365 giorni, Libroarbitrio

“Amorino” Isabella Santacroce

Piuma - Natalia Deprina

Dal diario di Annetta Stevenson
Minster Lovell, 14 novembre 1911, ore 19,09 

L’amore, allargata solitudine.
Se solo, ancora lo ripeto per sempre.
Se solo, d’improvviso come un lampo, io gioia divenissi, allora, non più il terrore parlerebbe: ammutolito.
In questi giorni d’abbagliante dolore, accecata dalle grida cammino sbandando, incontro all’amore che invento, tra apparizioni di cuori.
Perché il dolore se di strazio le sue membra riveste, allora, affinché non uccida chi tremando lo stringe, in lontananza compare l’amore, e ha braccia che chiamano, dicono vieni da me, raggiungimi attraversando una bufera di sangue, perché io sono qui, per tenerti.
E tu, seppure già quasi morto, allora lo guardi, e riprendi a rivivere, per riuscire a sfiorarlo.
Già senti il calore sciogliere il freddo, guarirti, e attraversi quella bufera di sangue, che a ogni passo si trasforma, in apparizioni di cuori.
E io so che è terrore la vita, anche senza dolore è terrore. La vita è terrore, non altro, è terrore. La vita è terrore, anche quella innocente, pulita, di luce, è terrore. La vita è terrore.
E io so che non esiste nessuna salvezza, nessuno si salva, neppure i giusti, i virtuosi, gli impeccabili, gli incolpevoli, e neppure Dio, Gesù Cristo, i santi, le vergini e i martiri, perché è terrore la vita, non altro, è terrore che guarda, impassibile.
E allora non è vero, che se d’improvviso come un lampo, io gioia divenissi, non più il terrore parlerebbe: ammutolito. Non è vero, parlerebbe come sempre, nel silenzio, guardandomi impassibile.
Se solo io non sapessi, non gli occhi, non questa sensibilità, non queste ossa. Se solo io non capissi, nessun lirismo, non questa poesia che mi squarcia. Se solo, non questo terrore, la vita.
Alexander, tu sei l’amore che invento in questi giorni d’abbagliante dolore, e nel terrore verso di te cammino sbandando, in un’allargata solitudine.
Alexander, le tue braccia mi stanno parlando, al termine di una bufera di sangue.

365 giorni, Libroarbitrio

Seneca “Il tempo” (II parte)

Roma 6 marzo 2014

Sveglio. Non riesco ad aprire gli occhi mentre bolle di musica elettronica risuonano nella mia memoria. Scosto dal corpo il peso delle coperte. Poggio i piedi a terra. Il nulla di un pavimento freddo mi risucchia. Cado. Non vedo appigli per rialzarmi e non gelare. Ho gli occhi chiusi. Ho gli occhi chiusi cuciti da fili di ciglia.  Avverto il tocco di una mano. Avverto il tocco di una mano sul  mio viso. Una mano di bontà a me sconosciute carezza la mia guancia. Quella mano con quella carezza issa il mio corpo. Sono in piedi e lei si è dissolta. La mano e la sua carezza non ci sono più. In terra i mie piedi hanno però freddo. Il mio volto, il mio volto è irrorato da calore. Calore  che lascia una scia di saporito profumo  sotto il mio naso ed io ho fame di quell’odore e allora cammino cammino cammino per inseguirla. Cammino. Cammino. Cammino. Cammino. Per inseguirla.

L.L.

Seneca
Il tempo II

Resto sempre stupito quando vedo alcuni che,
come se niente fosse, chiedono per sé,
spazi di tempo altrui,  e altri che,
se glielo si chiede, sono pronti ad accordare
ore e ore della loro giornata;
il fatto è che tutti prendono in considerazione
lo scopo per cui si chiede di impegnare il tempo,
ma nessuno valuta il tempo in sé: lo si chiede,
come se fosse una cosa da nulla, e,
come se non fosse niente, lo si concede.
Eppure si gioca con la cosa più preziosa
che ci sia; inganna perché è immateriale,
perché non la si vede:
per questo non le si da importanza,
anzi è ritenuta quasi di nessun valore.
Le rendite annue, gli stipendi si pagano cari:
la gente se li suda e vi investe attività e impegno;
al tempo invece nessuno dà valore;
lo usi con larghezza come si fa con una cosa
che non costa nulla.

A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Seneca “Il Tempo” (I parte)

Roma 5 marzo 2014

Il tempo

Imbattuta in me stessa, vestita di notti senza sonno col desiderio di possibilità di un tempo che verrà non troppo lontano a portarmi un’epistole dall’amore dove è scritto che anch’io posso essere amata, ed ammirare i colori della Terra e del suo Cielo con meno trasparente terrore mentre assorta dal pensare continuo, spazio tempo, mi rendo conto che di quest’ultimo, il tempo, non mi sono mai curata. E allora ostino il pensare, e mi dico: forse il tempo è come l’amore è come la morte, non lo si vede finché non si manifesta, finché non ce ne rimane più alcuno, come quando è già mattina pure se il buio è ancora dentro di me e fuori il Sole è maestoso, o come quando piango una giovane amicizia andarsene con quasi cento anni nel cuore, sdraiata, ben vestita e pettinata, col volto coperto da sottile velo e un rosario stretto nelle fredde anziane mani. Pertanto, continuo ad approfittarmi di questo tempo riflettendo ricordando. Ma io sono solo io, un’unica direzione che  porta a rincorrere vortice d’infiniti pensieri. Tuttavia, credo non sia sola a provare queste inquietudini emozionali, ci sei anche Tu, fra tutti loro che leggono, Tu con l’animo irrequieto più del mio che digrigni  denti e stringi pugni, che a volte sai, ma altre proprio non lo sai, cosa desideri. Ecco. Questo è per me e per te.
Da oggi, se il tempo mi sarà favorevole, per i prossimi giorni che serviranno a Seneca, converseremo con lui, con gli scritti che ci ha lasciato in dono.

Seneca
Il Tempo

“…nessuna epoca ci è preclusa, a tutte abbiamo libero accesso: lasciamo che il nostro spirito esca dai limiti angusti che ci soffocano  e potrà spaziare nel tempo. Ci sarà possibile disputare con Socrate, dubitare con Carneade, raggiungere con Epicuro la felicità, vincere la natura con gli stoici, scavalcarla coi cinici.”

La filosofia di Seneca è così: una conversazione ininterrotta con se stesso, con gli amici, con gli uomini, fuori dai limiti di spazio e di tempo; egli cerca risposte e soluzioni, mettendo in luce la nobiltà degli slanci, ma anche i dubbi, le incertezze, le contraddizioni dell’uomo e della società. Ci parla come fosse ancora vivo, esponendoci le sue considerazioni e aprendo la strada alle “nostre” soluzioni, ben conscio che anche i pensatori vissuti prima di noi “non ci hanno lasciato risposte definitive, ma problemi da risolvere” .
A rendere attuale il pensiero di Seneca contribuisce il tono colloquiale dei suoi scritti, quel suo sprezzare le riflessioni in considerazioni staccate, che, pur rispondendo a uno sviluppo unitario di meditazione, sembrano scaturire volta per volta ( e in parte è così) dalle sollecitazioni quotidiane della vita, dagli interrogativi etici che essa ci pone.
Montaigne dice delle Epistole di Seneca: …posso lasciarli in un punto qualunque, dove mi piace. Perché non hanno una successione obbligata.
I motivi rimbalzano da uno scritto all’altro, ripresi, approfonditi, corretti, così come suggerisce la varietà di aspetti della condizione umana.
Il tema del Tempo è uno di questi motivi.

Epist. ad Lucilio I^

Dammi retta, Lucilio, dedicati un po’ a te stesso e
tieni da conto, tutto per te, il tempo che finora ti
lasciavi portar via, in un modo o nell’altro, o,
comunque, perdervi. E’ proprio così, credimi: il
il tempo ci viene tolto o sottratto, quasi a nostra
insaputa, oppure ci sfugge non si sa come. E la
cosa più indecorosa è perderlo per trascurata
leggerezza. Prova a pensarci: gran parte della
vita ci scappa via mentre agiamo in modo
sbagliato, la maggior parte mentre stiamo senza
far niente, e l’intera esistenza trascorre in
occupazioni inutili e che non ci riguardano veramente.
Trovami, se sei capace, uno che dia al tempo
il giusto valore, che capisca quanto può essere
importante una giornata, che si renda conto che
noi moriamo un po’ ogni giorno! Perché questo è
il punto: noi pensiamo alla morte come a qualcosa
che sta davanti a noi, mentre in gran parte è
già alle nostre spalle: tutta l’esistenza trascorsa è
già in suo potere. Allora, caro Lucilio, fa’ come
mi scrivi: tieni stretto il tuo Tempo ora per ora:
dipenderai meno dal futuro, se avrai in pugno il
presente.  Mentre rimandiamo le nostre scadenze,
il tempo passa. Tutto ci è estraneo, Lucilio, solo
il tempo è veramente nostro: l’unica cosa di cui
la natura ci ha fatto padroni; ma è passeggera  e
instabile, e chiunque può estrometterci da questa
proprietà. Che sciocchi gli uomini! Quando
ottengono da qualcuno delle inezie di nessun
valore, facili da rimpiazzare, sono pronti a
farsele mettere in conto; ma non c’è nessuno che
si senta in debito, se gli si concede del tempo;
eppure questa è l’unica cosa che non si può
restituire, nemmeno se si prova grande
riconoscenza. Forse ora mi domanderai come mi
comporto io, che, con te, sono così largo di
consigli. Ti risponderò con franchezza: faccio
come un riccone ordinato e diligente, tengo il
conto di quello che spendo. Non posso dire di
non buttare al vento nulla, però posso dire che
cosa butto via e spiegare perché e come; sono in
grado di render conto della mia povertà. Naturalmente
capita anche a me, come alla maggior parte
delle persone cadute in miseria senza loro
colpa, che tutti siano pieni di comprensione, ma
nessuno sia disposto a dare una mano. Ma che
importa? Secondo me non è povero che si fa
bastare quel che gli resta, anche se è poco.
Quanto a te, però, preferirei che tenessi ben
stretto quello che hai; e dovrai cominciare subito.
Perché, come dicevano i nostri vecchi, è troppo
tardi fare economia, quando si è arrivati al fondo;
tanto più che nel fondo non c’è solo ben poco,
ma anche il peggio. Addio.

A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Ansaldo Cebà poeta della politica morale

Roma 11 aprile 2013

Discendente da una famiglia nobile in decadenza, Ansaldo Cebà si forma culturalmente a Padova dove frequenta Sperone Speroni e Giason de Nores.

Nativo nella Repubblica di Genova, dopo gli studi,  vi fa rientro come suo difensore chiamando in causa il bene comune.

Queste sue idee politiche all’avanguardia con i tempi creano al poeta grandi disagi fino al suo imprigionamento da parte del senato genovese.

Obbligato a ritirarsi dalla politica attiva mantiene il suo pensare politico con una sorta di funzione pedagogica nelle epistole con le quali si relaziona e dove non  rinuncia ad esporre il suo parere sulla classe dirigente repubblicana.

Inizia in questo periodo della sua vita l’intensa opera letteraria con  ” Rime“, poemi eroici come “Il Gonzaga overo”, produzione letteraria   caratterizzata da un linguaggio metaforico con legami politico morali ove egli riflette la sua ideologia  e la sua passione civile.

A domani

LL