qualcuno tentava di essere persuasivo
per farlo tornare l’anno successivo.
Ma in questi casi, i suoi avvocati,
venivano subito convocati.
Giuliano e Gregoriano con fare sicuro,
a difesa delle stagioni e del futuro.
Da un tempo remoto arrivava la sentenza:
“Ogni quattro anni è la sua presenza!”
Da questo luogo tra sorrisi e una noia,
arriviamo al punto della storia.
Quando tutto non va come deve andare,
sicuramente ci si può arrabbiare,
l’importante è non disperare,
ed insieme continuare a sognare.
Il giorno in più bussava ormai alle porte,
lo accompagna però una sfavorevole sorte.
Una fitta e improvvisa nevicata,
silenziosa e inaspettata,
aveva gelato tutto, da cima a fondo,
ed anche i cuori nel profondo.
La neve aveva sbagliato momento,
serviva una forte folata di vento,
ma forse sarebbe servita davvero a poco,
non si poteva far altro, che stare dentro e al fuoco.
Il Sindaco lanciava un’ordinanza:
“Vietato uscire dalla propria stanza!”
Finivano così, sotto un paesaggio innevato,
progetti e desideri di un borgo innominato.
Quando finalmente finì la bufera,
si era già nel mese della primavera.
Il giorno in più passò senza clamore
e nessuno poté afferrare le sue ore.
Questo luogo deluso e scontento,
tornava adesso al solito lamento.
Il 29 febbraio ormai in vacanza,
non aveva perso però la speranza.
A volte basta solo un po’ d’impegno
e accadono cose che lasciano il segno.
“Il tempo c’è ma si nasconde,
non lo vedi e ti confonde,
credi di non averne abbastanza
e ne senti la mancanza.”
Il giorno in più pensava questo,
tutto immerso nel suo anno bisesto.
Pensa che ti ripensa, arrivò l’ora esatta,
quella che ti porta l’idea più adatta.
Per iniziare sull’alto monte,
dalla cima che si perde all’orizzonte,
venne costruita una torre mattone su mattone,
con al centro un orologio di ottone.
“L’occhio di Torrealta” venne chiamato,
che con stupore al borgo un nome aveva dato.
Lassù veniva visto da tutti i Torrealtesi,
e non solo, anche dalle vicine città e paesi.
Il tempo in posizione preminente,
vigilava sulle azioni della gente.
Nel Borgo di Torrealta,
venuto fuori alla ribalta,
accorrevano ora da ogni parte,
fino ad allora lasciato in disparte,
con sospetto e incredulità,
incuriositi dalla bella novità.
In una giornata solare, con tanto di berretta,
il Sindaco radunò i cittadini nella piazzetta.
Con un nome, uno stemma e una bandiera,
stavolta era davvero seria l’atmosfera.
Il 29 febbraio gli stava accanto,
e per lui, era motivo di vanto.
A breve, l’anno lo avrebbe portato via,
era doveroso salutarlo con allegria.
C’era chi ancora storceva il naso,
chi non ci faceva nemmeno caso,
e chi era fiero della trovata identità
per non essere più un cittadino a metà.
Anche dalla fontana, secca e senza vita,
sgorgava l’acqua, dopo una lunga dormita.
Scorreva nuovamente con tutt’altre emozioni,
come il tempo, verso differenti stagioni.
Ciò che si perde diventa passato,
ma ciò che si trova era aspettato.
Il Monte Torrealta,
la cui cima rintocca e risalta,
era un luogo da tenere in vista
per non essere colti alla sprovvista.
Ma il 29 Febbraio ne indicava ancora uno,
che non manca proprio, proprio a nessuno.
“Cari amici Torrealtesi,
siete stati così cortesi.
Ad ognuno dico una cosa,
la più grande, la più preziosa.
Questo e quello ti aspettavi da me,
senza ma e senza se.
Io sono soltanto un giorno in più,
ma dentro te, ci sei solo tu.
Contro affanni e malumore,
al tempo devi dare peso e valore.
Ogni giorno è quello giusto
per riempirlo di più gusto.
Se qualcuno puoi aiutare,
fallo oggi non rimandare.
Il tempo è lì nelle tue mani,
da modellare per il domani.
E’ un intimo amico, ma ha bisogno di te,
per non sentirsi perso senza un perché.
Tra leggenda e verità,
questa storia finisce qua.
Così voleva essere raccontata,
scandita da una rima baciata,
che cerca il tempo e lo trova,
tutti i giorni ed è sempre nuova.
Racconto “Un giorno in più” scritto da Barbara Cutrupi
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “Il lunedì di LuccAutori”
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edito da Nottetempo a cura di Demetrio Brandi
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