Ho impiegato molto tempo e ho girato quasi tutto il mondo per imparare quello che so dell’amore, del destino e delle scelte che si fanno nella vita. Per capire l’essenziale, però, mi è bastato un istante, mentre mi torturavano legato a un muro. Fra le urla silenziose che mi squarciavano la mente riuscii a comprendere che nonostante i ceppi e la devastazione del mio corpo ero ancora libero: libero di odiare gli uomini che mi stavano torturando oppure di perdonarli. Non sembra granché, me ne rendo conto. Ma quando non hai altro, stretto da una catena che ti morde la carne, una libertà del genere rappresenta un universo sconfinato di possibilità. E la scelta che fai, odio o perdono, può diventare la storia della tua vita.
Nel mio caso è una lunga storia, con tanti personaggi.
Sono stato un rivoluzionario che ha soffocato i propri ideali nell’eroina, un filosofo che ha smarrito l’integrità nel crimine, un poeta che ha perso l’anima in un carcere di massima sicurezza. Scappando di galera – ho scavalcato il muro principale, fra due torrette di guardia armate di mitragliatrici – sono diventato l’uomo più ricercato del mio paese. La buona sorte mi ha tenuto compagnia per mezzo mondo, e mi ha seguito fino in India. Sono entrato nella mafia di Bombay, ho fatto il trafficante d’armi, il contrabbandiere, il falsario. Mi hanno messo in catene in tre continenti, mi hanno preso a botte, bastonato, privato del cibo. Sono andato in guerra. Sono fuggito sotto il fuoco nemico. E sono sopravvissuto, mentre altri intorno a me morivano. Uomini quasi sempre migliori di me. Uomini migliori le cui vite sono state frantumate da un errore, spazzate via da un istante sbagliato d’odio, amore o indifferenza. Li ho seppelliti, ed erano tanti. Troppi. Il dolore delle loro storie e delle loro vite è entrato a far parte della mia esistenza.
Ma la mia storia non parte da quegli uomini, né dalla mafia: inizia il primo giorno a Bombay. Il destino ha calato la mia carta in quella città. La fortuna ha distribuito le carte che hanno portato a Karla Saaranen. E io ho cominciato a giocarla, quella mano, fin dal primo momento in cui ho guardato i suoi occhi. Insomma, questa storia inizia come tante altre; una donna, una città e un pizzico di fortuna.
Tag: dignità
La comicità dialettale nella poesia
Roma 19 aprile 2013
Nella nostra letteratura e maggiormente in certi periodi storici ci sono dei momenti nei quali una spinta originaria sembra esaurirsi e fermarsi dopo l’inizio, come ce ne sono altri nei quali le opere si limitano e si consumano in loro stesse.
La scoperta e la conseguente ricerca degli effetti comici, il bisogno di continuare e di sviluppare la tradizione buffonesca o burlesca si innesta nella poesia dialettale.
Come abbiamo letto nel post precedente, in Giulio Cesare cortese, una coscienza orgogliosa e quasi una sfida in difesa della lingua napoletana, quella stessa che sarà poi continuata dal Basile e dal Sarnelli nella prosa.
Questa scelta unisce insieme le glorie e i diritti del dialetto con i motivi di un realismo popolare.
il cortese nel 1621 pubblica il Viaggio di Parnaso poema in sette canti in ottave dove si mescolano motivi critici ben precisi come la difesa della lingua napoletana con spunti autobiografici, fiabe e racconti popolari in una trama filamentosa che il Croce ha definito degno dell’umorismo romantico.
L’eroicomico nei poeti, in special modo in quelli napoletani, nasce da un bisogno di conciliare la dignità letteraria e le possibilità del nuovo strumento linguistico attraverso soggetti e temi legati al mondo del dialetto.
A domani
LL
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